Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18769 del 07/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 18769 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 29044-2007 proposto da:
VIRGILIO

ANNA

VRGNNA52H611234I,

FERRO

NICOLA

FRRNCL49S19L083Q, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA SAVASTANO 20, presso lo studio dell’avvocato DE
STEFANO MAURIZIO, rappresentati e difesi
dall’avvocato FERRO NICOLA giusta delega in atti;
– ricorrenti –

2013
contro

1600

EDITORIALE CORRIERE S.R.L., FABOZZO ANTIMO, PELAGALLI
DOMENICO;
– intimati –

1

Data pubblicazione: 07/08/2013

sul ricorso 31596-2007 proposto da:
FABOZZO

ANTIMO

FBZNTM61B02A512M,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DEI QUATTROVENTI 162,
presso lo studio dell’avvocato LUCIDI LAURA,
rappresentato e difeso dall’avvocato DE SIENA MARINA

– ricorrente contro

FERRO NICOLA, EDITORIALE CORRIERE S.R.L., VIRGILIO
ANNA;
– intimati –

sul ricorso 31601-2007 proposto da:
PELAGALLI DOMENICO DETTO MIMMO PLGDNC66H07B715L,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAPOSILE 10
(studio MAGRI GIANCARLO), presso lo studio
dell’avvocato LUCIDI LAURA, rappresentato e difeso
dall’avvocato DE SIENA MARINA giusta delega in atti;
– ricorrente contro

VIRGILIO ANNA, FERRO NICOLA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 2900/2006 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/09/2006, R.G.N.
153/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

09/07/2013

dal

2

Consigliere

Dott.

giusta delega in atti;

ANNAMARIA AMBROSIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
previa riunione, ammissibilità e manifesta fondatezza
del ricorso principale con assorbimento di quelli

incidentali;

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 20.09.2006 la Corte di appello di
Napoli – pronunciando sull’appello proposto dai coniugi avv.
Nicola Ferro e Anna Virgilio – ha confermato la sentenza del
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 17.09.2003 di

dell’editoriale Corriere s.r.1., di Antimo Fabozzo e di
Domenico Pelagalli, rispettivamente editore, direttore
responsabile e redattore della testata giornalistica “Corriere
di Caserta”, avente ad oggetto il pagamento della somma di E
1.200.000.000, a titolo risarcimento dei danni materiali e
morali, conseguenti alla pubblicazione in data 29.05.1988 di
un articolo, asseritamente diffamatorio, dal titolo:

“Teano,

truffa all’Imec. Spuntano altri indizi per i tre alla sbarra’;
in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha, invece,
compensato interamente tra le parti le spese di ambo i gradi.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per
cassazione l’avv. Nicola Ferro e Anna Virgilio, svolgendo un
unico motivo, sotto il duplice profilo della violazione di
legge e del vizio motivazionale.
Hanno resistito sia Domenico (detto Mimmo) Pelagalli, sia
Antimo Fabozzo, depositando distinti controricorsi, di
identico contenuto e svolgendo, a loro volta, ricorso
incidentale, affidato ad unico motivo.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte
dell’editoriale “Corriere” s.r.1..
MOTIVI DELLA DECISIONE

l. Preliminarmente si dà atto che i ricorsi proposti in via

4

rigetto della domanda proposta dagli appellanti nei confronti

principale e incidentale avverso la stessa sentenza sono
riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.
Detti ricorsi – avuto riguardo alla data della pronuncia
della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e
antecedente al 4 luglio 2009) – sono soggetti, in forza del

art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58,
alla disciplina di cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg.
come risultanti per effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006.
2. I Giudici di appello – premesso che l’impugnazione
muoveva dalla valutazione operata dal primo giudice, secondo
cui la titolazione dell’articolo in esame, riferita ai “tre
alla sbarra” implicava l’infondata notizia del rinvio a
giudizio, ancorchè corretta dai contenuti dell’articolo, ed
era volta, per l’appunto, a censurare la mancata attribuzione
di autonoma valenza diffamatoria dello stesso titolo – hanno
ritenuto che l’espressione usata, siccome priva di
qualsivoglia valenza tecnica e riferibile nella sua accezione
originaria o derivata esclusivamente

all’«elemento di

separazione dello scranno del giudice dall’ambiente residuo;
pulpito riservato all’esaminando»,

non implicasse l’idea del

rinvio a giudizio, ma solo l’essere convocato dal giudice; di
conseguenza hanno escluso che il titolo dell’articolo (“Teano
Truffa all’Imec Spuntano altri indizi per i tre alla sbarra”)
potesse ritenersi illegittimo anche isolatamente considerato;
hanno precisato a tal riguardo che la cronaca giudiziaria ha
ormai reso aduso il lettore alla circostanza che l’azione del
P.M. è soggetta al costante controllo del giudice e, poiché

