Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18746 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. III, 12/07/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 12/07/2019), n.18746

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 21711 del ruolo generale dell’anno

2017, proposto da:

PARTITO POLITICO DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA, (C.F.: (OMISSIS)), in

persona del Segretario Politico Nazionale, legale rappresentante pro

tempore, S.A. rappresentato e difeso, giusta procura in

calce al ricorso, dagli avvocati Antonio Todisco (C.F.: non

dichiarato) e Pasquale Nunziata (C.F.: non dichiarato);

– ricorrente –

nei confronti di

PARTITO POPOLARE ITALIANO, (C.F.: (OMISSIS)), in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, G.L. e

O.N.N. rappresentato e difesi, giusta procura in calce al

controricorso, dall’avvocato Maurizio Dell’Unto (C.F.: DLL MRZ 63E01

I838N);

– controricorrente –

nonchè

PARTITO POLITICO C.D.U. – CRISTIANI DEMOCRATICI UNITI (C.F.:

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore;

PARTITO POLITICO DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA (C.F.: (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n.

805/2017, pubblicata in data 7 febbraio 2017;

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 28

maggio 2019 dal consigliere Dott. Tatangelo Augusto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il partito politico Democrazia Cristiana, in persona di S.A. e Sc.Pa., ha agito in giudizio nei confronti dei partiti politici Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro (U.D.C.), Cristiani Democratici Uniti (C.D.U.), Associazione Partito Politico della Democrazia Cristiana, Centro Cristiano Democratico (c.c.D.) e Partito Popolare Italiano (P.P.I.) per ottenere: a) la dichiarazione di nullità e/o simulazione assoluta e/o inesistenza e/o inefficacia e/o inopponibilità delle deliberazioni in data 18 e 21 gennaio 1994 del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana e del 29 gennaio 1994, nonchè di ogni atto, successivo al 17 gennaio 1994, dispositivo di diritti e beni della stessa Democrazia Cristiana, cui la stessa non avesse regolarmente partecipato manifestando il proprio consenso a norma di legge e di Statuto; b) l’accertamento dell’avvenuta costituzione del nuovo partito politico del P.P.I., quale soggetto diverso dalla Democrazia Cristiana; c) l’accertamento del diritto dell’attrice Democrazia Cristiana all’utilizzazione della relativa denominazione e del simbolo dello scudo crociato con la scritta “Libertas” nonchè l’inibizione all’utilizzazione degli stessi da parte degli altri partiti e il risarcimento dei danni derivanti dal loro uso illecito da parte delle associazioni convenute; d) la condanna delle associazioni convenute alla restituzione, anche per equivalente, di tutti i beni indebitamente sottratti e/o il risarcimento del relativo danno ovvero, in subordine, l’indennizzo conseguente all’ingiustificato arricchimento.

Tutte le associazioni convenute hanno contestato la legittimazione ad agire del S., il fondamento delle domande proposte e la propria legittimazione passiva; la UDC, il CDU e il CCD hanno altresì chiesto la condanna della parte attrice al risarcimento dei danni per lite temeraria; l’Associazione Partito Politico della Democrazia Cristiana ha chiesto, in via riconvenzionale, inibirsi alla parte attrice l’uso della denominazione “Democrazia Cristiana” e dell’acronimo “DC”.

Nel corso del giudizio di primo grado è intervenuta M.A.I., qualificandosi unica legittimata a rappresentare la Democrazia Cristiana e chiedendo l’accoglimento delle domande originariamente proposte, ma rinunziando successivamente al proprio intervento. Sono altresì intervenuti, sempre in adesione alle domande originariamente proposte, lo stesso attore S., in proprio, nonchè F.S., anche quali associati alla Democrazia Cristiana.

Il Tribunale di Roma, dichiarati ammissibili gli interventi del S. e del F. e cessata la materia del contendere in relazione a quello della M., ha respinto tutte le domande proposte in via principale nonchè quella proposta in via ricon-venzionale dal PPI e quelle di condanna per lite temeraria; ha invece accolto la domanda riconvenzionale avanzata dall’Associazione Partito Politico della Democrazia Cristiana, inibendo all’associazione attrice l’uso della denominazione “Democrazia Cristiana” e dell’acronimo “DC”.

La Corte di Appello di Roma ha dichiarato improcedibile l’appello (proposto dal Partito Politico della Democrazia Cristiana, nonchè dal S. e dal F. in proprio) nei confronti di UDC e CCD, mentre ha confermato la decisione di primo grado in relazione alle altre parti.

Ricorre il Partito Politico della Democrazia Cristiana, sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso il PPI.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile, sotto diversi profili.

Le censure poste alla sua base non risultano, in primo luogo, rivolte a contestare direttamente la decisione impugnata, ma la sentenza di primo grado, di cui viene chiesta la riforma (come fatto presente dalla controricorrente, sembra trattarsi di una pedissequa riproduzione dell’atto di appello).

Fanno altresì difetto non solo una adeguata ed intelligibile esposizione dei fatti di causa ma anche – come già osservato specifiche censure avverso la decisione impugnata e la stessa prospettazione di motivi di ricorso per cassazione riconducibili alle previsioni di cui all’art. 360 c.p.c., in palese violazione dei requisiti di ammissibilità dell’impugnazione di legittimità previsti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, n. 4 e n. 6.

I rilievi che precedono assorbono ogni altra questione e rendono superflua anche l’esposizione dei singoli motivi di ricorso (che, peraltro, come già chiarito, non contengono censure dirette contro la sentenza impugnata, ma contro la decisione di primo grado, della quale è chiesta la riforma, previa ammissione di una serie di mezzi istruttori il cui contenuto non è peraltro neanche specificamente richiamato).

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Le peculiarità della vicenda sostanziale e processuale nonchè dei rapporti tra i soggetti giuridici coinvolti costituiscono motivi idonei a giustificare la compensazione dalle spese del giudizio di legittimità.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– dichiara integralmente compensate le spese del presente giudizio.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dell’associazione ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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