Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18747 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. III, 12/07/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 12/07/2019), n.18747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 20125/ 2017 proposto da:

C.C., rappresentata e difesa dall’avvocato Fiorello

Tatone, presso il cui studio in Pescara, alla via Pisa, n. 29 elegge

domicilio;

– ricorrente –

contro

G.S., rappresentato dall’avvocato Silvio Rustignoli;

– intimato –

C.O., rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Natarella,

e domiciliata presso lo studio dell’avvocato Raffaella Antrilli, in

Roma, Largo Trionfale, n. 7;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 873/ 2017 della CORTE D’APPELLO di L’Aquila,

depositata il 17.5.2017;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28.5.2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.C. ha venduto un suo bene immobile a Cr.Ol., con atto pubblico del 17.8.2004. Al momento della vendita, la C. aveva un debito con l’architetto G.S. che, conseguentemente, ritenendo elusiva del debito quella alienazione, ha convenuto in giudizio la C. per ottenere l’accertamento della simulazione dell’atto, o in subordine, la sua revocatoria. La C. ha chiamato in causa di Cr.Ol., l’acquirente del bene, nei cui confronti ha spiegato domanda volta a far accertare la rescissione per lesione di quella vendita, sul presupposto di aver venduto ad un prezzo inferiore di oltre la metà a quello di mercato, dietro approfittamento dell’acquirente.

Il giudice di primo grado ha respinto le domande principali, di simulazione e di revoca dell’atto di vendita, con l’argomento che parte del ricavato di tale vendita era stato dalla alienante C. destinato proprio ad estinguere il suo debito nei confronti del creditore che ha agito in revocatoria.

Il Tribunale ha altresì respinto la domanda di rescissione ritenendo non sussistente la lesione ultra dimidium e comunque non provato l’approfittamento dell’acquirente.

La Corte di appello ha confermato integralmente la statuizione in ordine alla domanda principale, ossia quella di simulazione e revocatoria, ed ha riformulato il rigetto della domanda di rescissione, accertando, si, la lesione ultra dimidium, sia pure per l’1% circa, ma confermando, come aveva assunto il giudice di primo grado, il difetto di prova circa l’approfittamento.

Propone ricorso la sola C. con tre motivi. V’è costituzione della Cr.. Non v’è ricorso dell’attore originario, che aveva proposto domanda di simulazione e 0 revocatoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Va premesso che la controricorrente eccepisce improcedibilità del ricorso, per l’omissione del deposito di attestazione di conformità della sentenza notificata via pec, ma l’eccezione è infondata.

Intanto il ricorso è notificato nel termine di 60 giorni; inoltre lo stesso controricorrente ammette di aver ricevuto via pec, di cui dunque non va certificata la conformità all’originale.

1.2.- Con il primo motivo la ricorrente fa valere nullità della sentenza di secondo grado, per violazione dell’art. 132 c.p.c.

Ritiene che la decisione sia nulla perchè non contiene una sufficiente esposizione dello svolgimento del primo grado di giudizio, carenza che impedisce di cogliere la ratio della decisione stessa.

Il motivo è infondato.

Dopo la riforma dell’art. 132 c.p.c. (L. n. 69 del 2009), è richiesto che la sentenza contenga la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, e non già l’intero svolgimento del grado precedente di giudizio.

Inoltre, la sentenza, pur priva del riferimento allo svolgimento del primo grado, illustra compiutamente i motivi di appello, dai quali è ricavabile la ratio della decisione di prime cure, cosi come è chiara la ratio della decisione di secondo grado, e la stessa ricorrente mostra di averla intesa, proponendo le censure contenute nei motivi successivi.

1.3.- Con il secondo motivo invece la ricorrente lamenta violazione dell’art. 1448 c.c., in tema di rescissione.

Sostiene che la decisione impugnata ha errato nella considerazione degli elementi costitutivi della rescissione, rendendoli indipendenti l’uno dall’altro.

Piuttosto, accertata la lesione ultra dimidium, ed accertata la consapevolezza dello stato di bisogno in cui versava il venditore, il giudice di merito avrebbe dovuto dedurne altresì la volontà dell’acquirente di apporfittarne. Invece, ha escluso tale elemento, pur avendo ammesso come provati gli altri due.

