Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18768 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/09/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 10/09/2020), n.18768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29083 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

C.F.P., quale titolare dell’omonima ditta

individuale, rappresentato e difeso dall’Avv. Gaetano Michele Maria

de Bonis per procura speciale in calce al ricorso, elettivamente

domiciliato in Roma, via del Mattonato, n. 3, presso lo studio

dell’Avv. Donato Piccininni;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Basilicata, n. 224/2/2014, depositata in data 3

aprile 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre

2019 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a C.F.P. due avvisi di accertamento con i quali, relativamente agli anni di imposta 2004 e 2005, aveva recuperato a tassazione l’Iva contestando l’inesistenza oggettiva di una operazione di acquisto di beni strumentali dalla società General Credit, atteso che i suddetti beni erano stati, in precedenza, acquistati dal contribuente che li aveva riceduti all’azienda fornitrice (General Tractors) che li aveva, quindi, rivenduti ad altra società (la suddetta General Credit) che, a sua volta, li aveva riceduti al contribuente; avverso i suddetti atti impositivi il contribuente aveva proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati rigettati dalla Commissione tributaria provinciale di Potenza; avverso la pronuncia del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Basilicata ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: era infondato il motivo di appello relativo alla intervenuta decadenza dell’amministrazione finanziaria all’emissione dell’avviso di accertamento relativamente all’anno di imposta 2004; con riferimento al merito, le operazioni di cessione dei macchinari e di successivo acquisto dei medesimi erano da considerarsi fittizie, tenuto conto dei diversi elementi probatori posti alla sua attenzione;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso il contribuente affidato a tre motivi di censura, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso;

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., per avere ritenuto operante, nella fattispecie, il raddoppio del termine di decadenza, senza, tuttavia, compiere una prognosi postuma sulla fondatezza della notizia di reato in base agli elementi esistenti alla data della proposizione della denuncia, avendo, invece, compiuto la disamina all’esito della valutazione di merito della controversia;

il motivo è infondato;

la D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, integrando il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, ha previsto che in caso di violazione che comporta un obbligo di denuncia ai sensì dell’art. 331, c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione e, al D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 25, ha introdotto analoga disposizione in materia di Iva, previa modifica del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57;

tali disposizioni trovano applicazione al caso in esame, benchè relativo a periodo di imposta antecedente all’entrata in vigore delle richiamate disposizioni, in quanto, ai sensi del menzionato D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 26, il raddoppio dei termini si applica dal periodo d’imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto legge, siano ancora pendenti i termini ordinari per l’accertamento, per cui interessa anche il caso in esame relativo ad un avviso di accertamento emesso in relazione al periodo di imposta 20042005;

d’altro lato, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, non incidono le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, il cui art. 1, comma 132, ha introdotto, peraltro, un regime transitorio, oche si occupa delle sole fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo del precedente regime transitorio – non oggetto di abrogazione – di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, in virtù del quale la nuova disciplina non si applica nè agli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 nè agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione conosciuti dal contribuente entro il 2 settembre 2015 e seguiti dalla notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria entro il 31 dicembre 2015.” (Cass. 16 dicembre 2016 n. 26037);

sicchè, con riferimento al caso di specie, rileva unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del relativo procedimento e nonostante l’eventuale prescrizione del reato, poichè ciò che interessa è solo l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, atteso il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento tributario” (Cass. civ., 11 aprile 2017 n. 9322);

la sussistenza della suddetta astratta configurabilità è stata accertata dal giudice del gravame, laddove ha precisato che il raddoppio dei termini di decadenza era configurabile sussistendo una utilizzazione di false fatturazioni riferite a operazioni inesistenti;

non può, peraltro, seguirsi la linea difensiva di parte ricorrente secondo cui l’accertamento è stato fatto solo all’esito della valutazione del merito della controversia e non anche mediante una prognosi postuma della notizia di reato;

