Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18773 del 14/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/09/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 14/09/2011), n.18773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CONFEDERAZIONE NAZIONALE COLDIRETTI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO e PARTNERS,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SCHITTONE

NICOLO’, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.P.M.;

– intimato –

Nonchè da:

D.P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA T.

MONTICELLI 12, presso lo studio dell’avvocato FILEGGI ANTONIO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CONFEDERAZIONE NAZIONALE COLDIRETTI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO e PARTNERS,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SCHITTONE

NICOLO’, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3168/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/09/2009 r.g.n. 1652/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MORABITO per delega ANTONIO PILEGGI;

udito l’Avvocato ARTURO RIANNA per delega VESCI GERARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 3168/09, depositata il 29 settembre 2009, rigettava l’appello principale proposto dalla Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti, nei confronti di D. P.M., avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 28 novembre 2006, ed accoglieva, per quanto di ragione, l’appello incidentale proposto dal D.P. avverso la medesima pronuncia, rigettando l’eccezione di prescrizione, come accolta dal Tribunale, e condannando l’appellante principale al pagamento, in favore della controparte, della maggiore somma di Euro 133.263,94, in luogo di quella accertata dal giudice di primo grado, per il titolo di cui al ricorso introduttivo.

2. Il D.P., già dipendente della suddetta Confederazione dal 1 maggio 1988 al 9 aprile 1996, allorchè era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo individuato nella chiusura dell’ufficio cui era addetto, con qualifica attribuita di dirigente (e dal 1 marzo 1989, di primo dirigente in conseguenza della nomina a dirigente dell’ufficio Previdenza e Assistenza Sociale), adiva il giudice del lavoro deducendo di aver percepito, per tutta la durata del rapporto, una retribuzione da considerare non proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, poichè fino all’entrata in vigore del regolamento 27 giugno 1995 (con effetto quanto alle retribuzioni, dal 1 gennaio 1994) le somme mensilmente erogategli in relazione alla qualifica rivestita erano state sensibilmente inferiori a quelle previste per equivalenti mansioni dalle contrattazioni collettive di tutti gli altri settori, e per il periodo successivo, addirittura a quelle previste nel settore specifico per la qualifica di quadro. Su tali presupposto, avendo a parametro il trattamento retributivo previsto per la qualifica di dirigente dalla contrattazione collettiva del settore commercio, sulla base di analitico conteggio, il D.P. aveva chiesto: accertare la sussistenza della qualifica e comunque l’espletamento effettivo delle mansioni dirigenziali, e constatata l’insufficienza della retribuzione corrispostagli nel periodo 1 maggio 1988 – 9 aprile 1996, condannare la Confederazione al pagamento, in suo favore, della complessiva somma di L. 386.902.407, a titolo di differenze retributive spettanti nel periodo (comprensiva di scatti di anzianità e mensilità supplementari), ed al pagamento delle consequenziali differenze di tfr e indennità di preavviso, nella misura, da quantificarsi anche in separato giudizio, derivante dalla retribuzione mensile spettante.

3. Il Tribunale dichiarava estinto per prescrizione il diritto azionato con riferimento al periodo precedente al 3 marzo 1992, accertava il diritto del D.P., in relazione alla qualifica di dirigente rivestita, a percepire, per il periodo 4 marzo 1992 – 9 aprile 1996, a titolo di retribuzione equitativamente determinata, il trattamento economico previsto per la qualifica di dirigente dalla contrattazione collettiva del settore commercio ridotto di un terzo, e condannava la Confederazione al pagamento allo stesso della somma complessiva di Euro 93.443,60, da maggiorarsi degli accessori di legge, oltre alle consequenziali differenze relative all’indennità di preavviso e al tfr, nella misura da liquidarsi in separata sede.

4. Circa la prescrizione, il Tribunale riteneva che il termine quinquennale di prescrizione era stato interrotto dalla notifica a controparte dell’atto di impugnazione del licenziamento (3 marzo 1997), con la conseguente prescrizione delle pretese retributive attinenti a periodi precedenti il 3 marzo 1992.

La Corte d’Appello, riformando sul punto la sentenza del Tribunale, pur convenendo sull’idoneità dell’impugnativa ad interrompere il termine di prescrizione, riteneva, a differenza del Tribunale, che lo stesso non decorresse in costanza di rapporto, ma a far data dalla cessazione dello stesso, intervenuta nella specie con il licenziamento in data 9 aprile 1996. Per tale ragione riteneva che i crediti azioni non si fossero prescritti.

5. Per la cassazione della suddetta sentenza di appello ricorre la Confederazione Nazionale Coldiretti prospettando tre motivi di impugnazione.

6. Resiste con controricorso e propone ricorso incidnentale, assistito da un motivo di censura, il D.P..

7. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei giudizi in quanto entrambi hanno ad oggetto l’impugnazione della medesima sentenza.

