Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18766 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/09/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 10/09/2020), n.18766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12566 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

D.S.C., in proprio e nella qualità di titolare dell’omonima

ditta individuale, rappresentato e difeso dall’Avv. Fulvio Carlo

Maiorca per procura speciale in calce al ricorso, elettivamente

domiciliato in Roma, via Badoero, n. 82, presso lo studio dell’Avv.

Maria Paola Di Nicola;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Basilicata, n. 278/1/2013, depositata in data 3

ottobre 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre

2019 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a D.S.C. un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2004, aveva disconosciuto la detrazione Iva relativa alla fattura di acquisto di una mietitrebbia dalla Generai Credit s.r.l., che l’aveva acquistata dalla General Tractor s.r.l. che, a propria volta, l’aveva acquistata dallo stesso D.S., in quanto trattavasi di operazione inesistente; avverso il suddetto atto impositivo il contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Potenza; avverso la pronuncia del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Basilicata ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: la complessa operazione, cui erano soggetti partecipi il contribuente, la General Credit s.r.l. e la General Tractor s.r.l., doveva essere considerata fittizia, in quanto il bene oggetto di trasferimento era usato, e non nuovo, come avrebbe dovuto essere al fine dell’ottenimento dei benefici di cui alla L. n. 1329 del 1965; il contribuente non aveva dato prova della congruità del prezzo di acquisto, il che comportava che l’operazione doveva essere considerata in parte oggettivamente inesistente; era certo e non contestato che la General Tractor s.r.l. era soggetto inesistente che aveva operato come mera cartiera;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso il contribuente affidato a quattro motivi di censura, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., artt. 132,112,113, c.p.c., per omessa motivazione circa un elemento decisivo della controversia consistente nella eccepita violazione e mancata applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 3 e 6 e della L. n. 241 del 1990, art. 7;

il motivo è inammissibile;

con lo stesso, invero, si censura la sentenza per non avere pronunciato su questioni (l’incompetenza dell’ufficio che aveva svolto gli accertamenti, l’assenza della indicazione nell’avviso di accertamento delle previsioni normative legittimanti l’emissione del provvedimento impugnato, illegittimità dell’avviso di accertamento motivato per relationem) che la parte ricorrente sostiene di avere prospettato al giudice del gravame, senza tuttavia, in violazione del principio di specificità, riprodurre o allegare gli atti, sia di primo grado che del giudizio di appello, da cui evincere che le suddette questioni erano state poste all’attenzione del giudicante;

con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione dell’art. 1322 c.c., e dell’art. 41 Cost., per non avere ritenuto lecita, da un punto di vista civilistico, l’operazione negoziale posta dare in essere dalle parti, consistente in un contratto di sale and lease back, che, pertanto, non poteva essere considerata fittizia, atteso che il contratto era stato redatto da un notaio, erano state emesse regolari fatture ed erano state regolarmente registrate, con regolare versamento/compensazione delle imposte; si evidenzia, inoltre, che non sarebbe ravvisabile, nel caso di specie, alcun abuso del diritto in quanto non sussisterebbe una finalità di evasione o elusione fiscale;

il motivo è infondato;

lo stesso, invero, si basa sulla ritenuta sussistenza della liceità, da un punto di vista civilistico, del contratto di sale and lease back che sarebbe stato stipulato tra le parti, ma, oltre che privo di specificità, non avendo parte ricorrente allegato o riprodotto alcun documento al fine di potere apprezzare l’esatto contenuto della complessa operazione negoziale in esame, si tratta di una prospettazione formale che, invero, si scontra con l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame, secondo cui la complessiva operazione in concreto realizzata (cioè la vendita da parte del ricorrente alla General Tractor s.r.l., da questa alla General Credit s.r.l. e da questa, nuovamente, al ricorrente) andava qualificata come oggettivamente inesistente;

rispetto a tale accertamento, che va oltre la mera qualificazione formale, da un punto di vista civilistico, dell’atto negoziale stipulato e che si confronta, invece, con la valutazione, dal punto di vista economico, della complessiva operazione, non assume rilevanza la ritenuta violazione dell’art. 1322, c.c., che attiene all’autonomia negoziale delle parti contraenti;

inoltre, con riferimento al profilo evidenziato dell’assenza di un intento di evasione di imposta, proprio la diversa ricostruzione operata dal giudice del gravame in ordine alla fittizietà oggettiva dell’operazione comporta l’accertamento della mancanza della stessa sotto il profilo economico, con conseguente venire meno del diritto alla detrazione dell’Iva, tenuto conto del fatto che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, consente la detrazione IVA soltanto per le operazioni che siano vere e reali (Cass. civ., n. 12111/2015; Cass. civ., n. 24426/2013);

con il terzo motivo si censura la sentenza per violazione delll’art. 111 Cost., artt. 115 e 116, c.p.c., nonchè degli artt. 2697,2727 e 2729, c.c., per avere ritenuto che le operazioni di cui alle fatture fossero oggettivamente inesistenti senza che, tuttavia, l’amministrazione finanziaria avesse assolto al proprio onere di prova ed avendo, invece, il giudice del gravame fatto una non corretta applicazione dei principi in materia di prova presuntiva;

il motivo è infondato;

in primo luogo, va precisato che, secondo il costante orientamento di questa Corte, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione;

di conseguenza il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione;

in secondo luogo, con riferimento poi, alla ritenuta violazione dell’art. 2697 c.c., non sussiste nella pronuncia in esame alcuna alterazione dei principi relativi al riparto dell’onere di prova, avendo tenuto conto degli elementi di prova forniti dall’amministrazione finanziaria;

