Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18773 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. I, 12/07/2019, (ud. 31/05/2019, dep. 12/07/2019), n.18773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17426/2015 proposto da:

A.M. Spa, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, P.za B. Cairoli 6,

presso lo studio dell’avvocato Piero Guido Alpa e rappresentata e

difesa dagli avvocati Ubaldo Perfetti e Paolo Viozzi, in forza di

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Viale Bruno Buozzi 99, presso lo

studio dell’avvocato Carmine Punzi, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Giuliana Gualdi, in forza di procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 724/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/05/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI;

udito gli Avvocati UBALDO PERFETTI e ANTONIO D’ALESSIO in

sostituzione per delega dell’avv.CARMINE PUNZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale ZENO

Immacolata, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o in subordine

rigettarsi i motivi da 1 a 3 e assorbimento nel resto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Calzaturificio A.M. s.r.l. (di seguito, semplicemente, M.) ha convenuto in giudizio la B. s.r.l. dinanzi al Tribunale di Modena, riassumendo la causa precedentemente instaurata dinanzi al Tribunale di Fermo, dichiaratosi incompetente dopo averla istruita con consulenza tecnica d’ufficio, per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti per il mancato rinnovo del contratto di licenza di marchio, a titolo di responsabilità contrattuale per inadempimento, o, in subordine, a titolo di responsabilità precontrattuale, quantificati in complessivi Euro 1.032.913,80.

Si è costituita la B., chiedendo il rigetto della domanda attorea e sostenendo che i contratti di licenza stipulati inter partes erano annuali, che nessun accordo di proroga era intercorso per l’anno successivo al 1999, che le trattative al proposito erano fallite e che comunque essa aveva dato disponibilità a che M. effettuasse la distribuzione della collezione invernale 2000-2001.

Il Tribunale di Modena con sentenza del 28/7/2008 ha accolto la domanda attrice, per quanto ritenuto di ragione, e ha condannato B. a pagare a M. la somma di Euro 139.920,84, oltre rivalutazione, interessi e spese.

2. B. ha proposto appello contro la sentenza di primo grado, a cui ha resistito l’appellata M..

La Corte di appello di Bologna con sentenza del 15/4/2015 ha accolto il gravame, respingendo tutte le domande di M. e condannando l’appellata alla rifusione a B. delle spese dei due gradi del giudizio.

La Corte di appello ha condiviso l’opinione del primo Giudice circa l’impossibilità di ravvisare una responsabilità contrattuale di B.; ha escluso invece la correttezza del ragionamento del Tribunale posto a presidio di una responsabilità precontrattuale o extracontrattuale per aver B. ingenerato in controparte la convinzione di un rinnovo del contratto anche per il 2000, perchè i rapporti erano regolati da contratti annuali, senza clausole di tacito rinnovo, sì da rendere necessaria anno per anno una nuova rinegoziazione; ha rilevato che dall’istruttoria testimoniale esperita non erano emersi elementi a sostegno di un legittimo affidamento ingenerato in M. circa il rinnovo del contratto; non vi era peraltro, secondo la Corte di appello, prova del danno subito, in ogni caso non ravvisabile nell’interesse contrattuale positivo; la c.t.u. esperita in primo grado era in ogni caso affetta da nullità perchè il Consulente aver preso in esame documenti unilaterali comunque prodotti irritualmente da M. durante le operazioni peritali nonostante l’opposizione di B..

3. Con atto notificato il 8/7/2015 ha proposto ricorso per cassazione M., svolgendo nove motivi.

Con atto notificato il 17/9/2015 ha proposto controricorso B., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente M. denuncia nullità per omesso esame dell’appello incidentale e in subordine nullità per omessa motivazione, ex art. 112 c.p.c., ovvero art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

1.1. La ricorrente pone in evidenza che M., costituendosi in appello, aveva proposto appello incidentale sostenendo che la proroga del contratto era avvenuta in conseguenza della condotta tenuta dalle parti nell’autunno del 1999, in conformità alla prassi degli anni precedenti e in particolare con l’esecuzione anticipata del contratto, mediante progettazione e preparazione delle collezioni e campionature e di ogni altra attività prodromica alla produzione e commercializzazione delle stagioni dell’anno successivo, sia pur senza menzionare espressamente, come peraltro non era necessario fare, l’art. 1327 c.c.

A tal proposito la Corte di appello aveva omesso di pronunciarsi o, tuttalpiù, aveva completamente omesso ogni motivazione, dichiarando semplicemente di concordare con il Giudice di primo grado.