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combinato disposto di cui al d.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,

l’esito fisiologico dell’opposizione della persona offesa alla
richiesta di archiviazione del P.M. è costituito dalla
comparizione davanti al G.I.P., il titolo in questione, anche
se inteso a enfatizzare la notizia, era

«compatibile con

l’instaurazione del diverso giudizio, meramente interlocutorio

illustrato nella descrizione resa nell’articolo»;

mentre

l’avere enfatizzato la mera presentazione dell’opposizione
alla richiesta di archiviazione,
lecito»

«si pone(va) ai confini del

senza, però, spingersi a definire come certi e

consolidati indizi che «spuntano».
2.1. I ricorrenti principali, con unico articolato motivo,
denunciano violazione degli artt. 595 cod. pen., 2 e 3 Cost.,
2043 e 2059 cod. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.), nonché
omessa o, comunque, insufficiente motivazione su fatti

decisivi e controversi (art. 360 n.5 cod. proc. civ.).
dellayr. 360 n.3 cndh prnr:.

2,1.1_ La censura ai sensi

civ. é corredata da un quesito con cui si chiede a questa
Corte se abbia violato l’art. 595 cod. pen. e gli artt. 2043 e
2059 cod. civ. la sentenza

«a) che abbia negato la portata

diffamatoria del titolo “Teano, truffa all’Imec. Spuntano
altri indizi per i tre alla sbarra’ e dell’articolo
interamente costruito sulla sussistenza di una imputazione di
truffa e sulla sopravvenienza di nuovi indizi a carico degli
indagati., tenuto conto del fatto che agli indagati, odierni
ricorrenti, mai è stato contestato dal P.M. il reato di
truffa, che tantomeno tale ipotesi di reato è stata trattata
dal G.I.P., che il cronista si è sottratto all’onere di

6

che ha luogo nella fase delle indagini, come definitivamente

fornire la prova della sopravvenienza e della consistenza dei
nuovi indizi a carico degli indagati; b) che abbia negato la
portata diffamatoria dell’articolo che, dopo aver riportato
pezzi della denunzia, integrati da circostanze false, ha del
tutto omesso di riferire quale fosse l’ambito dell’indagine

richiesta di archiviazione avanzata dallo stesso P.M.,
omettendo altresì di riferire che in sede di s.i.t. sia il
denunziante che due sue collaboratrici avevano ammesso
circostanze tali da smentire le stesse accuse formulate in
denunzia e che su tali smentite il P.M. aveva essenzialmente
fondato la sua richiesta di archiviazione; c) che abbia negato
l’offensività dell’articolo che ha omesso di riferire che
dalle indagini erano emersi elementi che avevano indotto il
P.M. a ravvisare una ipotesi di falso in bilancio che è reato
proprio degli amministratori; d) che abbia negato l’illiceità
dell’articolo che, ricorrendo all’ipotetica e quindi falsa
ricostruzione del contenuto dell’opposizione, ha fatto ricorso
all’avverbio “evidentemente’ per convincere i lettori della
sopravvenienza di nuovi elementi di accusa, così rendendo più
attuale e grave l’inesistente addebito per truffa; e) che
abbia negato l’illiceità dell’articolo assumendo che l’aver
omesso di fornire alcuna informazione in merito alle ragioni
della richiesta di archiviazione è da ritenersi di fatto
compensato dall’assenza di alcuna obbiettiva informazione in
merito alle ragioni dell’accusa».
2.1.2. La censura ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc.
civ. è corredata da un quesito con cui si chiede a questa

7

del P.M. e quali fossero le ragioni poste a base della

Corte si sussista il vizio di omessa ovvero insufficiente
motivazione su un fatto decisivo e controverso, tenuto conto
dei seguenti rilievi: «la sentenza ha ritenuto sostanzialmente
legittimo sia il titolo che l’articolo, entrambi incentrati
sulla sussistenza di un’accusa di truffa a carico degli

circostanza che dagli atti processuali esibiti dagli stessi
odierni ricorrenti e versati nella produzione di primo grado
(richiesta di archiviazione ed ordinanza del Gip), emergeva
che mai costoro erano stati indagati per truffa e che nemmeno
il Gip era stato chiamato a pronunziarsi su questo tema; b) la
sentenza gravata ha negato l’offensività del pezzo
giornalistico, senza mai considerare che il cronista si è ben
guardato dal riferire che le accuse sollevate dal denunziante
erano franate per le stesse dichiarazioni del denunciante e
delle sue collaboratrici e socie Acaluso e Marrone rese al
P.M.; nell’articolo si assume, infatti, genericamente che “il
P.M. non dato segno di credere alla versione fornita dal nuovo
presidente della cooperativa; c) la sentenza gravata esclude
l’offensività del titolo, in quanto esso sarebbe
caratterizzato da “elevata genericità”,

inidonea a convincere

i lettori di un rinvio a giudizio degli indagati: motiva tale
assunto sostenendo che l’espressione