1.1. Con il primo motivo del ricorso principale è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

La ricorrente ritiene erronea la statuizione della Corte d’Appello relativa al fatto che le questioni relative alla qualifica dirigenziale del D.P. fossero coperte da giudicato. Ad avviso della ricorrente, infatti l’accertamento compiuto dal giudice di merito, sul quale era intervenuta questa Corte, con la sentenza n. 7537 del 2006, su tale situazione non poteva passare in giudicato essendo stata conosciuta, la stessa, solo incidenter tantum.

In ogni caso il D.P. non avrebbe svolto compiti dirigenziali e non avrebbe fornito prova sul punto, nè è sufficiente l’attribuzione formale della qualifica per l’applicazione del trattamento legale e retributivo derivante da una contrattazione collettiva all’epoca in conferente.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se ai sensi dell’art. 2909 c.c., l’efficacia del giudicato copre, oltre alla pronuncia finale, solo quegli accertamenti che si presentano come necessaria premessa o come presupposto logico-giuridico della pronuncia medesima e non gli accertamenti incidentali che non assurgono a statuizione autonoma e che, pertanto, l’accertamento della qualifica di dirigente del D.P., compiuto nel giudizio avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento, non è coperto da giudicato essendo incidentale e funzionale alla sola valutazione della illegittimità del licenziamento stesso.

1.2. Il motivo è inammissibile.

Va rilevato che la Corte d’Appello nell’esaminare i motivi di impugnazione relativi alla ritenuta sussistenza da parte del Tribunale della qualifica dirigenziale del D.P. li riteneva non fondati per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, avendo il Tribunale correttamente affermato che “è pacifico e documentato (come del resto riconosce la stessa convenuta) come tale qualifica fosse stata esplicitamente ed inequivocabilmente attribuita al ricorrente dal suo datore di lavoro ed è del tutto priva di rilevanza, a prescindere dalla sua dubbia fondatezza, la considerazione di parte convenuta secondo cui tale attribuzione avesse uno scopo esclusivo per così dire “di facciata” senza alcuna rispondenza con la realtà, posto che il D.P. non avrebbe comunque mai svolto le mansioni corrispondenti poichè la mera attribuzione della qualifica conferisce di per sè il diritto a vedersi affidare dette mansioni e, in ogni caso, il diritto a percepire la retribuzione per tale qualifica prevista”.

In secondo luogo, la Corte d’Appello, argomenta in ragione della statuizione, con effetto di giudicato, intervenuta all’esito del procedimento nel quale di discuteva della legittimità o illegittimità del provvedimento di licenziamento per effetto del quale il rapporto di lavoro tra le parti era cessato. Afferma la Corte d’Appello che anche se si è trattato di un accertamento incidentale era stata la stessa Coldiretti ad eccepire in quella sede che, proprio in ragione del possesso della qualifica di dirigente da parte del D.P., il suo rapporto di lavoro con essa Confederazione non era assoggetto al regime di stabilità.

La Corte d’Appello di Catania, richiama, in particolare, il passaggio della sentenza di questa Corte n. 7537 del”2006, che riporta le statuizioni della sentenza resa in grado di appello dal Tribunale di Roma – su cui incentrava il giudizio di legittimità conclusosi con il rigetto dei ricorsi e, quindi, con la conferma della suddetta sentenza del Tribunale – tra le quali, per quanto qui d’interesse: il Giudice di appello ha rimarcato che: b) posto che la posizione di dirigente è risultata provata, oltre che dalle prove testimoniali raccolte, anche dalle stesse buste paga prodotte nel giudizio, che riportano la dicitura espressa della qualifica in questione, e che quella qualifica corrispondeva anche ad una posizione di fatto apicale nella organizzazione della Confederazione, la valutazione sulla illegittimità del licenziamento va mirata sulla sola eventualità discriminatoria e ritorsiva dello stesso.

Alla luce di quanto sopra riportato, è palese che la ricorrente non coglie la ratio decidendi della pronuncia in esame e prospetta generici motivi di doglianza. La Corte d’Appello, infatti, non basa la propria statuizione solo sull’intervenuto giudicato, ma su un accertamento del fatto, illustrato da un congruo e logico percorso motivazionale.

2. Con il secondo motivo di impugnazione del ricorso principale, è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c., comma 4.

Omessa e/o insufficiente motivazione circa l’efficacia interruttiva della “riserva” contenuta nel ricorso ex art. 414, avente ad oggetto l’impugnativa di licenziamento notificata in data 3 marzo 1997.

La ricorrente censura la sentenza in esame per avere la Corte d’Appello senza alcuna motivazione, salvo l’utilizzo dell’espressione “difficilmente equivocagli”, ritenuto di ravvisare nella riserva contenuta nel suddetto atto una esplicitazione del credito asseritamente vantato, valida ai fini dell’interruzione della prescrizione, in violazione del contenuto dell’art. 2943 c.c., comma 4.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se, ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 4, affinchè un atto possa acquisire efficacia interruttiva della prescrizione esso deve contenere anche l’esplicitazione di una pretesa, vale a dire una intimazione o richiesta scrittaci adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo, con l’effetto di costituirlo in mora e che la riserva formulata dal D.P. nel ricorso per impugnativa di licenziamento, notificato in data 3 marzo 1997, non manifesta in modo inequivocabile, la volontà dello stesso di far valere il proprio diritto nei confronti della Confederazione Nazionale Coldiretti.

