Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18773 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/09/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 10/09/2020), n.18773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI P. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23088/2012 proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante

p.t., elettivamente domiciliati in Roma, via Gramsci n. 34, presso

lo studio dell’avv. Vincenzo Ioffredi, rappresentata e difesa

dall’avv. Francesco Mancini;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente

domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale Dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

– ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza n. 13/04/2012 della COMM. TRIB. REG., MOLISE,

depositata il 29/2/2012, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2019 dal consigliere Gori Pierpaolo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 13/4/12 depositata in data 29 febbraio 2012 la Commissione tributaria regionale del Molise accoglieva parzialmente l’appello proposto da (OMISSIS) Spa, avverso la sentenza n. 3/3/11 della Commissione tributaria provinciale di Campobasso, la quale a sua volta aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente contro un avviso di accertamento per IRAP, IRPEG e IVA 2004 per operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere nel quadro di frodi carosello. In particolare, la CTR, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava deducibili ai fini dell’imposizione diretta i costi oggetto di ripresa a tassazione.

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo tre motivi e rendendo noto, con nota di deposto datata 29 ottobre 2013, di essere nelle more fallita. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso e proponendo ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo di ricorso principale la contribuente deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente e contraddittoria motivazione, per aver la CTR affermato l’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate poste in essere con i fornitori, sulla base di apodittici assunti, non avendo la società mai intrattenuto rapporti diretti con l’estero, e avendo operato gli acquisti come da prassi del settore – on line e attraverso il passa parola dei colleghi -, senza per questo essere divenuta complice delle cedenti nel meccanismo frodatorio IVA accertato. La contribuente invocava inoltre precedenti favorevoli resi dalla CTP di Campobasso relativi ad altre società in controversie analoghe alla presente, e rammentava infine che i fornitori avevano praticato nei suoi confronti prezzi in linea con il mercato.

– Il motivo, come eccepito in controricorso, è inammissibile. Va rammentato che la Corte opera un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice del merito (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332). Alla luce di tali principi giurisprudenziali, il motivo si rivela inammissibile, non evidenziando fatti ed elementi di prova decisivi e contrari a quelli oggetto di accertamento da parte del giudice del merito, ritualmente introdotti nel processo e dalla CTR non considerati.

– Con il secondo motivo di ricorso la contribuente censura – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 2697 c.c. non avendo la CTR applicato correttamente il canone di riparto dell’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti.

– Il motivo non è inammissibile come eccepito in controricorso, dal momento che non è diretto a far valere una rivalutazione del fatto bensì prospetta la violazione del riparto dell’onere della prova, ma nondimeno è infondato. Va rammentato che “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018 – Rv. 647837 – 01; conforme Sez. 5 -, Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018 – Rv. 651004 – 01).

– Nel caso di specie, la sentenza impugnata a pag. 6 richiama necessità di prova anche dell’elemento soggettivo della “conoscenza o conoscibilità”, e si è nei fatti sostanzialmente attenuta al richiamato consolidato canone giurisprudenziale di riparto dell’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, ponendo a carico dell’Agenzia l’onere di dimostrare non solo la fittizietà dei fornitori e del fatto che la contribuente versava in condizioni di conoscenza o conoscibilità di tale stato di cose.

– Infatti, dalla lettura delle pagg. 10. ss della sentenza emerge con chiarezza la dimostrazione da parte dell’amministrazione della fittizietà delle fornitrici cartiere (“In ordine alla esistenza del contesto fraudolento, l’amministrazione finanziaria ha ricostruito la complessa vicenda dei passaggi interni dalle società (…) fino all’acquirente finale Master Car srl (…)”, pag. 12) con precisi richiami agli elementi di prova e ai fatti di causa, in primo luogo tratti dal p.v.c..

– Inoltre, a pag. 13 vengono evidenziati puntuali elementi di fatto che fondano la ritenuta conoscibilità di tale stato di coste in capo alla contribuente: “(…) non è dubitabile l’esistenza di intensi e duraturi rapporti tra la cessionaria accertata (Master Car srl) e la sua principale fornitrice Union Motors Srl, entrambe facenti capo alla gestione del sig. T.F. (…) un minimo di cautela imponeva a Master Car Srl di verificare la credibilità e l’affidabilità dei suoi venditori interposti, considerato che la convenienza dei prezzi delle vetture e il limitatissimo margine di guadagno applicato dagli stessi cedenti poteva porre dubbi sulla liceità dei trasferimenti. Altro elemento di valutazione è rappresentato, dunque, dalla congruità dei prezzi delle cessioni (..)”. Dal complesso di tali accertamenti in fatto la CTR desume sulla base di un’adeguata motivazione la dimostrazione anche dell’elemento soggettivo della conoscenza in capo alla contribuente (manovra alla quale la società Master Car srl risulta aver partecipato, traendone comunque consapevole beneficio” (p. 16 sentenza), società che non ha fornito, nè offerto in ricorso, di provare la propria massima diligenza secondo il canone giurisprudenziale sopra richiamato.