“alla sbarra”

sarebbe

priva di qualsivoglia accezione tecnica e vorrebbe richiamare
semplicemente la

“separazione dello scranno del giudice

dall’ambiente residuo”

ovvero “il pulpito dell’esaminando”

e

perciò implicherebbe “semplicemente l’essere stato convocato
dal giudice, il che non implica il rinvio a giudizio”;

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a tale

indagati, senza prendere in alcuna considerazione la decisiva

conclusione pervenendo, per giunta, senza considerare che il
titolo rappresenta la sintesi della comunicazione
giornalistica, cui è affidato il compito di colpire con
immediatezza l’attenzione del lettore, sicchè la scelta di
sintetizzare la notizia attraverso un titolo strutturato sulla

già di per sé offensivi, quali la sussistenza di un’accusa di
truffa, la condizione di soggetti

“alla sbarra”

e la

sopravvenienza di nuovi indizi, aveva, oltre ad una portata
significativamente emozionale, addirittura la funzione di
conseguire un’espansione di significati in senso
pregiudizievole per l’onore, 11 decoro, la reputazione,
l’immagine dei ricorrenti; d) la sentenza gravata esclude la
lesività della pubblicazione contestata, sostenendo che l’aver
omesso di fornire alcuna informazione in merito alle ragioni
della richiesta di archiviazione è da ritenersi di fatto
compensato dall’assenza di alcuna obiettiva informazione in
merito alle ragioni dell’accusa, senza considerare che
l’omissione di informazioni in merito alle ragioni dell’accusa
costituiscono duplice violazione della verità, posto che la
cronaca giudiziaria non può ritenersi fedele quando essa si
affidi a parziali ricostruzioni dei fatti e posto che
l’omissione di informazioni in merito alle ragioni
dell’archiviazione è condotta posta in essere in danno degli
indagati e che le ragioni dell’accusa (quelle vere e quelle
presunte) sono ampiamente trattate ed integrate con aggiunte
arbitrarie ed interessate del cronista; e) la sentenza gravata
non prende assolutamente in esame la condotta del giornalista

9

concatenazione di tre elementi ampiamente caratterizzanti e

che non ha mai dato prova alcuna della fondatezza e della
verità di quanto riferiva nel titolo e nell’articolo».
3. L’indagine deve muovere dall’esame, necessariamente
pregiudiziale, delle eccezioni di inammissibilità del ricorso,
prospettate da parte resistente con riguardo sia alla

censure motivazionali e di violazione di legge, sia in
relazione all’inadeguatezza dei quesiti di diritto, sia ancora
alla novità di una delle questioni prospettate con i suddetti
quesiti.
Innanzitutto va ribadito il principio, convalidato dalle
SS.UU. proprio nell’ambito della tematica concernente
l’elaborazione dei quesiti (cfr. sentenza 31 marzo 2009, n.
7770), secondo cui nessuna prescrizione è rinvenibile nelle
norme processuali, che ostacolino la duplice denunzia con
unico mezzo, di vizi di violazione di legge e di motivazione
in fatto (cfr. anche Cass.18 gennaio 2008, n. 976), fermo
restando che in tale caso il motivo si deve concludere con una
pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio
all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso
vi sia stata, oltre che un difetto di motivazione, anche un
errore di qualificazione giuridica del fatto. In particolare mentre l’illustrazione di un quesito di diritto richiesto
dalla prima parte dell’art. 366

bis

cod. proc. civ. in

relazione al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., va
funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ.,
all’enunciazione del principio di diritto ovvero a

dicta

giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare

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sovrapposizione, nello stesso motivo, di plurime ragioni di

rilevanza – il motivo di cui all’art. 5, dell’art. 360 cod.
proc. civ., avendo un diverso e specifico oggetto per
investire il solo

iter

argomentativo della impugnata

decisione, richiede una illustrazione, che sia libera da
qualsiasi rigidità formale, ma che nello stesso tempo si

