Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18766 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/07/2017, (ud. 27/04/2017, dep.28/07/2017),  n. 18766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6131-2015 proposto da:

CONSORZIO PER L’EDILIZIA RESIDENZIALE PER IL MEZZOGIORNO CERM IN

LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro

tempore dott. B.R., GRANDI LAVORI FINCOSIT SPA, in

persona degli amministratori e legali rappresentanti pro tempore

dott. B.R. e ing. S.R., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA A. VESALIO, 22, presso lo studio

dell’avvocato NATALE IRTI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FRANCESCO ARNAUD giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE NAPOLI, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 50-A, presso lo studio dell’avvocato

NICOLA LAURENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO MARIA

FERRARI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2521/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 04/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato FRANCESCO ARNAUD;

udito l’Avvocato LUIGI MARIA CUTOLO per delega orale;

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Consorzio per l’Edilizia Residenziale per il Mezzogiorno – CERM promosse giudizio arbitrale nei confronti del Comune di Napoli per essere risarcito del danno subito per ritardata emissione dei titoli di spesa per acconti e revisione prezzi relativi a un contratto di appalto; il lodo, reso esecutivo il 5.8.1994, condannò il Comune al pagamento di oltre 21 miliardi di Lire, oltre interessi legali; soltanto in data 19.3.2002, il Comune di Napoli pagò al CERM la somma di oltre 30 miliardi di Lire, comprensiva degli interessi.

Con atto di citazione del dicembre 2002, il CERM e la consorziata Grandi Lavori Fincosit s.p.a. convennero in giudizio il Comune di Napoli per ottenere, ex art. 1224 c.c., comma 2, il risarcimento del danno ulteriore – rispetto a quello coperto dagli interessi – conseguente al ritardato pagamento.

Il Tribunale di Napoli rigettò la domanda con sentenza che venne confermata dalla Corte di Appello.

Con sentenza n. 6666/2009, questa Corte cassò la sentenza di appello, con rinvio alla Corte territoriale.

La Corte di Appello di Napoli ha accolto parzialmente le domande risarcitorie, condannando il Comune a pagare la somma di 1.494.271,53 euro, oltre spese di lite.

Ricorrono per cassazione il Consorzio per l’Edilizia Residenziale per il Mezzogiorno – CERM in liquidazione e la soc. Grandi Lavori Fincosit s.p.a., affidandosi a quattro motivi, illustrati da successiva memoria; resiste l’intimato a mezzo di controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La sentenza di cassazione ha disposto il rinvio alla Corte territoriale affermando il seguente principio di diritto: “la sentenza di condanna (o il lodo arbitrale) al pagamento di somma di denaro liquidata in relazione alla data della pronuncia e dovuta a qualsiasi titolo, e dunque anche per il ritardo del debitore nell’adempimento di un’obbligazione originariamente pecuniaria, contempli o no la condanna del debitore al pagamento anche degli interessi a far tempo dalla data della liquidazione e fino al momento dell’effettivo pagamento, comunque consente al creditore sia di pretendere il pagamento degli interessi maturati successivamente alla pronuncia, sia di domandare in separato giudizio il risarcimento – ex art. 1224 c.c., comma 2 – del maggior danno cagionatogli dal colpevole ritardo del debitore nel dare esecuzione alla sentenza medesima; tale ritardo assume a tali fini rilievo dalla data di insorgenza della mora, determinata da una delle situazioni che valgono a configurarla ai sensi dell’art. 1219 c.c. e presuppone il passaggio in giudicato della sentenza che non sia esecutiva solo nel senso che, prima di allora, la domanda del creditore è priva di titolo ed il debitore potrebbe per questo opporsi alla pretesa, ma una volta che il giudicato si sia formato il ritardo va computato dalla data in cui sia intervenuta la mora. Nel caso di sentenza provvisoriamente esecutiva, la immediata esigibilità del credito comporta essa stessa – ai sensi dell’art. 1219 c.c., comma 2, n. 3 – una situazione di mora debendi dalla data della pubblicazione della sentenza (o di esecutività del lodo), salvi gli effetti della possibile caducazione del titolo”.