– Con il terzo motivo di ricorso principale la contribuente censura – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, per aver la Corte d’appello illegittimamente confermato la ripresa anche in merito al disconoscimento della detrazione dell’IVA corrisposta sugli acquisti delle autovetture.

– Il motivo, anch’esso non costituente inammissibile rivalutazione delle statuizioni del giudice del merito, è infondato. “In tema di IVA, la volontaria utilizzazione di documentazione fiscale non corrispondente alla realtà economica, configurando nei confronti del contribuente la partecipazione ad una frode fiscale, gli impedisce di avvalersi del principio della tutela del terzo di buona fede, così come delineato dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza 6 luglio 2009, in cause riunite C439/04 e C-440/04) e preclude, quindi, la detraibilità dell’imposta risultante dalle fatture.” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5912 del 11/03/2010, Rv. 612148 – 01). In applicazione di tale principio di diritto, la S.C. in quella fattispecie ha cassato la sentenza della commissione tributaria regionale che aveva annullato un avviso di rettifica di dichiarazione IVA per indebita detrazione di costi risultanti da fatture soggettivamente inesistenti, sul presupposto della mancanza di dolo del contribuente, il quale aveva effettivamente ricevuto e pagato la merce indicata in fattura, senza tener conto che la merce proveniva da un’impresa diversa da quella figurante sulle fatture. In aggiunta, nel caso in esame, la CTR ha anche accertato la partecipazione consapevole al meccanismo frodatorio e, dunque, a maggior ragione le conclusioniet del giudice d’appello sulla indetraibilità dell’imposta risultante dalle fatture sono pienamente coerenti con il principio di diritto richiamato.

– Con l’unico motivo di ricorso incidentale – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – l’Agenzia deduce la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (oggi art. 109), dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., oltre che l’insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi della causa, per aver ritenuto che i costi specificati nelle fatture emesse da falsi intermediari potessero essere portati in deduzione ai fini delle imposte dirette.

– Il motivo è fondato. Va tenuto conto del fatto che la previsione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, inizialmente richiamata dall’Agenzia per contestare la deducibilità ai fini dell’imposizione diretta dei costi per i quali è riconosciuta l’indetraibilità IVA è stata nelle more sostituita.

– Lo ius superveniens che governa la fattispecie è il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, convertito in L. n. 44 del 2012, secondo il quale nella determinazione dei redditi di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 1, “non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale.”.

– Tale previsione è applicabile alla fattispecie, in quanto la Corte ha già statuito che “Nel giudizio di legittimità, lo “ius superveniens”, che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare di regola applicazione solo alla duplice condizione che, da un lato, la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione, e ciò perchè, in tale ipotesi, il ricorrente non ha potuto tener conto dei mutamenti operatisi successivamente nei presupposti legali che condizionano la disciplina dei singoli casi concreti; e, dall’altro lato, la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell’ordinamento in materia di processo per cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – impediscono di rilevare d’ufficio (o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c.) regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza di disposizioni, ancorchè dotate di efficacia retroattiva, afferenti ad un profilo della norma applicata che non sia stato investito, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano quindi una questione non sottoposta al giudice di legittimità. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha applicato il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. dalla L. n. 44 del 2012, modificativa del regime di indeducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, operante ai sensi del successivo comma 3 anche per i fatti pregressa” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 19617 del 24/07/2018, Rv. 649858 – 01).

– Tale è il caso di specie – mutatis mutandis – in quanto la novella è sopravvenuta alla pubblicazione della sentenza di appello ed è specificamente invocata dall’Agenzia attraverso la proposizione di ricorso incidentale, e la normativa sopravvenuta è pertinente alle questioni dedotte nel ricorso, afferendo al regime di inde-ducibilità, ai fini delle imposte dirette in dipendenza di operazioni soggettivamente inesistenti. Sulla questione la sentenza dev’essere quindi cassata, con rinvio alla CTR per la valutazione della circostanza che i c.d. “costi da reato” in relazione alle operazioni effettivamente eseguite rispondano agli ordinari criteri di inerenza all’attività di impresa o meno. (Cass. n. 32587 del 2019).

– In conclusione, in accoglimento del ricorso incidentale, disatteso il ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR Molise, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.

PQM

La Corte accoglie il ricorso incidentale, rigettato il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR Molise, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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