Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18747 del 19/08/2010

Cassazione civile sez. II, 19/08/2010, (ud. 12/05/2010, dep. 19/08/2010), n.18747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CURATELA FALL M.C. in persona del Curatore pro tempore

B.P. P.IVA (OMISSIS), N.A. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SISTINA 121, presso lo studio

dell’avvocato MAZZONE ANTONIO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PANUCCIO ALBERTO;

– ricorrenti –

contro

M.A. (OMISSIS) nella qualità di erede del

coniuge G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

MONTI PARIOLI 48, presso lo studio dell’avvocato MARINI RENATO,

rappresentato e difesa dagli avvocati NISTICO’ SANDRO, MERCURI

DOMENICO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22/2004 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 10/02/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato Giuseppe PANUCCIO, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Alberto PANUCCIO, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo,

rigetto degli altri motivi del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso dell’11-1-1990 l’ingegnere G.G. chiedeva al Presidente del Tribunale di Locri l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti dei coniugi N.A. e M.C. per il pagamento della somma di L. 113.719.691 oltre interessi e rivalutazione a titolo di compenso per due distinte progettazioni relative ad un immobile da edificare in C.M..

A sostegno della richiesta il ricorrente assumeva che i suddetti coniugi, avendogli dichiarato di essere rimasti insoddisfatti di una progettazione eseguita per loro conto da tale ingegnere L., gli avevano conferito l’incarico di procedere alla redazione di un nuovo elaborato, puntualmente eseguito; l’opera era stata poi sottoposta all’esame della competente commissione edilizia che l’aveva approvata, mentre il Genio Civile aveva rilasciato il previsto nullaosta; aggiungeva che i committenti, affermando che i probabili acquirenti degli appartamenti pretendevano superfici maggiori, avevano richiesto una nuova progettazione, anch’essa regolarmente consegnata, ma avevano omesso di corrispondergli il compenso dovuto.

Avverso il concesso decreto gli ingiunti proponevano opposizione con atto notificato il 20-2-1991 assumendo di non essere tenuti al pagamento del compenso in quanto non erano riusciti ad ottenere la licenza edilizia per i gravi errori commessi dal progettista, il primo dei quali era costituito dall’inserimento nella superficie del costruendo immobile di un’area di proprietà comunale; altre palesi incongruenze erano ravvisagli nella previsione di una volumetria certamente sproporzionata e di un’altezza eccessiva dell’edificio, cosicchè tali errori avevano reso il progetto irrealizzabile; essi inoltre proponevano una domanda di risarcimento danni nella misura di L. 800.000.000 sul presupposto che il comportamento del G.G. avesse di fatto impedito la realizzazione dell’opera.

Costituendosi in giudizio il G.G. chiedeva il rigetto della opposizione.

Il Tribunale di Locri con sentenza del 6-6-2000 revocava il decreto ingiuntivo e rigettava la domanda riconvenzionale.

Proposta impugnazione da parte del Greco cui resistevano la N. A. e successivamente il Fallimento di M.C. proponendo entrambi appello incidentale la Corte di Appello di Reggio Calabria con sentenza del 10-2-2004 ha accolto l’appello principale e, per l’effetto, ha rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Locri il 3-1-1991 ed ha rigettato gli appelli incidentali; in particolare il giudice di appello ha ritenuto, quanto al primo progetto redatto dal G.G., che il fatto che esso prevedesse l’inserimento di una superficie di proprietà comunale di mq. 50 non determinava il venir meno dell’obbligo dei committenti di retribuire il professionista, considerato che tale difetto era da loro conosciuto ed anzi era frutto della loro volontà, avendo il G.G. riportato fedelmente le indicazioni ricevute; la circostanza poi che il secondo progetto presentasse una cubatura lievemente inferiore a quella prevista del pari non comportava l’insussistenza dell’obbligo di corrispondere il compenso dovuto, trattandosi di difetto facilmente emendabile.

Per la cassazione di tale sentenza il Fallimento di M.C. e la N.A. hanno proposto un ricorso articolato in tre motivi cui M.A. quale erede del G.G. nel frattempo deceduto ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1343 e 1418 c.c. in relazione agli artt. 1176, 1343 e 1345 c.c. nonchè contraddittoria motivazione, censurano la sentenza impugnata per avere ritenuto – nonostante l’accertata inutilizzabilità del progetto redatto dal G.G. in quanto non comprendeva soltanto il suolo di proprietà dei committenti e addirittura presupponeva l’occupazione di terreno di proprietà comunale – comunque come dovuto il compenso al suddetto professionista in quanto frutto della precisa volontà della N. A. e del M.C..

I ricorrenti rilevano l’erroneità di tale assunto, poichè l’accordo raggiunto tra le parti riguardava la progettazione di un’opera professionale in violazione di norme inderogabili al fine di conseguire un risultato in contrasto con lo strumento urbanistico;

pertanto, trattandosi di un accordo al quale le parti si erano determinate per un motivo illecito (ovvero il vantaggio economico derivante dal compimento di un’opera illecita), da tale premessa doveva concludersi per ritenere nullo il suddetto contratto d’opera professionale a norma dell’art. 1418 c.c. in relazione agli artt. 1343 e 1345 c.c.. La censura è infondata.

Il giudice di appello, premesso in linea di fatto che la N.A. ed il M.C., avendo interesse ad acquisire una superficie di mq.