controverso – in relazione al quale la motivazione si assuma
omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali
la dedotta insufficienza di motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione (Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556).
3.1. Ciò premesso in via di principio, osserva il Collegio
che le censure in ricorso sono essenzialmente riconducibili a
due fondamentali tematiche: da un lato, quella della (non)
veridicità della notizia, sotto un duplice profilo e, cioè,
vuoi sul presupposto della mancata corrispondenza della
fattispecie della truffa all’ipotesi accusatoria formulata dal
P.M., vuoi anche in considerazione dell’incompletezza
dell’informazione, carente su alcuni dati che avrebbero dovuto
dare contezza dell’infondatezza dell’accusa; dall’altro,
quella dell’insufficiente e, comunque, incongruo apprezzamento
del requisito della continenza delle espressioni verbali,
segnatamente per quanto riguarda l’intitolazione dell’articolo
e l’impatto emozionale connesso all’espressione “i tre alla
sbarra”.
Orbene – quanto alla censura di violazione di legge l’unica indicazione determinativa in diritto che è dato
evincere dal frammentato quesito sopra riportato è quella
attinente all’omesso rilievo della non veridicità della

11

concretizzi in una esposizione chiara e sintetica del fatto

notizia, integrante il reato di diffamazione; per il resto le
plurime proposizioni in cui si compone il quesito di diritto,
se riguardate come tali, sarebbero inammissibili, giacchè
l’esistenza dell’erronea regula luris è meramente presupposta
e il relativo contenuto non a caso per buona parte

esclusivamente funzionale a censurare, non già
l’individuazione e/o falsa applicazione delle norme in
rubrica, quanto piuttosto i modi con i quali la Corte
territoriale ha proceduto alla valutazione del fatto,
prospettando quindi, questioni propriamente attinenti alla
motivazione della sentenza.
Peraltro il principale ordine di doglianza, in punto di
inesatta individuazione dei contenuti dell’ipotesi
accusatoria, sia se riguardato come violazione di legge, sia
se considerato sotto l’aspetto dell’omessa motivazione,
incorre – come evidenziato da parte resistente – in altro e
assorbente profilo di inammissibilità, per la novità della
questione. Tanto in conformità al canone assolutamente
indiscusso, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione
devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che
abbiano già formato oggetto del

thema decidendum nel giudizio

di merito, essendo consentito dedurre nuovi tesi giuridiche e
nuovi profili di difesa solo quando esse si fondano su
elementi di fatto già dedotti dinanzi al giudice di merito e
per i quali non sia perciò necessario procedere ad un nuovo
accertamento (Cass. 16 dicembre 2010, n. 25510; 2005/19350;
2000/5845; 2000/14848; 2004/22154). In particolare, ove una

12

sovrapponibile a quello dei c.d. quesiti di fatto – si rivela

determinata questione giuridica – che implichi un accertamento
di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza
impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in
sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di
inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo

giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del
giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte
di cassazione di controllare

ex actis la veridicità di tale

asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.
(Cass. 12 luglio 2005, n. 14599).
Nel

caso

di

specie

le

questioni

eventualmente

prospettabili, in relazione all’individuazione o meno del
reato di truffa nella richiesta di archiviazione del P.M. e
nella successiva ordinanza del G.I.P. non risultano aver
formato oggetto di trattazione nel giudizio d’appello, secondo
quanto emerge dall’esame dell’impugnata sentenza nelle sue
componenti essenziali – conclusioni riportate nell’epigrafe,
esposizione del fatto e dei motivi dell’impugnazione,
motivazione – senza che, contro la stessa decisione sia stata
formulata specifica censura

ex

art. 112 cod. proc. civ.;

pertanto le questioni stesse, introducendo temi di dibattito
completamente nuovi e implicando decisione su elementi di
giudizio, pure in fatto, che non risultano aver formato
oggetto di contraddittorio nella fase di merito, si rivelano,
in ogni caso, insuscettibili di valutazione in questa sede.
In disparte il rilievo che la censura è anche generica,
giacchè tralascia di precisare se anche i contenuti della