1.2. Il vizio di nullità della sentenza per omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 112 c.p.c. in ordine al proposto appello incidentale non è configurabile nella fattispecie.

E’ pur vero che nella parte dedicata all’illustrazione dello svolgimento processuale, a pagina 3, 4 capoverso, la Corte felsinea ha sintetizzato piuttosto riduttivamente il contenuto dell’appello incidentale dispiegato da M., assumendo che essa avesse chiesto l’accoglimento integrale delle domande proposte in primo grado e avesse quindi sollecitato la condanna di controparte “ai maggiori danni”, non conferendo il dovuto rilievo alle argomentazioni critiche svolte con il gravame incidentale e dirette a delineare una responsabilità ex contractu di B. per aver rinnovato il contratto con il comportamento concludente consistente nell’esecuzione anticipata, e in particolare con la partecipazione alla preparazione delle collezioni e campionature e ad altre attività prodromiche per la stagione successiva.

V’è tuttavia da rilevare che la Corte di appello ha comunque dato conto della richiesta di M. dell’accoglimento integrale delle domande proposte in primo grado (e quindi anche della domanda a fondamento contrattuale).

1.3. Tuttavia, perchè si possa ravvisare il vizio di omessa pronuncia non è sufficiente la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Sez.3, 21/06/2018, n. 16326); il vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte – ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Sez.2, 18/04/2018, n. 9535).

1.4. La Corte territoriale, infatti, pur senza dar conto del tenore della censura articolata dalla M. e tematizzata sulla pretesa esecuzione anticipata del contratto rinnovato, ha chiaramente affermato la sua condivisione della decisione di primo grado circa l’impossibilità di ravvisare una responsabilità contrattuale di B. (pag. 4, 2 capoverso); ha quindi affrontato l’argomento, dapprima, a pagina 6, dado atto dell’incontro preliminare nell’autunno del 1999, minimizzandone concludenza e portata, sia sotto il profilo dei soggetti partecipanti (privi di alcun potere di rappresentanza e determinazione contrattuale), sia sotto il profilo dei contenuti (disamina di aspetti tecnici e stilistici delle collezioni), sia sotto il profilo della natura del contatto (meramente preliminare di ostensione di prototipi e materiali, perfettamente compatibile con la fase precontrattuale); poi, ribadendo a pagina 7, 4 capoverso, che si trattava di meri contatti preliminari, preparatori della futura eventuale collezione, tali da non ingenerare un affidamento tutelato, sicchè M., prima di affrontare costi avrebbe dovuto sincerarsi della volontà di rinnovo.

1.5. Non sussiste quindi neppure il vizio di omesso esame di fatto decisivo discusso fra le parti, sub specie di omissione totale di motivazione, tuttora sindacabile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo vigente risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 4, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il controllo di legittimità sulla motivazione.

La circostanza dedotta e posta a base dell’appello incidentale è stata tenuta presente e valutata dal Giudice del merito con un apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede di legittimità.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2909 e 1327 c.c.

2.1. Il Tribunale di Modena, nella sentenza di primo grado, pag. 3, righe 21-22, aveva affermato che la proroga interveniva a fine anno e presupponeva comunque un inizio di esecuzione del contratto per l’anno successivo; tale dato era stato ignorato e non censurato da B. e doveva quindi intendersi coperto dal giudicato l’inizio dell’esecuzione del contratto anche per l’anno 2000, con il conseguente rinnovo ex art. 1327 c.c., dovendosi ritenere che quell’inizio di esecuzione rappresentasse una prassi comportamentale e quindi un uso ex art. 1327 c.c.

2.2. L’affermazione richiamata alla ricorrente e contenuta (o meglio, come nota criticamente la controricorrente, “estrapolata”) nella sentenza di primo grado, secondo cui “la proroga che interveniva a fine anno e presupponeva comunque un inizio di esecuzione del contratto per l’anno successivo” ha un tenore del tutto generico e si limita a rilevare che i rinnovi di volta in volta disposti sulla base di accordi orali sempre successivamente formalizzati erano stati preceduti da un inizio di esecuzione del contratto; non assume affatto che fosse sufficiente l’inizio di esecuzione, tanto da dirlo ogni volta accompagnato da una proroga concordata a fine anno.

Ex art. 2909 c.c. in forza del quale l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, il giudicato, interno o esterno che sia, può formarsi solo sulla c.d. “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno”.

