Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18763 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/09/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 10/09/2020), n.18763

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3106 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Innovation In Cheese s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, n. 1074/39/2010,

depositata in data 13 dicembre 2010;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre

2019 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Innovation In Cheese s.r.l. due avvisi di accertamento con i quali, relativamente agli anni di imposta 1998 e 1999, aveva accertato l’omessa fatturazione di operazioni imponibili, in quanto si era riscontrata una produzione di siero non congruente con quella risultante dalla contabilità, nonchè l’indebita emissione di fatture in regime di non imponibilità Iva; avverso i suddetti atti impositivi la società aveva proposto separati ricorsi che erano stati decisi in senso favorevole alla contribuente dalla Commissione tributaria provinciale di Frosinone con separate pronunce; avverso le suddette pronunce l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, previa riunione, ha rigettato gli appelli, in particolare ha ritenuto che: i maggiori ricavi stimati dall’amministrazione finanziaria si fondavano su presunzioni non suffragate da validi elementi probatori, tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ritenute condivisibili in ogni sua parte; con riferimento alla questione del regime dell’Iva, dovevano essere confermate le pronunce di primo grado, in quanto le deduzioni dell’amministrazione finanziaria rappresentavano solo una pedissequa ripetizione delle argomentazioni già prospettate nei precedenti giudizi, la cui infondatezza era stata ampiamente argomentata e motivata dai giudici di primo grado;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a tre motivi di censura;

la società è rimasta intimata;

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in quanto, al fine di accertare i maggiori ricavi non dichiarati, non ha tenuto conto del fatto che la consulenza tecnica d’ufficio, nell’esaminare la questione del quantitativo di siero utilizzato (e, quindi, dell’acqua impiegata nella produzione che concorreva alla formazione del siero), aveva disatteso non solo i dati di cui al processo verbale di constatazione, ma anche quelli risultanti dalla perizia di parte e, a tal proposito, aveva proceduto ad un’autonoma quantificazione del siero, dell’acqua di filatura e di spinta nella lavorazione del formaggio, pervenendo al risultato finale di una contrazione della maggiore materia imponibile, piuttosto che di una totale esclusione della stessa;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e art. 35, comma 3, e degli artt. 112,115 e 277, c.p.c., per avere annullato gli atti impositivi, piuttosto che procedere alla corretta quantificazione dei ricavi effettivi sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio;

i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto attengono alla medesima questione della legittimità degli atti impositivi sotto il profilo della prova della sussistenza dei maggiori ricavi non dichiarati, sono fondati;

la sentenza censurata ha motivato condividendo le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e, di conseguenza ha ritenuto che l’accertamento non risultava fondato su validi elementi probatori; tuttavia, dall’esame del contenuto della consulenza tecnica d’ufficio, riprodotta dalla ricorrente da pag. 13 a pag. 18 del ricorso, si evince che, in linea con l’incarico affidatogli, relativo alla valutazione della correttezza delle conclusioni della perizia di parte, erano stati disattesi i dati conclusivi della suddetta elaborazione peritale, così come quelli posti a fondamento degli atti di accertamento, e si era proceduto, di conseguenza, ad un’autonoma quantificazione del siero, dell’acqua di filatura e di spinta nella lavorazione del formaggio prodotto dalla società contribuente, evidenziando, per quanto riguardava l’anno 1998, una differenza, tra la quantità calcolata in sede di processo verbale di constatazione e quella effettivamente smaltita, pari al 12,6% (corrispondente a 13.900 quintali) e, relativamente all’anno 1999, una differenza pari al 27% (corrispondente a 27.900 quintali);

sicchè, tenuto conto delle conclusioni dell’elaborato della consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento compiuto dall’amministrazione finanziaria non era corretto solo in parte, secondo le percentuali sopra indicata;

tale circostanza costituisce fatto rilevante e decisivo ai fini della decisione, in quanto il giudice del gravame, tenuto conto di tali risultanze, dallo stesso condivise pienamente, non avrebbe dovuto procedere all’integrale annullamento degli avvisi di accertamento, ma a ricondurre la pretesa entro i limiti di quanto risultante dalla consulenza tecnica d’ufficio, secondo quanto precisato, con riferimento all’esatto quantitativo stimato, sicchè correttamente parte ricorrente ha censurato la sentenza per insufficiente motivazione;

si correla peraltro, sotto tale profilo, la ragione di censura di cui al secondo motivo di ricorso, tenuto conto del fatto che, secondo il costante giurisprudenza di questa Corte “Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicchè il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, restando, peraltro, esclusa dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, ultimo periodo, la pronuncia di una sentenza parziale solo sull’an” o di una condanna generica” (Cass. civ., 22 marzo 2019, n. 8250); pertanto, quando il giudice ravvisa l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve nè può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal “petitum” delle parti dando alla pretesa dell’amministrazione “un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dalle parti contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., (…) in tal modo determinando il reddito effettivo del contribuente, e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del quantum della pretesa tributaria oppure costituisca violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendo chiaramente consentita al giudice tributario, in un giudizio che non è solo “sull’atto”, da annullare, ma anche e principalmente sul rapporto sostanziale tra amministrazione finanziaria e contribuente, la riduzione della pretesa avanzata dalla prima con l’atto impositivo” (Cass. civ., n. 1852/2008);

con riferimento al caso di specie, il giudice del gravame non avrebbe dovuto procedere all’annullamento degli avvisi di accertamento una volta riscontrata la non corrispondenza tra i dati riportati nelle consulenza tecnica d’ufficio e quelli posti a fondamento dei suddetti atti impositivi, ma rideterminare, eventualmente, la pretesa fatta valere dall’amministrazione finanziaria;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36, 53 e 61 e dell’art. 132, c.p.c., nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

in particolare, si censura la sentenza per non avere motivato sulla questione relativa al regime di non imponibilità dell’Iva applicato dalla contribuente al momento dell’emissione delle fatture (avendo fatto generico riferimento alla pronuncia di primo grado, senza autonoma valutazione critica) e per non avere pronunciato sugli specifici motivi di doglianza che erano stati prospettati dalla ricorrente, relativi alla violazione del D.L. n. 331 del 1993, artt. 50 e 58;

il motivo è fondato;

in ordine alla questione relativa al regime Iva applicato dalla società contribuente, il giudice del gravame si è limitato a osservare che le deduzioni dell’ufficio costituivano pedissequa ripetizione delle argomentazioni già svolte dinanzi al giudice di primo grado e che la loro infondatezza è stata già ampiamente argomentata e motivata dai giudici di primo grado;

la sentenza censurata, in ordine alla questione del regime Iva da applicare, ha quindi motivato sul punto facendo mero rinvio a quanto deciso dal giudice di primo grado, senza riportare, neppure in sede di esposizione del fatto, i passaggi essenziali della suddetta pronuncia cui ha fatto richiamo e senza procedere ad una autonoma valutazione sotto il profilo motivazionale;

va precisato, a tal proposito, che, secondo questa Corte, “In tema di processo tributario è nulla, per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della Commissione tributaria regionale completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la Commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poichè, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame” (Cass. civ., 7 novembre 2019, n. 28692; Cass. civ., 5 ottobre 2018, n. 24452);

in conclusione, i motivi di ricorso sono fondati, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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