si evince, in particolare, dalla sentenza che, allo sfondo della complessa operazione negoziale in esame vi era la non sussistenza dei presupposti di cui alla L. n. 1329 del 1965 ed è in questo contesto che la stessa evidenzia la circostanza che il bene venduto, in realtà, non era nuovo, ma usato e che, peraltro, non vi era prova della congruità del prezzo, ulteriore profilo da cui ha fatto conseguire la considerazione della possibile sopravvalutazione del valore del bene, finalizzato ad ottenere il finanziamento voluto dalle parti in misura maggiore rispetto a quello che avrebbe potuto essere concesso al bene usato oggetto di compravendita;

a tali considerazioni, inoltre, il giudice del gravame aggiunge l’ulteriore argomento della inesistenza della General Tractor s.r.l., tenuto conto del fatto che la stessa era priva di dipendenti e di strutture organizzative, elementi rispetto ai quali, si precisa in sentenza, non era stata data prova contraria;

si tratta, dunque, di circostanze, valorizzate dal giudice del gravame che, considerate nel loro complesso, hanno condotto a ritenere che, se, da un lato, allo sfondo della vicenda in esame vi era una finalità di non corretto utilizzo delle previsioni di cui alla L. n. 1329 del 1965, d’altro lato, sotto il profilo prettamente fiscale, l’elemento di rilievo consisteva nella inesistenza oggettiva dell’operazione, con conseguente legittimità del recupero dell’Iva;

la ricostruzione fattuale operata dal giudice del gravame, quindi, ha tenuto conto degli elementi di prova forniti dall’amministrazione finanziaria, pervenendo alla considerazione conclusiva della inesistenza oggettiva delle operazioni;

nè può prospettarsi un profilo di violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in quanto la questione della congruità del prezzo di vendita, valorizzata dal ricorrente nel presente motivo di censura, ha costituito uno degli elementi sulla cui base il giudice ha compiuto una valutazione complessiva degli stessi e, inoltre, con riferimento all’accertamento relativo alla natura di cartiera della società General Tractor s.r.l., non solo ha fatto riferimento alla circostanza che la stessa era priva di dipendenti e di struttura organizzativa, ma anche precisato che, sul punto, nessun elemento di prova contraria era stata fornita dal contribuente;

nè è corretto ritenere, come invece sostenuto dal ricorrente, che l’accertamento dell’inesistenza oggettiva delle operazioni possa era provato mediante elementi indiziari;

questa Corte è costante nel ritenere che, in materia di Iva, l’Amministrazione finanziaria può assolvere alla prova, anche mediante elementi indiziari, dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, mentre spetta al contribuente dimostrarne, di contro, l’effettiva esistenza, senza che, tuttavia, sia sufficiente a tal fine l’esibizione della fattura, documentazione di solito utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass. civ., 14 novembre 2019, n. 29707; Cass. civ. n. 26453/2018; Cass. civ., n. 17619/2018; Cass. civ., n. 18118/2016);

pertanto, il giudice del gravame ha correttamente fatto applicazione di elementi di prova presuntiva al fine di accertare la sussistenza di operazioni oggettivamente inesistenti;

nè può trovare accoglimento, infine, la considerazione di parte ricorrente secondo cui la stessa aveva dato prova dell’effettività delle operazioni facendo riferimento al fatto che il contratto era stato redatto da un notaio, che erano state emesse regolari fatture e che aveva proceduto alla corretta registrazione contabile delle stesse e al pagamento delle imposte;

invero, questa Corte ha più volte precisato che, nel caso in cui l’amministrazione finanziaria ha offerto elementi di prova idonei ai fini dell’accertamento della natura oggettivamente inesistenti delle operazioni contestate, “la prova gravante in capo al contribuente non potrà ritenersi soddisfatta con la mera esibizione della fattura, nè con la sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali, notoriamente, vengono utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass. civ., n. 16437/2015, Cass. civ., nn. 15228/2001, 12802/2011);

in sostanza, rispetto alla valutazione della non effettività dell’operazione economica realizzata, compiuta sulla base di elementi anche indiziari prospettati dall’amministrazione finanziaria, non possono assumere rilievo profili meramente formali, quali quelli evidenziati dal ricorrente, in quanto, di per sè, non idonei a far venire meno l’accertamento concreto operato dal giudice;

con il quarto motivo si censura la sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 132,112,113 c.p.c., e per omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia con riferimento alla eccepita violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, e art. 54, per non avere pronunciato in ordine alla questione della legittimità del diritto del ricorrente alla detrazione Iva stante la sua condizione di buona fede;

il motivo è inammissibile;

parte ricorrente prospetta una mancata pronuncia su di una questione, il proprio comportamento di buona fede, di cui non allega nè riproduce gli atti difensivi da cui evincere che la stessa era stata prospettata al giudice del gravame;

va peraltro precisato che, secondo il costante orientamento di questa Corte (da ultimo, Cass. civ., 5 settembre 2019, n. 22209), in caso di operazione oggettivamente inesistenti esula dall’ambito dell’onere di prova dell’amministrazione finanziaria la prova della cd. buona fede o della consapevolezza della partecipazione fraudolenta, per l’evidente considerazione che, in tale evenienza, la parte è necessariamente a conoscenza dell’assenza di una operazione economica, di cui la fattura costituisce mera espressione cartolare di eventi non avvenuti, da cui l’inesistenza di un diritto alla detrazione;

in conclusione, il primo e quarto motivo sono inammissibili, il secondo e terzo infondati, con conseguente rigetto del ricorso e condanna del ricorso al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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