Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18743 del 12/07/2019

Cassazione civile sez. III, 12/07/2019, (ud. 17/05/2019, dep. 12/07/2019), n.18743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2854-2016 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Dott.

S.L. Direttore Centrale prestazioni a sostegno del reddito,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIETTA CORETTI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO;

– ricorrente-

contro

T.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RODI presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA BONITO, rappresentata e difesa

dall’avvocato T.A. difensore di sè medesima;

– resistente con memoria di costituzione –

avverso la sentenza n. 2314/2015 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata

il 28/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/05/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

Fatto

CONSIDERATO

che:

T.A. proponeva opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato improcedibile il procedimento esecutivo presso terzi dalla stessa promosso nei confronti dell’INPS, rilevando l’estinzione del credito di cui al titolo azionato e disponendo la liberazione delle somme pignorate;

l’opposizione veniva accolta dal tribunale, che dichiarava nulla l’ordinanza impugnata e condannava l’INPS al pagamento delle spese del processo esecutivo, nonchè alle spese del giudizio di opposizione;

avverso questa decisione ricorre l’INPS, sulla base di tre motivi;

ha depositato “memoria di costituzione” l’intimata;

Diritto

RITENUTO

che:

con il primo motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 616,617,618 e 289 c.p.c., poichè il tribunale avrebbe errato nel ritenere ammissibile l’opposizione agli atti avverso una statuizione con cui il giudice dell’esecuzione aveva risposto alle contestazioni dell’ente deducente in ordine all’inesistenza del credito, risolvendosi, quindi, nella decisione di un’opposizione all’esecuzione non seguita dalla fissazione del termine per l’inizio del giudizio di merito, che avrebbe legittimato solo a un’istanza d’integrazione del provvedimento nei tempi stabiliti dall’art. 289 c.p.c., ovvero all’introduzione della causa entro la medesima soglia temporale, in difetto determinandosi l’estinzione del processo;

con il secondo motivo si prospetta, in via gradata, la violazione dell’art. 480 c.p.c., poichè l’ente deducente aveva pacificamente saldato l’originario debito per spese processuali liquidate, con distrazione a favore del beneficiario, avvocato T., a carico dell’istituto, con conseguente perdita di efficacia del titolo esecutivo che non avrebbe potuto ritenersi sostenere la richiesta di spese legali successive;

con il terzo motivo si prospetta la violazione degli artt. 91 c.p.c., e D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 4, poichè il valore della controversia oppositiva era pacificamente inferiore a 1.100,00 Euro, ed erano state immotivatamente e illegittimamente liquidate spese processuali per 4.600,00 Euro.

Rilevato che:

il primo motivo è inammissibile anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1;

emerge dagli atti che il giudice dell’esecuzione, rilevato l’avvenuto pagamento dell’importo di cui al titolo esecutivo in epoca anteriore alla notificazione dell’atto di precetto, intimato per “ulteriori spese successive” (pag. 3 del ricorso), ha dichiarato improcedibile l’esecuzione, disponendo lo svincolo dei crediti pignorati;

secondo l’istituto opponente, si tratterebbe di un provvedimento emesso nella fase sommaria di un’opposizione all’esecuzione, come tale non definitivo e non impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi;

la ricostruzione non è condivisa dal Collegio, secondo quanto già chiarito da questa Corte in analoghe fattispecie (Cass., 22/06/2017, n. 15605, Cass., 13/02/2019, n. 4268);

va premesso che il giudice dell’esecuzione ha il potere e dovere di verificare d’ufficio, e a prescindere da un’opposizione del debitore, l’esistenza del titolo esecutivo e la corrispondenza degli importi pretesi dal creditore con quelli dovuti in base al titolo stesso (cfr., ad es., Cass., 19/05/2011 n. 11021);

in caso di mancanza o inefficacia, parziale o totale, del titolo (ipotesi che comprende anche quella in cui risulti dagli atti il pagamento integrale o parziale del credito portato dal titolo), il giudice dell’esecuzione ha dunque il potere e dovere di procedere all’assegnazione in favore del creditore solo degli importi dovuti e, nel caso in cui risulti che il creditore è già stato integralmente soddisfatto, deve dichiarare l’esecuzione non più proseguibile per difetto di titolo esecutivo;

il provvedimento del giudice dell’esecuzione, adottabile al di fuori e anche a prescindere da ogni contestazione del debitore, determina la definitiva chiusura della procedura esecutiva e risulta censurabile, in questa chiave, solo mediante l’opposizione agli atti esecutivi;