Infatti ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la predetta locuzione individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (Sez. 6, 08/10/2018, n. 24783; Sez. lav., 26/06/2018, n. 16853; Sez. lav., 04/02/2016, n. 2217).

Nella specie, la generica formulazione utilizzata dal Tribunale, anche a prescindere dal costante riferimento alle proroghe disposte, precedute dall’esecuzione anticipata, di per sè non sufficiente, contiene solo la menzione del fatto, senza menzione nè della norma, nè dell’effetto giuridico, ed appare quindi inidonea a passare in giudicato interno, ove non impugnata, ex art. 2909 c.c.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1327 c.c.

3.1. Secondo la ricorrente sussistevano entrambi gli elementi della fattispecie procedimentale di cui all’art. 1327 c.c. (uso ed inizio di esecuzione), sicchè tutte le attività successive non rappresentavano il formante contrattuale; non rilevava quindi la carenza di poteri rappresentativi dei partecipanti all’incontro fra i tecnici delle parti nell’autunno del 1999, perchè ciò che assumeva rilievo era il fatto oggettivo del comportamento materiale di collaborazione nell’approntamento della collezione per l’anno successivo.

3.2. Con la censura, sotto le spoglie della denuncia di violazione di legge, la ricorrente propone una critica di merito alla valutazione espressa dalla Corte territoriale, che ha escluso, con apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, che l’incontro fra tecnici dell’autunno del 1999 rappresentasse un comportamento di esecuzione anticipata del contratto dell’anno successivo e non un mero contatto preliminare, non vincolante, utile alla formulazione delle valutazioni delle parti circa l’opportunità stessa del rinnovo. E così la Corte felsinea ha chiaramente escluso che tale condotta potesse costituire ex art. 1327 c.c. esecuzione anticipata della prestazione contrattuale.

3.3. Per altro verso, la ricorrente dà erroneamente per acquisita la ricorrenza dell’ipotesi di operatività dell’art. 1327 c.c., ossia il fatto che secondo gli usi la prestazione dovesse eseguirsi senza una preventiva risposta: nella specie invece risulta solamente che al preteso fatto di esecuzione anticipata si accompagnavano anche accordi di proroga in concreto non intervenuti per l’anno 2000.

In ogni caso la fattispecie dell’art. 1327 c.c. presuppone pur sempre una proposta, suscettibile di accettazione per fatti concludenti mediante inizio dell’esecuzione, che la ricorrente individua anch’essa nello stesso inizio di esecuzione contrattuale; in ktal modo la ricorrente finisce con il confondere l’istituto della conclusione del contratto per effetto di accettazione mediante esecuzione della prestazione senza preventiva risposta con la conclusione del contratto per fatti concludenti rivelatori della volontà sottostante senza dichiarazioni di volontà esplicite, scritte o orali.

In realtà, in difetto di altri elementi, la ricorrente cerca di ascrivere ai contatti tecnici preliminari relativi alle collezioni della stagione successiva la valenza di esecuzione anticipata di un contratto che, secondo gli accordi, poteva essere eseguito senza una preventiva risposta, costruzione questa in cui non si comprende quale fatto assumerebbe il ruolo di proposta contrattuale di B. tacitamente accettata e anticipatamente eseguita da M..

Di contro, l’unica ipotesi percorribile e concretamente e motivatamente esclusa dalla Corte territoriale era che lo stesso incontro preparatorio rappresentasse tacita intesa sul rinnovo.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2 Cost. (quanto al dovere di solidarietà, che impone il dovere di tutelare l’interesse della controparte sino a quando ciò non implica il sacrificio eccessivo del proprio), 1375 e in subordine art. 1337 c.c.

4.1. Per il caso di esclusione dell’avvenuta conclusione del contratto ex art. 1327 c.c., la Corte di appello, stabilendo un meccanicismo tra l’inesistenza di una clausola di rinnovo automatico e/o tacito del contratto, e la legittimità del comportamento di manifestazione dell’intenzione di non rinnovare il contratto, aveva omesso di porsi, come sarebbe stato necessario, la questione se i modi di esercizio del diritto da parte di B. non integrassero essi stessi un comportamento illegittimo fonte di responsabilità, nella prospettiva della buona fede e dell’abuso di diritto.

Occorreva infatti tener conto del fatto che la volontà negativa era stata manifestata il giorno prima della scadenza del contratto; la prassi corrente fra le parti contemplava casi in cui il rinnovo era stato formalizzato dopo il termine e casi in cui era stato formalizzato con sei o sette mesi di anticipo; nell’imminenza della scadenza del contratto la B. aveva collaborato con i propri tecnici all’approntamento della collezione per l’anno successivo; sussisteva una evidente asimmetria contrattuale fra le parti, tale da configurare una situazione di dipendenza economica di M..