50 di proprietà comunale attigua al proprio suolo al fine di un migliore posizionamento del futuro edificio rispetto alla linea seguita dagli altri fabbricati, ha evidenziato che essi avevano preteso che il G.G. inserisse tale superficie nella progettazione dell’edificio stesso; tale progetto secondo la sentenza impugnata non poteva considerarsi nullo (posto che una simile sanzione non era prevista da alcuna disposizione legislativa), ma irrealizzabile, senza peraltro che ciò determinasse l’insussistenza del diritto del professionista al compenso; in proposito la Corte territoriale ha rilevato che il G.G. nella relazione al progetto aveva espressamente riportato le indicazioni ricevute dai committenti, evitando in tal modo di cadere nella sanzione dell’inadempimento.

Orbene tale convincimento è corretto sul piano logico – giuridico ed è quindi immune dai rilievi sollevati dai ricorrenti.

Premesso che la ricostruzione in fatto della vicenda che ha dato luogo alla presente controversia non è stata oggetto di censura in questa sede, si rileva che l’assunto dei ricorrenti in ordine alla pretesa nullità del progetto redatto dal Greco in quanto prevedeva anche la suddetta superficie di proprietà comunale è infondato, posto che non sono state neppure prospettate le pur accennate norme inderogabili nei cui confronti il suddetto progetto si sarebbe posto in contrasto; in realtà quel progetto si rivelava irrealizzabile da parte della N.A. e del M.C. per il fatto che essi non erano proprietari della suddetta area comunale all’epoca di presentazione del progetto stesso, senza per questo porsi in contrasto con alcuna disposizione inderogabile.

L’evidenziata irrealizzabilità dell’opera progettata comporta invece un diverso ordine di valutazioni, attinenti all’adempimento o meno da parte del progettista ai suoi obblighi professionali come delineati dalla legge e dalle pattuizioni contrattuali; in tale contesto non vi è dubbio che tale irrealizzabilità, quando sia conseguenza di errori commessi dal professionista nella formazione dell’elaborato che lo rendano inidoneo ad essere attuato, costituisce inadempimento dell’incarico che abilita il committente a rifiutare il compenso, avvalendosi dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. (Cass. 29-11-2004 n. 22487; Cass. 3-9-2008 n. 22129).

Nella fattispecie, tuttavia, una simile conseguenza è esclusa in radice dalla accertata circostanza che furono proprio i committenti a pretendere che il G.G. inserisse nel progetto anche la superficie di proprietà comunale, come evidenziato dal professionista nella relazione al progetto, laddove era stato affermato che tale inserimento era stato effettuato su specifica richiesta da parte della N.A. e del M.C.; pertanto, essendo ciò avvenuto per uno specifico intereresse di costoro nell’ambito quindi dell’esplicazione del principio di autonomia contrattuale riconosciuto alle parti dall’ordinamento giuridico, la circostanza stessa non può essere configurata come inadempimento del professionista agli obblighi legali e contrattuali posti a suo carico, e non può quindi comportare l’insussistenza dell’obbligo dei committenti di corrispondergli il compenso.

Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo omessa ed insufficiente motivazione, assumono che la sentenza impugnata non ha dato adeguata rilevanza a vizi relativi sia al primo che al secondo progetto in ordine ai quali il G.G. aveva richiesto l’emissione di un decreto ingiuntivo per il pagamento del compenso; in particolare essi sostengono che la Corte territoriale ha ritenuto lieve l’accertato eccesso di cubatura omettendo l’indicazione ed il calcolo dei metri cubi eccedenti, così non soffermandosi adeguatamente sulla emendabilità di tale difetto di progettazione; inoltre i ricorrenti rilevano l’omesso esame dell’altro vizio della progettazione denunciato, relativo alla inosservanza delle distanze legali.

La censura è in parte infondata ed in parte inammissibile. Sotto un primo profilo si osserva che la sentenza impugnata ha affermato che dalla C.T.U. espletata nel giudizio di primo grado era emerso che il progetto presentava una cubatura lievemente superiore a quella prevista, ma che tale difetto dell’elaborato, ove rilevato in sede di approvazione, sarebbe stato facilmente emendabile, cosicchè l’inconveniente non comportava assolutamente l’inutilizzabilità del progetto stesso; pertanto, avendo il giudice di appello indicato chiaramente le fonti del proprio convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da sufficiente e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede.

Quanto poi all’asserito omesso esame del vizio progettuale relativo alla inosservanza delle distanze legali, si rileva che si tratta di una questione implicante un accertamento di fatto non esaminata nella sentenza impugnata; pertanto i ricorrenti avevano l’onere (in realtà non assolto), al fine di evitare una statuizione di innammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avessero fatto, per dar modo a questa Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e mancata applicazione degli artt. 1218, 1223 e 1226 c.c. in relazione all’art. 1176 c.c. assumono che l’inadempimento anche per colpa lieve del professionista nella corretta esecuzione della sua prestazione comporta per il committente il diritto al risarcimento dei danni, e che nella fattispecie l’inutilizzabilità della progettazione e la conseguente impossibilità di realizzare l’opera costituivano elementi sufficienti a provare l’esistenza dei danni; pertanto dall’accoglimento delle precedenti censure consegue secondo i ricorrenti anche l’annullamento del capo della sentenza impugnata che ha rigettato la domanda di natura risarcitoria.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha rilevato che, a prescindere dalla assenza di qualsiasi prova in ordine all’esistenza ed alla entità dei danni, le pregresse considerazioni relative al fatto che il primo progetto era stato frutto di una precisa scelta dei committenti e che il secondo progetto non presentava alcun profilo di inutilizzabilità escludevano ogni credibilità alla pretesa risarcitoria degli appellati incidentali.

Tali considerazioni comportano il rigetto del motivo in esame che del resto, nella sua stessa prospettazione, presuppone l’accoglimento dei due precedenti motivi, ritenuti invece infondati.

Il ricorso quindi essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 2500,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2010

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