In sostanza, – ricorrente propone una ricostruzione della fattispecie in cui il dato dell’approfittamento è strettamente legato agli due requisiti, ed anzi da questi ultimi ricavabile quasi per tabulas.

Anche questo motivo è infondato.

Invero, i requisiti dell’azione di rescissione (lesione, stato di bisogno, approfittamento) sono distinti l’uno dall’altro, non possono ritenersi l’uno necessariamente implicato dall’altro, e dunque vanno provati in modo autonomo.

Nè può dirsi che, di per sè, l’uno costituisca elemento presuntivo dell’altro. La conoscenza dello stato di bisogno non è di per sè prova dell’approfittamento (cosi come non lo è la conoscenza della lesione ultra dimidium), occorrendo la dimostrazione che l’acquirente ha inteso avvantaggiarsi delle situazioni in cui versava l’altra parte (Cass. 19625 / 2003). L’accertamento di tale circostanza è un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito, che è sindacabile solo sul piano della irrazionale ricostruzione della fattispecie concreta.

Nel caso presente, il giudice di merito ha ritenuto) non solo non provato l’approfittamento da parte dell’acquirente dello stato di bisogno del venditore, ma l’ha escluso sulla base di un indizio emerso dalla istruttoria, ossia che l’acquirente si era determinato all’acquisto per aiutare la venditrice ad estinguere i suoi debiti con il ricavato. Ed è emerso parimenti che, effettivamente, il corrispettivo è stato usato in parte per l’adempimento; ciò che poi ha condotto al rigetto della domanda di simulazione ed, e di quella subordinata a revocatoria, dell’atto di vendita. L’approfittamento richiesto dalla norma, invero, presuppone che l’acquirente sfrutti lo stato di bisogno per una propria utilità, ed è incompatibile con la volontà di contribuire al pagamento di un debito dell’alienante.

1.4.- Con l’ultimo motivo la ricorrente lamenta violazione delle norme sull’assunzione e valutazione delle prove (artt. 116,117 e 246 c.p.c.).

Assume che erroneamente il giudice di merito non ha ammesso a testimoniare tale G.N., la cui deposizione sarebbe stata decisiva, e di aver dichiarato non attendibile (nulla anzi) la testimonianza di tale B. cointeressato alla vicenda.

Si tratta di censure inammissibili, oltre che infondate.

Inammissibili nella misura in cui contestano l’esercizio discrezionale dei poteri istruttori del giudice di merito, la cui decisione sulle prove può essere censurata in sede di legittimità solo ove sia ravvisabile un errore percettivo, ossia un errore sul contenuto della prova, ma non per contestare l’esercizio del libero apprezzamento delle prove.

Comunque sia, come evidenziato dal controricorrente, il giudice aveva ammesso la deposizione del teste G., nel senso che aveva limitato a tre la scelta dei testi da escutere su quei capitoli di prova, ed è stata la ricorrente a presentare in udienza testi da lei scelti, tra i quali non figurava il G..

Quanto a B., la ricorrente si duole di due violazioni. Da un lato ritiene che, pur avendo la controparte eccepito tempestivamente l’incapacità a testimoniare del predetto teste (coniuge in regime di comunione legale), non ha però reiterato l’eccezione con le conclusioni.

Emerge pacificamente che a seguito di tempestiva eccezione della controparte, il giudice ha riservato la decisione sulla ammissibilità della testimonianza, riserva sciolta con la dichiarazione di nullità in sentenza, così che non v’era ragione di reiterare l’eccezione in costanza di riserva della decisione su quella già formulata.

Inoltre, si duole della stessa declaratoria di nullità della testimonianza, ritenendo non incompatibile il coniuge, e dunque capace di riferire sui fatti di causa.

Non v’è invero alcuna violazione di legge nell’apprezzamento fatto dal giudice di merito, il quale ha tratto il suo convincimento dal regime di comunione legale dei beni tra la ricorrente ed il coniuge, e dunque dalla circostanza che l’esito della lite, riguardando la sorte di un bene comune, interessava anche il marito, che peraltro era fideiussore della ricorrente quanto al debito che ha originato la domanda di revocazione.

Il ricorso va pertanto rigettato e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella

misura di 3200,00 Euro, oltre 200,00 Euro per spese generali. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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