Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18747 del 23/09/2016


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Cassazione civile sez. III, 23/09/2016, (ud. 05/05/2016, dep. 23/09/2016), n.18747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 676-2014 proposto da:

CASALI FABBRICA SOCIETA’ AGRICOLA SEMPLICE, (OMISSIS), incorporante

per fusione l’originaria attrice AGRIFISH di C.N. & C.

s.n.c., in persona dei soci amministratori C.N. e

D.T., C.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II 18 C, presso lo studio dell’avvocato GREZ

E ASSOCIATI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MAURIZIO CONTI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BIPAN SPA, (OMISSIS), ALLIANZ SPA;

– intimati –

Nonchè da:

BIPAN SPA (OMISSIS) in persona del Presidente e Legale rappresentante

F.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 23,

presso lo studio dell’avvocato MARIO ANTONIO ANGELELLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO PERSELLO giusta

procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

ALLIANZ SPA, in persona dei procuratori Dr. C.A. e Dr.

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso

lo studio dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

CASALI FABBRICA SOCIETA’ AGRICOLA SEMPLICE (OMISSIS), C.N.

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 660/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 01/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato MAURIZIO CONTI;

udito l’Avvocato ANTONIO MANGANIELLO per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del 1 e 2 motivo;

accoglimento 3 motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La vicenda trae origine dal sequestro di alcune vasche di un allevamento di trote gestito dalla Casali fabbrica, società agricola semplice, (già Agrifish di C.N. & C. s.n.c.) nelle acque di Roggia di Palma, a causa della presenza nelle carni delle trote allevate, di una sostanza denominata verde malachite di cui era vietato l’utilizzo nella produzione animale dal D.Lgs. n. 336 del 1999. A seguito di consulenza disposta dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Udine si era accertato che la presenza del verde malachite non fosse imputabile al trattamento farmacologico dei pesci e che la presenza di tale sostanza risultava anche più a monte rispetto alle vasche di allevamento del pesce.

Pertanto la Casali fabbrica convenne in giudizio la Bipan s.p.a., situata 15 km più a monte, che scaricava nel fiume i residui delle proprie lavorazioni per le quali utilizzava lecitamente la sostanza in questione per la lavorazione del legno, per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sequestro e della distruzione del pesce.

La società convenuta si costituì contestando la pretesa degli attori e chiamando in causa la Allianz S.p.A. assicuratrice della sua responsabilità civile.

Il Tribunale di Udine con la sentenza numero 306/2012 rigettò le domande degli attori compensando le spese.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Trieste, con sentenza n. 660 del 1 agosto 2013. La Corte ha ritenuto non provata la condotta della Bipan ed in ogni caso ha ritenuto l’esclusivo apporto causale del creditore al danno conseguenza prodotto dall’assenza di protezione dalla contaminazione di acque non destinate all’uso umano alle vasche di allevamento.

3. Avverso tale decisione, Casali Fabbrica, società agricola semplice, in persona dei soci amministratori C.N. e D.T., e C.N. propongono ricorso in Cassazione sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria.

3.1 Resistono con controricorso e ricorso incidentale condizionato la Bipan s.p.a. e con controricorso la Allianz.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la “violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2697 e 2729, c.c., artt. 40 e 41 c.p., artt. 115 e 116 c.p.c., D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 74 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Lamentano che il giudice del merito ha errato laddove ha ritenuto insufficiente l’indizio costituito dal rinvenimento di concentrazione di verde malachite a valle dell’impianto di produzione della Bipan, S.p.A. perchè in contrasto con la circostanza del rinvenimento di altra concentrazione della stessa sostanza a poca distanza, ma a monte del medesimo stabilimento. Ancora ha errato perchè ha ritenuto non identificato l’autore del versamento di verde malachite nelle acque del fiume ed ha comunque ritenuto lecita la dispersione di tale sostanza in acque non potabili e non destinate alla balneazione bensì agli impianti fognari. Tutto ciò ha fatto il giudice dell’appello discostandosi dalle conclusioni del consulente tecnico nominato dal pubblico ministero.

Il motivo è infondato.

I ricorrenti non colgono la ratio decidendi della sentenza. La Corte d’appello ritiene che la ragione del rigetto della domanda non può riconnettersi ad una prova difficoltosa, bensì ad una offerta di prova negativa di sversamento da parte di un terzo a monte dello scarico gestito da Bipan – essenziale per la ricostruzione del fatto storico – volontariamente non coltivata nel primo grado del giudizio e tardivamente riproposta in appello, sì che l’attuale quadro probatorio continuava a lasciare il dubbio sulla imputabilità di verde malachite alla società Bipan. A ciò poi si deve aggiungere la infondatezza della domanda risarcitoria sprovvista di una allegazione della condotta colposa del preteso danneggiante. La prima ratio decidendi non è stata impugnata. E’ principio consolidato che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. S. U. n. 7931/2013). Ed in ogni caso, è principio consolidato di questa Corte che con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011). Come appunto i ricorrenti hanno fatto nel caso di specie.

4.2. Con il secondo motivo, denunciano la “violazione ed erronea applicazione dell’art. 2043 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

I ricorrenti sostengono che la Corte d’Appello ha errato perchè ha ritenuto che i danneggiati avrebbero dovuto munirsi di un impianto di filtraggio idoneo a prevenire il rischio di inquinamento causato da fattori esterni al ciclo produttivo.

Il motivo è infondato.

Ed infatti la Corte di merito ha correttamente ritenuto non provato da parte della società l’assolvimento dell’onere, nel caso di utilizzazione, come nella specie, di acque superficiali, di adeguati filtri meccanici o biologici (v. anche direttiva CEE N. 659/1978 r.t.), di adeguata pulizia delle acque e dei canali di derivazione, di verifiche periodiche della qualità delle acque. Nè d’altro canto la ricorrente adduce di aver tempestivamente provato di aver ottenuto dalla competente asl la dichiarazione di idoneità delle acque attinte per l’allevamento e la concessione per uso ittiogenico dell’utilizzazione dell’acqua, non classificata nè come potabile, nè come destinata all’alimentazione umana, secondo quanto emerge dallo stesso ricorso – pag. 9-11 – (in relazione alle dichiarazioni rese in sede penale dal rappresentante della società Bipan), autorizzata allo scarico di acque reflue industriali a norma del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 46, catione temporis applicabile, ed ha conseguentemente respinto, per mancanza di prova dell’attribuibilità del fatto illecito alla società Bipan, la domanda risarcitoria avanzata dalla Casali.

4.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la “violazione ed erronea applicazione dell’art. 91 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Si dolgono che sono stati condannati dalla Corte di Appello alla refusione delle spese del grado in favore della terza chiamata Allianz spa nei cui confronti non era stata proposta dagli attori alcuna domanda omettendo anche di verificare l’astratta fondatezza della domanda di garanzia impropria proposta da Bipan e l’astratta fondatezza delle eccezioni di tardività dell’appello incidentale condizionato sollevata dalla Allianz spa.

Il motivo è infondato.

E’ principio di questa Corte che attesa la lata accezione con cui il termine “soccombenza” è assunto nell’art. 91 cod. proc. civ., il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria (Cass. n. 7431/2012; Cass. n. 8363/2010; Cass. n. 12301/2005).

Nella specie, la Bipan spa è stata costretta a chiamare in causa la Allianz per essere da lei manlevata, atteso che nessuna responsabilità poteva esserle ascritta in relazione alla domanda risarcitoria proposta dai ricorrenti che è stata respinta.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore di ciascuna controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.000,00 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2016

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