Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18739 del 13/09/2011

Cassazione civile sez. II, 13/09/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 13/09/2011), n.18739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.L. e V.G., rappresentati e difesi,

per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato Natali Luigi,

elettivamente domiciliati in Roma, via Bormida n. 4, presso lo studio

dell’Avvocato Francesco Amici;

– ricorrenti –

contro

VA.EN. (C.F.: (OMISSIS)), V.

L. (C.F.: (OMISSIS)), G.V. (C.F.:

(OMISSIS)), rappresentati e difesi dall’Avvocato Ascani

Roberto, elettivamente domiciliati in Roma, via Umberto Boccioni n.

4, presso lo studio dell’Avvocato Stefano Mihelj;

– controricorrenti –

e contro

M.M.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Ancona n.

240 del 2009, depositata in data 11 aprile 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9

giugno 2011 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti gli Avvocati Luigi Natali e Roberto Ascani;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

VELARDI Maurizio il quale ha concluso per la inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 634 del 2000, il Tribunale di Fermo rigettava, per difetto di legittimazione attiva, la domanda dei sig.ri S. L., S.C. e V.G., con la quale i suddetti avevano richiesto che venisse accertata la simulazione con riferimento al contratto di permuta stipulato – per atto del notaio Fileni in data 14 settembre 1995 – tra Va.En., G.V. e Va.Lo., da un lato, e M. M., dall’altro, avente ad oggetto un fondo confinante con quello degli attori, in relazione all’acquisto del quale essi, pertanto, assumevano di poter vantare un diritto di prelazione.

Il Tribunale di Fermo, nel decidere per il rigetto della domanda, riteneva non raggiunta la prova, incombente sugli attori, inerente al possesso dei requisiti necessari per poter vantare un diritto di prelazione relativamente al fondo oggetto dell’atto impugnato.

Avverso tale sentenza, S.L., S.C. e V.G. proponevano appello dinnanzi alla Corte di Ancona, sostenendo che l’atto di permuta in questione celava in realtà un contratto di vendita simulata che andava a ledere i loro diritti di prelazione sul fondo conteso .

Gli appellati si costituivano in giudizio contestando tutti gli assunti e le richieste avversarie.

La Corte di Appello di Ancona, con sentenza n. 240 del 2009, rigettava il gravame ritenendo ancora non assolto, ad opera degli appellanti, l’onere su di essi gravante di fornire la prova della sussistenza dei requisiti previsti per l’esercizio del diritto di prelazione.

Nei confronti di detta pronuncia i sig.ri S.L. e V.G. hanno proposto ricorso per cassazione formulando tre distinte censure.

Hanno resistito con controricorso Va.En., V. L. e G.V., mentre M.M. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la “violazione dell’art. 360 c.p.c. in relazione all’art. 1414 e segg. c.c., all’art. 115 c.p.c.. Omissione d’esame e carenza di motivazione”.

Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano “violazione, per omissione di esame e carenza di motivazione su di un fatto decisivo”.

Con il terzo ed ultimo motivo di gravame i ricorrenti censurano la violazione dell’art. 360 c.p.c. in relazione all’art. 345 c.p.c..

Contraddittorietà di esame di motivazione e vizio di potere”.

Tutti i motivi sono inammissibili, non rispondendo essi ai requisiti di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis al caso di specie, essendo stata impugnata una decisione depositata in data 11 aprile 2009, e cioè prima della entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, che ha abrogato l’art. 366-bis citato, con effetto, peraltro, secondo quanto disposto dall’art. 58 della medesima Legge, per le impugnazioni concernenti provvedimenti depositati dopo il 4 luglio 2009.

Nella giurisprudenza di questa Corte si è, infatti, chiarito che “il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata” (Cass., n. 11535 del 2008).

In particolare, “il quesito di diritto non può essere desunto dal contenuto del motivo, poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità” (Cass., ord. n. 20409 del 2008).

Il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, è poi bensì ammissibile, ma esso deve concludersi “con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto”. (Cass., S.U., n. 7770 del 2009).

Nella norma dell’art. 366-bls cod. proc. civ., infatti, nonostante la mancanza di riferimento alla conclusività (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito concernente il motivo di cui al precedente art. 360, n. 5 – cioè la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione – deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione.

(Cass., n. 16002 del 2007; Cass., S.U., n. 20603 del 2007; Cass., n. 8897 del 2008).

Ne consegue che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (Cass., n. 26020 del 2008).

