Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18769 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 12/07/2019, (ud. 19/02/2019, dep. 12/07/2019), n.18769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27994-2017 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI RE DI

ROMA 52, presso lo studio dell’avvocato CHIARA SPANO’, rappresentato

e difeso dall’avvocato PLACIDO MINEO;

– ricorrente –

contro

BANCA NAZIONALE LAVORO SPA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 441, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO MARINI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1012/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

RIVERSO.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 1012/2017, accogliendo l’appello della Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., ha riformato la pronuncia di primo grado e condannato F.F. al pagamento della somma di Euro 15.000,00 oltre accessori, a titolo di penale prevista dall’accordo di assunzione pattuito con la scrittura del 9 giugno 2011.

Contro la sentenza F.F. ha proposto ricorso per cassazione con un motivo di censura, al quale ha resistito la Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. con controricorso.

Alle parti è stata comunicata la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321,1325,1326 c.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 3) in quanto la corte territoriale ha erroneamente qualificato il documento oggetto di causa come un contratto laddove invece – per il suo evidente tenore letterale, la definizione attribuitagli dallo stesso appellante e la sua intrinseca incompletezza – esso doveva essere considerato come se si trattasse di una semplice lettera di intenti non avente valore vincolante.

Il ricorso è infondato atteso che la Corte d’appello, con una valutazione di merito incensurabile in questa sede e conforme a diritto, interpretando complessivamente la pattuizione in oggetto, ha ritenuto che essa avesse effetti impegnativi obbligatori per entrambe le parti del rapporto in quanto nell’atto erano specificatamente indicati tutti gli elementi costitutivi del rapporto di lavoro da attivare; mentre non era rilevante la mancanza di una data esatta di presa del servizio essendo la stessa individuabile implicitamente nel 31 luglio 2011, che era il termine finale di impegno all’assunzione preso dalla BNL; nella medesima direzione muoveva, inoltre, secondo i giudici d’appello, proprio la previsione di una penale di Euro 15.000,00 in quanto indicativa della volontà delle parti ad un reciproco vincolo, al fine di valutare gli effetti obbligatori dell’accordo ed escludere che si trovassero solo in una fase di mere trattative; volontà confermata altresì con la fuma del lavoratore che risultava apposta per accettazione delle clausole e non per mera ricevuta del documento.

Sulla scorta di tali elementi di fatto e con una valutazione scevra da vizi logici e giuridici, la Corte territoriale ha dunque ritenuto che, a fronte della proposta irrevocabile di BNL e dell’accettazione del lavoratore, si fosse configurato un vero e proprio contratto preliminare che impegnava entrambi i contraenti a concludere in un tempo successivo predeterminato un nuovo contratto volto all’assunzione. Tale valutazione risulta conforme ai principi stabiliti dalle regole dettate in materia di interpretazione dei contratti, le quali impongono, anzitutto (art. 1362 c.c.), di interpretare il contratto indagando quale sia stata la comune intenzione delle parti e di non limitarsi al senso letterale delle parole (ed in tal senso non ha quindi decisiva rilevanza il fatto che la stessa Bnl abbia parlato in seguito di “lettera di intenti” posto che la qualificazione di un accordo ad opera della parti deve comunque corrispondere al contenuto obiettivo del negozio). La legge prevede inoltre che le clausole del contratto si interpretano complessivamente, le une per mezzo delle altre (art. 1363 c.c.) e che nel dubbio il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno (art. 1367 c.c.). E tali ultimi canoni vengono qui in rilievo a fronte della pretesa del ricorrente di sterilizzare e rendere priva di qualsiasi funzione la previsione, contemplata nella scrittura, di una apposita clausola penale con liquidazione del danno in Euro 15.000 in caso di inadempimento (dell’obbligo evidentemente già preso di dare corso all’accordo).

Ed invero, essendo prevista la penale proprio per il caso che si è verificato, non si capisce per quale motivo la stessa clausola dovesse rimanere priva di effetti. Mentre dalla lettura complessiva dell’atto, si evince che anche il lavoratore sarebbe rimasto vincolato nel caso in cui la banca gli avesse comunicato l’assunzione nei termini stabiliti. E che, pertanto, egli avesse già accettato negli stessi termini di assumere i comportamenti conseguenti ed inoltre a corrispondere in caso di inadempimento una penale; la quale, avendo come suo connotato essenziale l’accessorietà, postula quindi, per poter operare, l’esistenza a monte di un vincolo contrattuale rimasto inadempiuto.

Il ricorso deve essere quindi rigettato, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte del ricorrente ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 e art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.200 di cui Euro 2.000 per compensi professionali oltre al 15% di spese generale ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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