diversamente, se adottato in seguito e relativamente a contestazioni del debitore prospettate mediante una formale opposizione all’esecuzione, in relazione alla quale il giudice abbia dichiarato di volersi pronunziare, il provvedimento sommario di provvisorio arresto del corso del processo esecutivo, che resta perciò pendente, è impugnabile con il reclamo a norma dell’art. 624 c.p.c.;

per distinguere tra le due ipotesi deve ritenersi conclusivo indice della natura del provvedimento la circostanza che con esso sia disposta la definitiva – liberazione dei beni pignorati;

quando, viceversa, sia stata proposta una specifica opposizione all’esecuzione, il giudice dell’esecuzione ancora pendente, all’esito della fase sommaria, deve contestualmente fissare il termine per l’instaurazione della fase di merito del giudizio, salvo logicamente che l’opponente stesso vi rinunzi, e, in mancanza, sarà possibile, per la parte interessata, chiedere l’integrazione del provvedimento giudiziale nei termini dell’art. 289 c.p.c., ovvero procedere direttamente, nel medesimo termine perentorio, all’instaurazione del suddetto giudizio di pieno merito, pena la correlativa estinzione processuale (Cass., 24/10/2011, n. 22033, e succ. conf.);

nel caso di specie, pertanto, per un verso va rilevata l’inammissibilità del motivo di ricorso, per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui esso non richiama espressamente il contenuto dell’atto di opposizione all’esecuzione che, a dire dell’istituto ricorrente, lo stesso avrebbe avanzato nel corso del processo esecutivo, nonchè quello del provvedimento del giudice dell’esecuzione, in particolare nella parte in cui abbia eventualmente manifestato di provvedere esclusivamente in ordine a tale ricorso, senza esercitare i propri poteri officiosi di rilievo del difetto del titolo esecutivo;

per altro verso, il motivo è comunque manifestamente infondato, in quanto l’avvenuta liberazione dei beni pignorati (espressamente disposta dal giudice dell’esecuzione, secondo quanto dichiarato dallo stesso istituto ricorrente: pag. 5 del ricorso), costituisce univoco indice della definitività dell’impugnato provvedimento di chiusura del processo esecutivo, con conseguente assoggettabilità all’opposizione agli atti esecutivi proponibile nell’interesse e da parte del creditore procedente;

il secondo motivo è inammissibile, per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6;

risulta come detto dagli atti che, prima della notificazione dell’atto di precetto, l’INPS aveva provveduto al pagamento delle somme portate dal titolo esecutivo (nella specie costituito da sentenza di condanna al pagamento delle spese di un precedente giudizio previdenziale, distratte in favore del procuratore costituito), oltre a spese successive, e che l’avvocato creditore ha intimato precetto per ottenere il pagamento di un residuo importo a titolo di ulteriori spese susseguenti, indicato come non coperto dalla cifra corrisposta dall’istituto;

il tribunale, contrariamente a quanto statuito dal giudice dell’esecuzione, ha ritenuto legittima l’intimazione del pagamento di tali ulteriori spese;

nel ricorso l’istituto ricorrente non specifica nè quali siano le spese successive alla formazione del titolo riconosciute e pagate prima dell’intimazione, nè quali siano le spese di cui la creditrice ha intimato il pagamento;

la trascrizione dell’atto di precetto risulta sul punto incompleta: il ricorrente omette di trascriverne in ricorso i decisivi passaggi nei quali la creditrice, dopo avere dato atto dei pagamenti parziali ricevuti, avrebbe potuto e anzi doveva verosimilmente avere indicato i motivi per i quali non li riteneva satisfattivi, inducendosi a intimare il pagamento di ulteriori somme;

di conseguenza, la tecnica di redazione del ricorso priva questa Corte della possibilità di esaminare la fondatezza della doglianza in rapporto alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che si incentra sul carattere non esaustivo dei pagamenti effettuati dall’istituto intimato e riconosciuti dalla precettante;

poichè il ricorso sul punto difetto di specificità, non è consentito alla Corte di pervenire all’esame nel merito del secondo motivo;

il terzo motivo è manifestamente fondato;

la liquidazione dell’importo di Euro 4.600,00 a titolo di onorario di avvocato, per una causa il cui valore era inferiore ad 1.100,00 Euro (dato che l’importo precettato ammontava a 314,934 Euro) risulta violare i valori massimi previsti dal D.M. n. 55 del 2014;

la pronuncia impugnata va pertanto cassata con riguardo al capo relativo alla liquidazione delle spese di lite, la cui regolazione andrà effettuata in sede di rinvio.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il primo motivo del ricorso, dichiara inammissibile il secondo, accoglie il terzo e cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Foggia, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2019

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