4.2. Il motivo è proposto in termini oltremodo generici, senza un concreto richiamo a specifici atti e risultanze capaci di evitare alla Corte di legittimità una non consentita intrusione nella valutazione di merito sui fatti di causa.

La prassi accertata era quella che, esclusa ogni automaticità di rinnovo, imponeva una rinegoziazione anno per anno del rinnovo, libero per entrambe le parte da formalizzarsi, di volta in volta, per iscritto.

Secondo il Giudice del merito non vi è stato alcun comportamento tacito suscettibile di configurare rinnovazione tacita e neppure di ingenerare un affidamento incolpevole sulla conclusione dell’accordo di rinnovo.

Le deduzioni della ricorrente in termini di abuso del diritto, di comportamenti contrari a correttezza e buona fede, di violazione del dovere di solidarietà, presuppongono tutte che B. si sia avvalsa di un diritto per fini contrari a quelli per i quali gli era riconosciuto dall’ordinamento e senza darsi carico dell’esigenza di proteggere solidaristicamente gli interessi della controparte nella misura in cui non ciò non gli richiedesse un sacrificio apprezzabile dei propri.

Nella fattispecie invece B. non ha rinnovato un contratto con una manifestazione positiva di volontà e M. pretende di costruire un rinnovo tacito in un contesto contrattuale in cui il rinnovo tacito era stato liberamente e pacificamente escluso, con la conseguenza che alla scadenza le parti erano totalmente libere di stipulare o meno un nuovo contratto.

Non appaiono pertinenti pertanto i richiami giurisprudenziali in tema di recesso contrattuale esercitato in contrasto con il dovere di comportamento leale e di buona fede e le esigenze di solidarietà.

La situazione di dipendenza economica, su cui comunque infra, è stata dedotta solo genericamente senza alcun sostrato probatorio adeguato, al di là del fatto che B. fosse detentrice del marchio e che la licenza relativa fosse stata pattuita di durata annuale.

5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. 18 giugno 1998, n. 192, art. 9.

5.1. La ricorrente osserva che l’abuso di dipendenza economica è un istituto di carattere generale, che può ben configurarsi anche in assenza di un rapporto di subfornitura, in tutti i casi di rapporto fra imprese caratterizzata da asimmetria di posizioni determinanti un vincolo di dipendenza economica, in assenza di reale possibilità di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.

5.2. In primo luogo la ricorrente non indica, tanto meno in modo puntuale e specifico, con quali atti avrebbe introdotto nel giudizio e successivamente coltivato con opportune riproposizioni, sia in primo grado dinanzi al Tribunale di Modena, in fase di riassunzione, sia in secondo grado, con appello incidentale, la domanda fondata sulla invocata causa petendi dell’abuso di dipendenza economica.

In ogni caso, M. non dimostra affatto che avrebbe potuto esercitare la sua attività solo avvalendosi del marchio (OMISSIS) della B., o comunque che questo settore di attività rivestisse una importanza preponderante nella sua attività economica in rapporto al suo fatturato; M. non deduce e non risulta aver dimostrato poi il vincolo esercitato dal rapporto contrattuale de quo in rapporto alla sua attività di investimento; non risulta e non è vero che il rinnovo dipendesse dalla sola volontà di B., ben potendo anche M., anno per anno, rifiutarsi di rinnovare, come del resto risulta aver fatto rispetto alla proposta di rinnovo pluriennale del contratto.

Perchè si possa parlare di abuso occorre la prova di una situazione di dipendenza economica, nè dimostrata nè adeguatamente dedotta, tantomeno nell’ambito del motivo di ricorso.

6. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1218 e 1223 c.c.

La responsabilità contrattuale ravvisabile a carico della B. in conseguenza dell’accoglimento di uno dei primi cinque motivi di ricorso superava radicalmente l’argomentazione della Corte di appello circa la risarcibilità del solo interesse negativo. Del pari, la c.t.u. disposta in primo grado doveva ritenersi ammissibile, in quanto finalizzata a determinare il mancato guadagno subita dalla M. per effetto dell’altrui inadempimento.

La censura rivolta contro la concorrente (e dirimente) ratio decidendi opposta dalla Corte bolognese sta e cade con lo stare e il cadere dei primi cinque motivi di appello e con essi della pretesa responsabilità ex contractu di B..