2. La Corte di rinvio ha dato atto che la parte attrice aveva richiesto di accertare il ritardo di quasi otto anni con cui il Comune aveva provveduto al pagamento e di condannare il convenuto al risarcimento dei danni ulteriori rispetto a quelli coperti dagli interessi già corrisposti, che erano stati quantificati in poco meno di 20 miliardi di Lire, di cui oltre 11 miliardi a titolo di “costo dell’indebitamento bancario”, oltre 5 miliardi per “svalutazione monetaria” sulla somma determinata dal lodo e oltre 3,6 miliardi a titolo di differenza tra gli interessi legali versati dal Comune e quelli che la soc. Grandi Lavori Fincosit avrebbe potuto percepire tramite investimento; la Corte ha inoltre dato atto che la parte attrice aveva chiesto anche “l’aggiornamento del maggior danno sino all’emananda sentenza, oltre al pagamento degli interessi anatocistici ex art. 1283 c.c.”.

Tanto premesso, la Corte ha rilevato che il costo dell’indebitamento bancario era stato stimato dal c.t.u. sulla base di un “differenziale” fra gli interessi passivi pagati dalla società nel periodo di riferimento e quelli che sarebbero stati pagati ipotizzando che la somma determinata dal lodo fosse stata versata immediatamente alla data di esecutività del titolo e impiegata per ridurre l’esposizione bancaria; la rivalutazione monetaria era stata invece quantificata applicando i coefficienti medi ISTAT sull’importo originario di oltre 21 miliardi di Lire; la terza voce di danno era stata determinata, infine, in base alla differenza fra gli interessi al tasso legale riconosciuti dal lodo e “quelli maggiori che la società avrebbe conseguito versando la somma di Lire 21.052.747.060 in banca, beneficiando dei frutti di investimenti privi di rischio”; sulla base dei conteggi effettuati e dell’aggiornamento compiuto fino alla data del 30.9.2013, il c.t.u. aveva stimato il maggior danno complessivo in Euro 22.295.819,49.

Sulla base di tali elementi e ritenuti integrati sia la colpa del Comune per il ritardo che il nesso di causa tra tale ritardo e il “danno subito dagli attori, costituito dal maggiore e più oneroso indebitamento bancario”, la Corte ha tuttavia rilevato che “la pretesa risarcitoria ricostruita dagli attori risente di una ingiustificata duplicazione di voci risarcitorie che attengono al medesimo danno”: ha osservato, infatti, che la somma dovuta in base al lodo era suscettibile di un solo utilizzo, ossia “o per ridurre l’indebitamento bancario o per procedere ad operazioni di investimento, non certo per fare l’uno e l’altro”; del pari, integrava duplicazione del medesimo danno il calcolo della rivalutazione secondo indici ISTAT, “posto che tale criterio già rappresenta una minima forma di ristoro del pregiudizio da ritardo non coperto dagli interessi legali, come tale ampiamente assorbita dal risarcimento richiesto per il cd. costo dell’indebitamento”.

Esclusa pertanto la cumulabilità di voci risarcitorie alternative, la Corte ha ritenuto che “soltanto l’importo differenziale degli interessi bancari corrisposti agli istituti di credito a seguito del mancato incasso della somma di Lire 21.052.747.060, integrante la prima voce di danno contemplata dagli attori, (potesse) ricevere seguito, costituendo esso, in termini maggiormente coerenti rispetto agli altri, l’effettivo e personalizzato pregiudizio subito dal tardivo adempimento non coperto dal versamento degli interessi legali”; ciò premesso ha tuttavia ritenuto che dalla somma stimata a tale titolo (Euro 5.861.819,24) dovesse essere necessariamente sottratta la somma di Euro 4.705.102,89 già versata dal Comune a titolo di interessi legali, “dovendo risarcirsi solo il maggior danno non coperto dagli interessi legali”, pervenendosi pertanto ad un importo di Euro 1.156.716,35, costituente l’effettivo maggior danno da risarcire.

Quanto all'”aggiornamento” richiesto dagli attori, la Corte ha ritenuto che il risarcimento del maggior danno per ingiustificato ritardo doveva “arrestarsi” al 19.3.2002 (data del pagamento) e che da tale momento fossero dovuti solo gli interessi moratori ex art. 1224 c.c., comma 1 (in difetto di allegazione di un maggiore pregiudizio), da quantificare in complessivi 337.555,18 Euro: la somma complessivamente dovuta dal Comune ammontava pertanto a 1.494.271,53 Euro.

3. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1224 c.c., nonchè dei “principi generali in materia di risarcimento del danno”: contestano il rilievo della Corte sulla ingiustificata duplicazione di voci risarcitorie, assumendo che il risarcimento del danno deve comprendere sia la perdita subita dal creditore che il mancato guadagno ed evidenziando che la richiesta risarcitoria era volta sia ad annullare la “perdita” subita a causa del maggior indebitamento bancario che a conseguire il “guadagno” che non era stato possibile ottenere a causa dell’inadempimento del Comune; concludono che non si era fatta valere due volte la medesima pretesa, ma si erano volute eliminare due distinte conseguenze pregiudizievoli.

3.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

Inammissibile in quanto non coglie la ratio della decisione, che non ha escluso la configurabilità delle categorie del danno emergente e del lucro cessante, ma ha rilevato che -nello specifico- esisteva una necessaria alternatività fra destinazione della somma a riduzione del debito bancario o a fini di investimento.

Infondato in quanto l’evidenziata incompatibilità fra le due destinazioni comportava necessariamente che si optasse per quella più plausibile, che la Corte ha ritenuto di individuare (senza incorrere sul punto in specifiche censure) nella riduzione del debito bancario.

4. Con il secondo motivo (che denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1277,1223 e 1224 c.c., nonchè dei “principi generali in materia di risarcimento del danno”), i ricorrenti si dolgono del mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria a seguito del suo ritenuto “assorbimento” nel risarcimento del costo dell’indebitamento: contestano che il ristoro di tale costo esaurisca la misura del maggior danno attribuibile ai ricorrenti, evidenziando l’autonomia della voce risarcitoria costituita dalla rivalutazione monetaria.

4.1. Il motivo è inammissibile in quanto, senza evidenziare specifici errores iuris, mira a contrastare l’accertamento circa il fatto che la svalutazione risultasse -nel caso- assorbita dai maggiori importi liquidati a titolo di costi per indebitamento bancario, in tal modo sollecitando un diverso apprezzamento di merito non consentito in sede di legittimità.

5. Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1277,1223,1224 e 2697 c.c., oltrechè dei principi generali in materia di risarcimento e degli artt. 115 e 384 c.p.c..

I ricorrenti censurano la Corte per avere negato “l’aggiornamento delle somme dovute per il maggior danno sino alla data della pronuncia”: rilevano che, alla data del pagamento effettuato dal comune di Napoli (19.3.2002), era stato estinto il credito risultante dal lodo arbitrale, ma non anche il distinto credito risarcitorio per il ritardo con cui era stato effettuato il pagamento, che risultava pertanto inadempiuto e che comportava anch’esso un “problema di maggior danno, poichè il ritardo non può essere ristorato dai semplici interessi legali”.

Evidenziano, al riguardo, come la pronuncia si ponga in contrasto con lo stesso principio di diritto affermato dalla sentenza di cassazione che aveva disposto il rinvio e come il criterio adottato dalla Corte territoriale comporti l’inaccettabile conseguenza di riversare sull’attore il danno conseguente alla durata del processo.

Negano, per altro verso, che possa “seriamente argomentarsi che l’esclusione del maggior danno, per il periodo successivo al pagamento del Comune, possa attribuirsi a inosservanza, da parte dei ricorrenti, dell’onere di allegazione e prova”.

5.1. A prescindere dalla genericità delle censure (che non individuano, così come per il secondo motivo, specifici errori di diritto), il motivo è inammissibile in quanto non risulta idoneo a incrinare il fondamento della decisione che fa perno sul difetto di specifica allegazione dell’esistenza, per il periodo successivo al 19.3.2002, di maggiori danni non coperti dagli interessi moratori.

6. Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4) e art. 115 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., denunciando la “nullità della sentenza per mancanza di motivazione”: evidenziano l'”assoluta illogicità della motivazione” in quanto la Corte ha rigettato la domanda di “aggiornamento” del maggior danno dopo avere disposto una c.t.u. finalizzata anche a determinare tale aggiornamento.

6.1. Il motivo è infondato, atteso che la Corte ha motivato sul punto e che non può ravvisarsi un contrasto fra affermazioni inconciliabili nei rapporti fra sentenza e provvedimenti istruttori (che non vincolano in alcun modo la decisione finale).

7. Le spese di lite seguono la soccombenza.

8. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rifondere al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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