Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18771 del 14/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/09/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 14/09/2011), n.18771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa,

dall’avvocato SIGILLO’ MASSARA GIUSEPPE giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.V.J., P.K., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA TARQUINIA, 5/D (ST.FALLA TRELLA FRANCO), presso lo studio

dell’avvocato RIOMMI MAURIZIO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GORACCI LUCA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 192/2007 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/02/2007 r.g.n. 281/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega GIUSEPPE MASSARA SIGILLO’;

udito l’Avvocato RIOMMI MAURIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per l’inammissibilità per P.

K. e rigetto per E.V.J.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 17/2 – 28/3/07 la Corte d’appello di Firenze – sezione lavoro rigettò l’impugnazione proposta dalla s.p.a Poste Italiane avverso la sentenza n. 1/04 del giudice del lavoro del Tribunale di Siena, con la quale era stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto stipulato l’1/2/99 con P.K. e D.V.J. sulla base delle esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione societaria di cui all’art. 8 del CCNL di settore del 26/11/94, con trasformazione dello stesso in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La Corte territoriale accertò, in particolare, che successivamente al 31/5/98, termine ultimo fissato dalla contrattazione collettiva per il ricorso ai contratti a termine sulla base della causale delle summenzionate esigenze eccezionali, non vi era stato alcun momento negoziale che legittimasse la deroga al principio legale in materia di contratti a termine; inoltre la società appellante non aveva apportato in giudizio elementi positivi atti a suffragare la sua eccezione concernente la presunta attività svolta dalla lavoratrice medio tempore.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la s.p.a Poste Italiane che affida l’impugnazione a tre motivi di censura. Resistono con controricorso gli intimati.

La ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Osserva la Corte che nelle more del giudizio è intervenuto un accordo conciliativo tra la società ricorrente e P.K., come da copia del verbale di conciliazione sindacale del 18/11/2010 prodotta in atti, per cui il ricorso va dichiarato inammissibile nei confronti di quest’ultima lavoratrice.

Invero, dal predetto verbale risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia “de qua”, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

Osserva il Collegio che il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278, Cass. 13-7-2009 n. 16341).

Ricorrono, inoltre, giusti motivi, considerato l’accordo intervenuto, per compensare le spese del giudizio di cassazione tra le parti che hanno partecipato a tale accordo.

Vanno, quindi, esaminati i motivi del ricorso nei confronti del solo D.V.H..

1. Col primo motivo è dedotta la violazione ed erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio e viene posto il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se è vero che in virtù della delega in bianco contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23 l’autonomia sindacale investita da funzioni paralegislative non incontra limiti ed ostacoli di sorta nella tipologia dei nuovi contratti a termine in relazione alle ipotesi che ne legittimano la conclusione, per cui gli accordi successivi a quello del 25/9/1997 non hanno una natura negoziale bensì meramente ricognitiva del fenomeno della ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto”.

2. Col secondo motivo si denunzia la violazione ed erronea applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Il quesito di diritto posto di conseguenza è il seguente: “Dica la Corte se il sistema delineato dalla legge preveda la necessità che, ove le nuove ipotesi di contratto a termine siano dotate di particolare ampiezza tale da capovolgere il rapporto tra la regola generale dell’assunzione a tempo indeterminato e l’assunzione a termine, la norma contrattuale debba necessariamente avere una efficacia temporale limitata”.

3. Col terzo motivo è, infine, lamentata l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) e si formula il seguente quesito: “Dica la Corte se, nel caso di oggettiva difficoltà della parte ad acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare la prova a supporto delle proprie domande o eccezioni, e segnatamente per la prova dell’aliunde perceptum, il giudice debba valutare le richieste probatorie con minor rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole (con apposita motivazione) solo quando gli elementi somministrati dal richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto”.

Osserva la Corte che i primi due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto investono, nel loro insieme, la questione della portata della cosiddetta “delega in bianco” per il ricorso alla tipologia dei contratti a termine, di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’efficacia temporale della stessa. Orbene, occorre partire dal dato principale per il quale il contratto in esame è stato stipulato, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali in corso e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane” – ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998, vale a dire con decorrenza dall’1/2/1999.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto “de quo”. Al riguardo, sulla scia della pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. SU. 2-3-2006 n. 4588), è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra ie altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’ari 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-142008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

in base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va, quindi, confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo, risultando superfluo l’esame di ogni altra censura al riguardo.

Parimenti, poi, del tutto generica e priva di autosufficienza è la censura relativa all’aliunde perceptum, oggetto del terzo motivo di censura.

Anche al riguardo la ricorrente non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8- 2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -).

Quanto alla lamentata omessa motivazione sulla richiesta di far esibire al lavoratore il libretto di lavoro e le buste paga si osserva che, al contrario, la Corte territoriale ha chiaramente evidenziato che era onere della parte datoriale che eccepiva la percezione, da parte del lavoratore, di altri emolumenti, provarne l’esistenza.

Tra l’altro, non può non rilevarsi che la richiesta di esibizione del libretto di lavoro, oltretutto meramente esplorativa ed in contrasto con la corretta affermazione del principio del riparto degli oneri probatori, non è di per sè idonea a provare, anche dal punto di vista quantitativo, la causa di riduzione delle prestazioni a carico del datore di lavoro, per cui nemmeno avrebbe potuto essere considerata un punto decisivo della controversia ai fini del dedotto e non provato vizio di motivazione.(per un caso analogo v. in tal senso Cass. sez. lav. n. 9716 del 24/7/2000).

Così risultato infondato il motivo, riguardante le conseguenze economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina de rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sta altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).

Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Il ricorso va, pertanto, rigettato nei confronti di D.V.J..

Quanto alle spese del presente giudizio, le stesse vanno compensate tra la ricorrente e P.K. in considerazione dell’intervenuto accordo conciliativo, mentre seguono la soccombenza della società postale per quel che riguarda la posizione del D. V., e vanno poste a carico della stessa, nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile nei confronti di P. K. e lo rigetta nei confronti di D.V.J.. Compensa le spese del presente giudizio nei confronti di P.K. e condanna la ricorrente a rifonderle al D.V. nella misura di Euro 2500,00 per onorario, Euro 40,00 per esborsi, nonchè IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2011

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