Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1876 del 28/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 28/01/2020), n.1876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26280-2018 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo

studio dell’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BELSIANA 71,

presso lo studio dell’avvocato DELL’ERBA GIUSEPPE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DE DONNO ORONZO;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 5297/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 06/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PONTERIO

CARLA.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello di Poste Italiane s.p.a, confermando la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda di G.A., aveva dichiarato illegittima l’apposizione del termine al contratto concluso tra le parti ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per il periodo dal 22.10.07 al 29.2.08, condannato la società alla riammissione in servizio del dipendente e al pagamento delle retribuzioni a decorrere dal luglio 2008 fino al ripristino del rapporto;

2. questa Corte di cassazione, con sentenza n. 5297 del 2018, ha accolto il ricorso di Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza d’appello quanto al terzo e quarto motivo, per l’omessa pronuncia sulla domanda di applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, e la violazione e falsa applicazione della medesima norma con riguardo ai criteri di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8; ha giudicato inconferenti il primo e il secondo motivo di ricorso, con cui era stata denunciata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, e della L. n. 247 del 2007, art. 1, commi 40 e 43, rilevando come la Corte d’appello avesse dichiarato illegittimo il contratto a termine intermedio (cioè il secondo contratto di tre) per mancata specificazione delle ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine; ha ritenuto infondato il quinto motivo, con cui era dedotta la violazione dell’art. 1419 c.c., richiamando il precedente di legittimità Cass. n. 7244 del 2014; ha quindi cassato la sentenza d’appello in relazione ai motivi accolti (terzo e quarto) e rinviato alla medesima Corte territoriale in diversa composizione;

3. contro la sentenza di cassazione n. 5297 del 2018 Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., in relazione all’ipotesi di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4;

4. il sig. Gaziano ha resistito con controricorso;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;

6. la società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

7. a sostegno della revocazione Poste Italiane s.p.a. ha dedotto l’errore di fatto in cui sarebbe incorsa questa Suprema Corte per avere erroneamente ritenuto che la sentenza d’appello avesse confermato quella di primo grado quanto alla illegittimità del secondo contratto a termine concluso tra le parti;

8. ha premesso che il Tribunale di Milano, su ricorso del lavoratore, aveva dichiarato illegittimo il secondo contratto a termine, concluso ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1; che la Corte d’appello aveva respinto il ricorso di Poste Italiane s.p.a. e confermato la sentenza di primo grado ma con diversa motivazione, in particolare dichiarando legittimo il secondo contratto a termine e illegittimo il terzo contratto, concluso ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, per il periodo dal 9.4.08 al 30.6.08; ciò sul presupposto che “la lettera b) della disposizione transitoria di cui all’art. 43 della L. 247/2007… interessa ipotesi di periodi di lavoro svolti in forza di contratti cessati alla data del 31 dicembre 2007 che possono computarsi con quelli successivi solo a partire dall’1.4.09”, ai fini del computo del limite dei 36 mesi e che “prima dell’operatività della tutela apprestata dalla L. n. 247 del 2007 … in base ad una interpretazione della normativa nazionale conforme ai principi della Direttiva Comunitaria, si (dovesse) … ritenere operante la disciplina dettata in via generale per il contratto a termine e pertanto anche l’art. 1 del D.Lgs. n. 368 del 2001 …”;

9. la società ricorrente in revocazione ha sottolineato la decisività dell’errore di fatto in quanto, proprio per effetto di tale errore e cioè presupponendo erroneamente che anche la decisione d’appello avesse ritenuto illegittimo il secondo contratto a termine, la Suprema Corte aveva dichiarato non conferenti i primi due motivi di ricorso per cassazione di Poste Italiane s.p.a. relativi alla legittimità del terzo contratto a termine, stipulato ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis;

10. il ricorso è inammissibile;

11. l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di sussunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo; in altri termini, l’errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, ma non può tradursi in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass., Sez. un., 11/04/2018, n. 8984; Cass. Sez. Un. 27/12/2017, n. 30994; Cass. 28/7/2017, n. 18899; Cass. Sez.Un., 23/12/2009, n. 27218);

12. questi presupposti non ricorrono nella fattispecie in esame, in cui la società ricorrente non denuncia un errore di percezione su di un fatto ma censura l’interpretazione della sentenza d’appello data dalla Corte di cassazione e ne propone una diversa lettura, peraltro non compatibile con la statuizione adottata nel dispositivo della sentenza di secondo grado, di rigetto dell’appello di Poste; la declaratoria di illegittimità del terzo contratto a termine, che Poste Italiane pretende di desumere dalla sentenza d’appello, avrebbe logicamente comportato la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dal terzo contratto e quindi una statuizione in tal senso nel dispositivo, laddove la sentenza d’appello, nell’esaminare i motivi di impugnazione sul secondo contratto a termine, ha affermato (pagg. 2 e 3): “con le conseguenze già descritte dalla sentenza appellata che deve quindi essere confermata sul punto, anche se con parziale diversa motivazione”;

13. l’errore revocatorio è configurabile rispetto alle sentenze della Corte di Cassazione solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo; su tale premessa, si è escluso, ad esempio, l’errore revocatorio della sentenza ove si censuri che la stessa abbia male valutato uno dei motivi del ricorso, senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perchè in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso (cfr. Cass. n. 5221 del 20019; Cass., S.U. n. 13181 del 2013; ord. sez. 6, n. 14937 del 2017; n. 3760 del 2018); analogamente, nel caso in esame, la denuncia di erronea interpretazione della sentenza d’appello ad opera dei giudici di legittimità, in quanto investe un’attività propriamente valutativa, non è riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4;

14. per le considerazioni svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

15. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;

16. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2020

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