Così come sono inammissibili i motivi di ricorso fondati sulla violazione di legge e quelli fondati su vizi di motivazione, ove non sorretti da quesiti separati, con la precisazione che non è consentito al ricorrente censurare con un unico motivo (e quindi con un unico quesito) sia la mancanza, sia l’insufficienza, sia la contraddittorietà della motivazione (Cass., n. 5471 del 2008).

Deve poi “escludersi che la formulazione dei quesiti di diritto e la chiara indicazione del fatto controverso con le caratteristiche indicate dall’art. 366-bis cod. proc. civ. possano reputarsi sussistenti per il fatto che la parte resistente abbia controdedotto, giacchè l’espressa previsione del requisito a pena di inammissibilità palesa non solo che l’interesse tutelato dalla norma (o meglio dalle norme, posto che l’indicazione di tale sanzione è prima contenuta nell’art. 366, n. 4 e poi ripetuta nell’art. 366-bis) non è disponibile ed è tutelato dalla rilevabilità d’ufficio (come sempre accade quando il legislatore ricorre alla categoria della inammissibilità, che non a caso è accompagnata dall’espressione preliminare evocativa della sanzione a pena di), ma esclude anche che possa assumere alcun rilievo in funzione di superamento del vizio l’atteggiamento della controparte, poichè, allorquando il legislatore ricorre alla categoria della inammissibilità, è escluso che l’atteggiamento della controparte possa assumere rilievo sotto il profilo del raggiungimento dello scopo, come invece è previsto per la nullità (art. 156 cod. proc. civ.): infatti, l’espresso ricorso da parte del legislatore alla sanzione della inammissibilità impedisce che il giudice possa ritenere soddisfatta l’esigenza a presidio della quale il legislatore ha previsto una certa forma a pena di inammissibilità in modo diverso che attraverso la forma indicata dal legislatore (Cass., ord. n. 16002 del 2007).

Nel quadro di tali principi, risulta evidente, ad avviso del Collegio, la non rispondenza dei motivi di ricorso allo schema che si è delineato.

In primo luogo, i motivi di ricorso sono inammissibili nella parte in cui denunciano violazione di norme di diritto, atteso che è del tutto carente la formulazione del relativo quesito di diritto.

Per le medesime ragioni, sono inammissibili i denunciati vizi di motivazione di cui al primo e al terzo motivo, atteso che detti vizi sono dedotti congiuntamente a quello di violazione di legge e difetta la distinta enunciazione del quesito di diritto e del fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria o insufficiente la motivazione.

Quanto al secondo motivo, con il quale i ricorrenti deducono “omissione di esame e carenza di motivazione su di un fatto decisivo”, non è chiaro se i ricorrenti abbiano inteso denunciare una omessa pronuncia concernente il motivo di impugnazione relativo alle istanze istruttorie formulate in primo grado e dal tribunale rigettate, ovvero un generico vizio di motivazione della sentenza impugnata, per il mancato esame del motivo di gravame concernente appunto le istanze istruttorie. A sostegno della censura, nel ricorso si legge: “Attiene al richiamo delle conclusioni per l’esservisi, in sentenza (pag. 2, in fondo), riferiti, unicamente e solo, a proposito dell’udienza del 18 dicembre 2008, al dedottovi giuramento decisorio, omettendo la parte relativa alla formulatavi richiesta di previa in sub. ammissione (rectius: riammissione) dei mezzi di prova revocando l’ordinanza interruttiva e previa ammissione della CTU e la, completamente, dimenticatavene della sempre incoata richiesta di ammissione dell’interrogatorio, del giuramento suppletorio e della, costantemente, invocatane CTU che non possono non costituirne il seriamente addebitabile difetto che ne legittima, anch’esso, l’obbligatorietà della censura”.

Come si desume dalla ora riportata esposizione del motivo, i ricorrenti si sono limitati a denunciare genericamente la violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., senza specificare esattamente quale delle ipotesi da detto articolo disciplinate ricorresse nella specie.

Il che comporta la inammissibilità del motivo per genericità dello stesso, non essendo chiaro se essi abbiano inteso denunciare un vizio di omessa pronuncia ovvero un vizio di carenza di motivazione.

Come ripetutamente evidenziato da questa Corte, infatti, l’omessa pronunzia, quale vizio della sentenza, deve essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e non già con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (tra le tante, Cass. n. 24856 del 2006; Cass. n. 3190 del 2006; Cass. n. 12366 del 1999).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro e in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo in favore dei controricorrenti.

Non vi è invece luogo a provvedere sulle spese nei confronti della parte intimata, non avendo la stessa svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2011

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