in realtà, il giudice del gravame ha evidenziato, proprio con l’inciso “tanto induce, anche per quanto si esporrà in prosieguo e come ampiamente dimostrato dall’amministrazione” che non solo la fattispecie, di per sè sola, era riconducibile, già nella sua prospettazione al momento dell’emissione dell’avviso di accertamento, alla astratta previsione di una fattispecie di reato, ma, in sede giudiziale, la tesi su dij si fondava la pretesa aveva trovato adeguato riscontro probatorio, evidenziando, in tal modo, la piena corrispondenza tra quanto prospettato in sede amministrativa e quanto, successivamente, accertato in sede giudiziale;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112, c.p.c., in particolare per vizio di extrapetizione in ordine alla qualificabilità delle operazioni contestate quali soggettivamente inesistenti;

in particolare, si censura la sentenza per avere fondato la decisione facendo riferimento alla natura soggettivamente inesistente delle operazioni realizzate, mentre il thema decidendum della controversia era unicamente circoscritto alla inesistenza oggettiva delle operazioni, pervenendo, peraltro, ad una pronuncia contraddittoria, avendo, nella parte iniziale della motivazione, fatto riferimento alla inesistenza oggettiva delle operazioni, mentre, successivamente, la motivazione della stessa sentenza si è fondata sulla natura soggettivamente inesistente delle medesime operazioni;

il motivo è infondato;

la motivazione della sentenza censurata è fondata sulla natura oggettivamente inesistente delle operazioni realizzate e, sul punto, la stessa ha specificato i diversi elementi che, considerati nel loro complesso, hanno condotto alla suddetta valutazione finale;

fra gli elementi valorizzati al fine di argomentare sul fatto che le operazioni non possano essere considerate reali e veritiere, ha anche fatto riferimento alla mancanza, per le singole società intervenute nell’operazione, delle effettiva e reale operatività di queste, avendo l’ufficio dimostrato l’inesistenza di dipendenti, beni strumentali e di un minimo di capitale e, soprattutto, l’inesistenza di alcun utile posto che l’acquisto e la successiva rivendita allo stresso prezzo non permetteva il conseguimento di alcun utile;

sicchè, il giudice del gravame, dopo avere indicato specificamente gli elementi di prova da cui ricavare la valutazione che le operazioni non erano reali, ha, conclusivamente, precisato che “Tutte le precedenti considerazioni confermano quanto esposto dai giudici di prime cure relativamente all’inesistenza delle operazioni contestate”;

l’inciso, evidenziato dal ricorrente, relativo all’inesistenza soggettiva, cui si fa riferimento nella parte finale della motivazione, ha dunque una valenza rafforzativa della considerazione circa la mancata realizzazione dell’operazione economica in esame, e va letta alla luce dell’intero percorso motivazionale seguito, nel quale, come detto, si è accertata la inesistenza oggettiva dell’operazione sulla base di diversi elementi, valorizzati dal giudice del gravame, fra cui, ai nostri fini, anche la circostanza che in merito alle società che hanno posto in essere le operazioni, inoltre, l’Ufficio ha dimostrato l’inesistenza di dipendenti, beni strumentali e di un minimo di capitale e, soprattutto, l’esistenza di un alcun utile posto che l’acquisto e la successiva rivendita allo stesso prezzo non permetteva il conseguimento di alcun utile;

pertanto, il riferimento all’inesistenza soggettiva è da riferirsi alle società che avevano posto in essere le operazioni, profilo che, unitamente agli altri elementi tenuti in considerazione dal giudice del gravame, ha condotto alla considerazione conclusiva della non effettività delle operazioni medesime;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere pronunciato in modo contraddittorio, avendo affermato che, nella fattispecie, sussistevano due profili di inesistenza dell’operazione, sia quella oggettiva che quella soggettiva;

il motivo è infondato;

sià evidenziato, in sede di esame del secondo motivo di ricorso, quale sia la lettura al passaggio motivazionale della pronuncia censurata evidenziata dal ricorrente a fondamento del presente motivo;

non vi è, dunque, alcuna contraddittorietà della pronuncia, avendo la stessa considerato l’inesistenza dell’operazione sia dal lato oggettivo che soggettivo, in quest’ultimo caso, in particolare, avendo verificato, come detto, che le società erano inesistenti e anche tale profilo è stato valorizzato a supporto della considerazione, finale e complessiva, della inesistenza delle operazioni in quanto non concretamente realizzate;

in conclusione, i motivi sono infondati, con conseguente rigetto del ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 1.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 10 settembre 2020

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