2.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Come questa Corte ha avuto modo di affermare, in tema d’interruzione della prescrizione, perchè un atto abbia efficacia interruttiva ai sensi dell’art. 2943 c.c. è necessario che lo stesso contenga l’esplicitazione di una precisa pretesa e l’intimazione o richiesta di adempimento, rivolta al soggetto che si ritiene obbligato, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare di far valere il proprio diritto nei confronti del destinatario, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (Cass., sentenza n. 24656 del 2010), e l’accertamento di tale requisito oggettivo costituisce indagine di fatto riservata all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici.

Correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto pienamente efficace, ai fini interruttivi, la riserva contenuta nel ricorso avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento per effetto del quale veniva a cessare il rapporto di lavoro tra le parti, notificato il 3 marzo 1997, di fare valere i propri diritti in separato giudizio, attesa che la stessa risulta espressa in termini difficilmente equivocabili, non solo in ordine alla qualifica ed al grado di dirigente, ma anche alla effettiva retribuzione (in tutte le sue espressioni e connessioni) che avrebbe dovuto percepire nel passato e dovrebbe percepire nel presente, con riferimento alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e alla qualifica di dirigente.

Sul punto, quindi, la sentenza appare chiaramente e logicamente motivata e rispettosa di quanto disposto dall’art. 2943 c.c., comma 4, secondo i principi sopra richiamati.

3. Con il terzo motivo del ricorso principale è prospettata omessa e/o insufficiente motivazione in ordine all’insufficienza della retribuzione e al richiamo alla contrattazione collettiva del terziario.

La ricorrente ritiene viziata la sentenza in esame per avere la Corte d’Appello ritenuto applicabile la contrattazione dei dirigenti del terziario basandosi sulla semplice affermazione che la retribuzione percepita dal D.P. fosse insufficiente e che le mansioni svolte dal medesimo fossero analoghe a quelle di un dirigente del settore terziario, senza enunciare, tuttavia, i criteri utilizzati.

La Confederazione, inoltre, censura la pronunzia in questione per avere erroneamente valutato l’attività del D.P. non assimilabile a quella che svolge un lavoratore operante nell’ambito di un’azienda commerciale.

3.1. Il Motivo non è fondato e deve essere rigettato. La ricorrente assume che il giudice di appello avrebbe errato nella scelta del parametro, ma non ha in alcun modo indicato quale sarebbe stato il parametro da utilizzare nè si comprende in base a quale criterio le mansioni svolte dal D.P. avrebbero dovuto essere inquadrate in altro parametro.

Con motivazione congrua e logica la Corte d’Appello ha ritenuto corretta, condividendola, la statuizione del Tribunale sul punto.

In particolare la Corte d’Appello ha ribadito che anche se non vi è coincidenza tra il settore terziario e quello in cui si inscrivono le mansioni del D.P., svolgendo il D.P. attività sindacale, tuttavia per l’oggetto della predetta attività, che implica pur sempre un servizio in favore di terzi, le mansioni devono ritenersi svolte ad analogo livello dirigenziale e che pertanto è adeguato assumere la retribuzione del terziario come retribuzione di raffronto, congruamente ridotta di un terzo.

La sentenza impugnata ha, dunque, puntualmente precisato per quale motivo ed in quali limiti il contratto del settore terziario poteva essere utilizzato come parametro e la decisione, pertanto, non è suscettibile di censura in sede di legittimità.

4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale il D.P. ha prospettato vizio di motivazione in ragione della sostanziale omissione della stessa su un punto decisivo della controversia relativo alla riduzione in misura di un terzo rispetto alla retribuzione spettante ad un dirigente del settore terziario, non essendo a ciò sufficiente il ritenuto carattere ragionevole dell’abbattimento, fondato sul richiamo di un precedente giurisprudenziale.

4.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Ed infatti, nella sentenza impugnata, la riduzione di un terzo, si fonda su più argomenti congruenti e logici: l’affermazione della previsione nel settore terziario, utilizzato come parametro, di retribuzioni “talmente più elevate”, la ritenuta non coincidenza dei settori, la assimilabilità delle mansioni. Argomentazioni in base alle quali la Corte d’Appello, nel confermare la statuizione del Tribunale, riteneva adeguato assumere la retribuzione del terziario, come retribuzione di raffronto, congruamente ridotta di un terzo.

Peraltro, la sentenza del cui richiamo si duole il ricorrente è citata dalla Corte d’Appello non solo con riguardo alla suddetta riduzione di un terzo, ma, ancor prima, a sostegno dell’utilizzabilità del parametro costituito dal settore terziario, punto quest’ultimo sul quale il D.P. non solleva alcun motivo d’impugnazione.

5. Entrambi i ricorsi devono, pertanto, essere rigettati.

6. In ragione della reciproca soccombenza sono compensate tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi li rigetta. Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2011

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