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, n. 4718 del 10/03/2016, Rv. 639072 – 01; Sez. 3, n. 24625 del 03/12/2015 Rv. 637951 – 01; Sez. 3, n. 2525 del 07/02/2006, Rv. 586526 – 01; Sez. 1, n. 19883 del 13/10/2005, Rv. 585763 – 01) in tema di responsabilità precontrattuale, il pregiudizio risarcibile è circoscritto al solo interesse negativo, costituito sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative ed in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di altre occasioni di stipulazione contrattuale, pregiudizio liquidabile anche in via equitativa, sulla base di criteri logici e non arbitrari.

7. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 1218,1223 e 1337 c.c.

Non era vero, secondo la ricorrente, che l’interesse contrattuale negativo escluda il lucro cessante, pur sempre risarcibile ex art. 1337 c.c. se si riannoda causalmente alla vicenda piuttosto che al contratto non concluso.

Il motivo, attinente al quantum debeatur, resta assorbito, in difetto di responsabilità attribuibile alla B..

Solo per opportunità nomofilattica la Corte tiene a ricordare che la giurisprudenza invocata dalla ricorrente, perfettamente allineata all’orientamento consolidato, si limita ad affermare che nelle ipotesi di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. si applica l’art. 1223 c.c., con la conseguenza che il risarcimento deve comprendere sia la perdita subita che il mancato guadagno (ossia il lucro cessante), purchè in relazione immediata e diretta con la lesione dell’affidamento, e non del contratto; il pregiudizio risarcibile quindi consiste nel danno emergente nelle spese sostenute e nel lucro cessante nelle occasioni di lavoro mancate, mentre resta, in ogni caso, escluso quanto sarebbe stato dovuto in forza del contratto non concluso. Ne deriva che il tempo dedicato, senza corrispettivo, all’esecuzione dell’opera non costituisce, di per sè, un danno emergente risarcibile, in quanto esso è, al più, valutabile come danno non patrimoniale, che in tal caso non è suscettibile di risarcimento (Sez. 1, n. 27648 del 20/12/2011, Rv. 620950 – 01).

La ricorrente individua tale lucro cessante nella produzione 2000 – 2001, che di per sè non può costituire un pregiudizio, tanto più che, come risulta dalla sentenza impugnata, B. ha comunque autorizzato M. alla vendita dei relativi prodotti.

8. Con l’ottavo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, perchè, nell’affermare l’inconferenza della consulenza tecnica esperita presso il Tribunale di Fermo, la Corte di appello aveva omesso di considerare che almeno i primi due quesiti, riguardanti le spese sostenute da M., non avevano a che vedere con il danno da lucro cessante.

Il motivo, per vero assai difficilmente riconducibile alla nozione di denuncia di omesso esame di fatto decisivo, resta assorbito, in quanto attinente al quantum debeatur.

9. Con il nono motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 61 c.p.c., art. 115 c.p.c., comma 1, artt. 116 e 194 c.p.c..

La Corte di appello nel ritenere nulla la consulenza non aveva rispetto le regole che governano la cosiddetta consulenza tecnica “percipiente”, per cui quando si rende necessario il ricorso a conoscenze tecniche specialistiche nell’accertamento dei fatti la consulenza si pone a tale riguardo come fonte oggettiva di prova.

A tale riguardo la determinazione del danno rendeva necessario l’esame di materiali giacenti in magazzino, di documenti di contabilità industriale e di contabilità ordinaria e fiscale che non potevano essere prodotti in giudizio.

Il motivo resta assorbito perchè inerente al quantum, in difetto di accertata responsabilità di B..

Peraltro, la natura percipiente della consulenza tecnica non autorizza il consulente a ricevere documenti non tempestivamente prodotti in causa, a fronte dell’opposizione della controparte, durante le operazioni peritali, salvo che si tratti di documenti attinenti a fatti accessori, rientranti nell’aspetto tipicamente tecnico della consulenza e non di fatti e situazioni che sono posti direttamente a fondamento delle domande e delle eccezioni delle parti e quindi debbono da queste essere provati (da ultimo Sez. 1, 15/06/2018, n. 15774; Sez.1, 11/01/2017, n. 512; Sez.2, 27/10/2016, n. 21760; Sez.2, 14/12/2015, n. 25140).

10. Il ricorso deve quindi essere rigettato e la ricorrente condannata alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 7.200,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre oneri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 31 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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