13

di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al

denuncia e l’opposizione alla richiesta di archiviazione
prescindevano dall’ipotesi della truffa.
3.2. Per quanto attiene alle residue questioni, nei limiti
in cui possono ritenersi (ammissibilmente) “veicolate” dai
quesiti sopra riportati, occorre distinguere le doglianze

specificamente attinenti alla verifica della correttezza
verbale dell’informazione.
Rileva,

infatti,

il

Collegio

che

il

tentativo,

evidentemente sotteso alla censura di parte ricorrente, di
assimilare l’ipotesi di omessa a quella di falsa informazione,
con specifico riferimento all’omessa indicazione delle ragioni
della richiesta di archiviazione, è destinato ad infrangersi
nella considerazione della surrettizietà del richiamo al vizio
di violazione di legge e di difetto di motivazione. La censura
appare, invero, sostanzialmente funzionale al riesame del
ragionamento decisorio, laddove la Corte di appello ha
correttamente valutato il testo dell’articolo nel suo
complesso, ritenendo che la circostanza dell’omessa
indicazione delle ragioni poste dal P.M. a fondamento della
richiesta di archiviazione non fosse significativa, siccome
compensata dall’assenza di qualsiasi informazione anche in
ordine alle ragioni dell’accusa e, soprattutto, dall’assenza
di «chiari segni di condivisione della stessa»

accusa. Tutto

ciò attiene al merito della valutazione dei contenuti
dell’articolo e la scelta di una ricostruzione a scapito di
altre (pur astrattamente possibili e ipoteticamente
verosimili), non incontra altro limite che quello, qui

14

svolte in punto di completezza della notizia, da quelle più

osservato, di indicare le ragioni del proprio convincimento.
3.3. Diversamente è a dirsi per quanto attiene alla
questione dell’eventuale (autonoma) valenza diffamatoria del
titolo dell’articolo, posto che, a tal riguardo, la
motivazione della decisione impugnata muove dall’attribuzione

alla sbarra” o agli indizi che “spuntano”) di un significato
assolutamente singolare e, comunque, al di fuori del comune
sentire e, poi, oscilla tra due opposti rilievi – da un lato
assegna alle espressioni adoperate un significato atecnico e,
dall’altro, confida in una specifica competenza giuridica del
lettore, che permetterebbe di comprendere che essere “alla
sbarra” non vorrebbe dire altro che essere evocati davanti al
G.I.P. per l’udienza in camera di consiglio ex artt. 409 e 410
cod. proc. pen. – finendo per risultare assolutamente
incoerente.
E’ il caso di osservare che proprio a volere muovere, come
hanno fatto i giudici dell’appello, dall’etimologia della
parola “sbarra” e dal significato derivato che esso ha
assunto, non può farsi a meno di rilevare che la parola – come
si legge in qualsiasi vocabolario della lingua sta a
individuare «I/

tramezzo che nell’aula giudiziaria separa la

parte riservata ai giudici da quella in cui stanno gli
imputati» e non come vorrebbe la Corte di appello, qualsiasi
“esaminando”. Peraltro la decisione impugnata non solo
“sterilizza” l’espressione “i tre alla sbarra”, ma la “isola”
dal resto del titolo e dal riferimento agli indizi che sol
perché “spuntano” sembra abbiano una diversa valenza, sì da

15

alle espressioni adoperate (segnatamente con riguardo ai “tre

collocare il tutto «ai confini del lecito».
Si rammenta che il carattere diffamatorio di uno scritto
(“criterio della continenza”) non può essere escluso sulla
base di una lettura atomistica delle singole espressioni in
esso contenute, dovendosi, invece, giudicare la portata

quali: l’accostamento e l’accorpamento di notizie, l’uso di
determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico
le intenderà in maniera diversa o contraria al loro
significato letterale, il tono complessivo e la titolazione
dell’articolo (Cass. 13 gennaio 2002, n. 2066). E non è dubbio
che la scelta di espressioni aventi connotazioni maggiormente
spregiative di altre ugualmente utilizzabili, è idonea di per
sé – proprio in ragione dell’icastica perentorietà del titolo
– di impressionare e fuorviare il lettore più frettoloso che
si ferma alla lettura del titolo ovvero si limita a una scorsa
superficiale dell’articolo, ingenerando giudizi, magari
altrettanto superficiali, ma comunque idonei a ledere la
reputazione dei protagonisti dei fatti descritti.
In conclusione il ricorso, per la parte in cui attinge la
questione dell’autonoma valenza diffamatoria del titolo,
merita accoglimento, atteso che la motivazione della decisione
impugnata risulta

in parte qua quantomeno insufficiente. Ciò

comporta la cassazione della decisione impugnata, assorbiti i
ricorsi incidentali, e il rinvio alla Corte di appello di
Napoli in diversa composizione, per nuova motivazione sul
punto.
Il Giudice del rinvio provvederà anche alla regolazione

16
%

complessiva del medesimo con riferimento ad alcuni elementi,

delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie per guanto di ragione
il ricorso principale, assorbiti i ricorsi incidentali; cassa
la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese

diversa composizione.
Roma 9 luglio 2013

del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Napoli in

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