Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18764 del 28/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 28/07/2017, (ud. 12/04/2017, dep.28/07/2017),  n. 18764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3513-2015 proposto da:

COMUNE CASALANGUIDA, in persona del Sindaco pro tempore Avv. ANDREA

RICOTTA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTI DI CRETA 85,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PORFILIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRO ORLANDO giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE SAN SALVO, in persona del sindaco p.t. Avv. M.T.,

elettivamente domiciliato in ROMA, CIRC.NE TRIONFALE 123, presso lo

studio dell’avvocato MICHELE ROSELLI, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPINA DI RISIO giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 392/2014 del TRIBUNALE di VASTO, depositata il

14/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza n. 174/2013, il Giudice di Pace di Vasto rigettava l’opposizione proposta dal Comune di Casalanguida avverso il decreto ingiuntivo di condanna al pagamento della somma di Euro 4.836 (oltre interessi e spese) in favore del Comune di San Salvo, a titolo di rimborso rette per prestazioni assistenziali erogate in favore di una minore rumena senza fissa dimora rinvenuta dai Carabinieri nel territorio del Comune di Casalanguida.

L’appello interposto dalla parte soccombente veniva dichiarato inammissibile per genericità dei motivi dal Tribunale di Vasto con sentenza n. 392/2014 del 14 ottobre 2014.

Avverso questa sentenza ricorre per cassazione il Comune di Casalanguida, affidandosi ad un unico motivo; resiste con controricorso il Comune di San Salvo.

Ambedue le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con unica, articolata doglianza, lamentando “violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, il ricorrente denuncia la erroneità della declaratoria di inammissibilità pronunciata dal Tribunale di Vasto, assumendo di avere nell’atto di appello riportato i passi della sentenza di primo grado non condivisi, esposto i motivi specifici di dissenso e gli errori di diritto inficianti la decisione, con indicazione altresì delle norme asseritamente violate.

Il ricorso non merita accoglimento.

La questione sottoposta all’esame della Corte involge la corretta lettura ermeneutica delle (speculari) disposizioni degli artt. 342 e 434 codice di rito, come novellate dalla recente riforma del giudizio di appello (operata con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134), laddove, per gli appelli proposti successivamente al giorno 11 settembre 2012, prevedono rispettivamente per il rito ordinario e per il rito del lavoro – il requisito della specificità dei motivi di appello, sotto pena di inammissibilità dell’impugnazione.

In dettaglio, le citate norme richiedono che la motivazione dell’appello contenga: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Pacifico che l’intentio legis sottesa alla modifica vada ravvisata nell’esigenza di una più stringente definizione delle ragioni dell’appello, in coerenza con la natura di revisio prioris istantiae che connota detta impugnazione, ritiene il Collegio che la positiva sanzione dell’inammissibilità postuli una concreta applicazione del requisito di forma – contenuto tale da non sacrificare il diritto all’accesso alla giurisdizione, altrimenti potendosi dubitare della legittimità costituzionale dell’onere processuale così stabilito.

Nella descritta prospettazione, risultano neglette le (pur sostenute) opzioni euristiche che prescrivono per la motivazione dell’atto di appello un rigido schema formale, ricalcato per comparationem sulle argomentazioni fondanti la decisione gravata; ai fini dell’osservanza del requisito de quo, appare invece sufficiente (ma al contempo necessario), che l’impugnante individui in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum, cioè a dire circoscriva il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonchè ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formuli, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare l’idoneità di tali ragioni a determinare una diversa soluzione della controversia rispetto a quella contenuta nella decisione censurata (in tal senso, cfr. Cass. 07/09/2016, n. 17712; Cass. 30/07/2015, n. 16164).

Tanto precisato in linea generale, nella vicenda in esame l’esame degli atti di causa (consentito alla Corte in ragione della natura della doglianza del ricorrente: in fattispecie identica, Cass. 28/11/2014, n. 25308; con più ampio riferimento agli errores in procedendo, v., dopo Cass., Sez. U., 22/05/2012, n. 8077, Cass. 30/07/2015, n. 16164; Cass. 21/04/2016, n. 8069) evidenzia il corretto apprezzamento del Tribunale di Vasto sulla genericità dei motivi dell’appello a suo tempo interposto dalla odierna ricorrente.

Nel rigettare l’opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice di prime cure aveva ritenuto: (a) la propria competenza territoriale sulla base del luogo in cui era sorta ed era stata adempiuta l’obbligazione ex art. 20 c.p.c., foro concorrente con la sede dell’ufficio di tesoreria della P.A. debitrice; (b) il Comune di Casalanguida obbligato, ai sensi della L. 8 novembre 2000, n. 328, a garantire assistenza a chi senza dimora stazionante all’interno del territorio comunale, e quindi tenuto al pagamento della integrazione economica di cui all’art. 6 medesima legge in favore del Comune di San Salvo, ente erogatore della prestazione assistenziale alla minore, non applicandosi le disposizioni sui contratti della pubblica amministrazione.

A fronte di tale percorso motivazionale, l’atto di appello si appalesa privo di una puntuale e specifica censura ai passaggi argomentativi fondanti la decisione, risolvendosi, in buona sostanza, nella mera riproposizione delle deduzioni illustrate nell’originario atto di opposizione a decreto ingiuntivo.

In particolare, l’appellante, omettendo di specificare le parti della sentenza da riesaminare, alcuna contestazione solleva in ordine alla natura concorrente del criterio di radicamento della competenza in ragione del luogo ove è sorta l’obbligazione; non sottopone a benchè minima critica la applicabilità della L. n. 328 del 2000, quale fonte diretta dell’obbligo di prestare assistenza in favore dei soggetti senza fissa dimora stazionanti nel territorio comunale (costituente la fondamentale ratio decidendi del rigetto della opposizione), indulgendo invece – peraltro sommariamente – in astratte ed inconferenti considerazioni sulla necessità dell’impegno di spesa per le obbligazioni negoziali dell’ente comunale.

Le censure in tal guisa articolate, in tutta evidenza inidonee a soddisfare l’onere di motivazione dell’appello imposto dall’art. 342 c.p.c., giustificano la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione pronunciata dal Tribunale di Vasto.

Rigettato il ricorso, il regolamento delle spese del giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., con liquidazione operata alla stregua dei parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014, come in dispositivo.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): in base al tenore letterale della disposizione, il rilievo della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore dei contro ricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2017

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