Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18750 del 23/09/2016

Cassazione civile sez. III, 23/09/2016, (ud. 06/05/2016, dep. 23/09/2016), n.18750

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24604/2013 proposto da:

D.F.B., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CARLO MIRABELLO 6, presso lo studio dell’avvocato ERMETE SOTIS,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GEA DI D.M.A. E F.A. SNC, domiciliato

ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCO MARTELLUCCI giusta

procura speciale a margine del controricorrente;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3599/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/05/2016 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito l’Avvocato ERMETE SOTIS;

udito l’Avvocato FRANCO MARTELLUCCI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per inammissibilità del ricorso,

in subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La soc. Gea s.n.c. di D.M.A. e F.A. agi nei confronti di D.F.B. per ottenere il pagamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale in relazione ad un locale già detenuto in locazione dalla società ricorrente.

Il Tribunale di Latina accolse la domanda, con sentenza che è stata confermata dalla Corte di Appello di Roma.

Ricorre per cassazione il D.F. affidandosi ad un unico motivo illustrato da memoria; resiste l’intimata, a mezzo di controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, il ricorrente deduce la “violazione e/o falsa applicazione di legge” in relazione alla L. n. 392 del 1978, artt. 34 e 28 e assume che la Corte ha erroneamente ritenuto che la risoluzione fosse avvenuta per effetto della disdetta del locatore anzichè per volontà della conduttrice.

Evidenzia che, nella missiva inviata (oltre il termine previsto) alla Gea, egli aveva in effetti comunicato la disdetta in relazione alla successiva scadenza del 27.2.2008, richiedendo il rilascio del locale e la restituzione delle chiavi, ma aveva anche invitato la conduttrice ad inviare tempestiva proposta scritta ove fosse stata interessata a proseguire il rapporto a condizioni diverse; sottolinea che – con ciò – aveva rimesso alla Gea il diritto potestativo di scegliere se far continuare o meno la locazione, di talchè la cessazione del rapporto era avvenuta – in sostanza – per “chiara volontà negativa” della conduttrice (tanto più che la previsione della L. n. 392 del 1978, art. 28, esclude il rinnovo tacito a seguito della disdetta, ma non anche la possibilità di ulteriori manifestazioni della volontà volte alla prosecuzione del rapporto”).

2. Al riguardo, la Corte di merito ha ritenuto che la risoluzione del rapporto fosse dipesa “dalla volontà del locatore, volontà cui la società conduttrice non si era opposta”, e ha rilevato che – alla luce dei consolidati orientamenti di legittimità – il diritto all’indennità compete anche in caso di disdetta nulla (che costituisce comunque estrinsecazione della volontà di non proseguire il rapporto).

3. Il motivo è infondato, in quanto ciò che rileva al fine di escludere l’indennità è la circostanza che la cessazione del rapporto non sia avvenuta per iniziativa o responsabilità della parte conduttrice (ossia – ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 34 – a seguito di “inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267”): esula evidentemente da tali ipotesi quella dedotta in causa, in cui la conduttrice (che non aveva alcun onere di formulare nuove proposte) si è limitata a non opporsi alla volontà risolutiva manifestata dal locatore ed in cui non sono ravvisabili gli estremi del mutuo consenso delle parti in ordine alla risoluzione del rapporto (cfr. Cass. n. 11165/1997 e Cass. n. 15590/2007).

4. Le spese di lite seguono la soccombenza.

5. Ritiene il Collegio che ricorrano le condizioni per la condanna del ricorrente ai sensi dell’abrogato art. 385 c.p.c., comma 4 (“quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all’art. 375, la Corte, anche d’ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave”).

Va considerato, infatti, che:

– tale norma è applicabile ratione temporis al presente giudizio, instaurato – in primo grado – nel febbraio 2008, giacchè l’abrogazione disposta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 20, opera, ai sensi dell’art. 58 della stessa legge, solo per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, vale a dire dopo il 4 luglio 2009 (cfr. Cass. n. 22812/2013);

– sussistono gli estremi della colpa grave attesochè in questa sede è emersa non già la mera infondatezza (che sarebbe – di per sè – insufficiente a giustificare l’applicazione della norma), ma la “totale insostenibilità in punto di diritto degli argomenti spesi nel ricorso, a causa della mancanza di argomentazioni tendenti a contrastare la giurisprudenza consolidata” (Cass. n. 3376/2016);

– il ricorrente deve essere pertanto condannato d’ufficio al pagamento, in favore della parte intimata e in aggiunta alle spese di lite, di una somma equitativamente determinata (assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio), che può essere fissata nell’importo di Euro 2.000,00.

6. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 4.000,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge, nonchè a pagare la somma di Euro 2.000,00 ex art. 385 c.p.c., comma 4.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2016

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