Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18738 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. II, 10/09/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 10/09/2020), n.18738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20465/2019 proposto da:

B.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato SILVANA GUGLIELMO,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Edoardo

Spighetti, in ROMA, VIA ASIAGO 9;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1428/2019 del TRIBUNALE di CATANZARO,

depositato il 29.04.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato in data 20.11.2017 B.A., cittadino del (OMISSIS), impugnava il provvedimento emesso in data 17.8.2017, con il quale la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Crotone gli aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione.

Il Ministero dell’Interno si costituiva chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Con decreto n. 1428/2019, depositato in data 29.04.2019, il Tribunale di Catanzaro ha rigettato il ricorso. In particolare, considerando esaustiva l’audizione effettuata in sede amministrativa, il Tribunale non aveva proceduto all’audizione giudiziale del ricorrente, che peraltro non si era presentato all’udienza fissata per la comparizione delle parti senza addurre alcun impedimento, nè la sua difesa aveva insistito per l’audizione (richiesta con il ricorso introduttivo).

Per quanto riguarda gli elementi di prova offerti dal richiedente il decreto riportava che il medesimo era cittadino del Gambia, nato e cresciuto a (OMISSIS). Il ricorrente ha dichiarato di aver studiato 7 anni, di essere orfano di padre e di avere tre sorelle e un fratello. Con riferimento ai motivi che lo avevano spinto ad abbandonare il suo paese di origine, riferiva che, dopo la morte del padre, la madre aveva sposato lo zio, il quale aveva sottratto tutti i beni dell’eredità e lo trattava male facendolo lavorare nei campi; che nel 2015 lo aveva cacciato di casa dicendogli che non lo voleva più vedere e minacciandolo con un coltello. Aveva dunque deciso di lasciare il paese per il Senegal, avendo paura di essere ucciso dallo zio e che la polizia, alla quale si sarebbe rivolto, gli avrebbe detto che, trattandosi di una questione di famiglia, avrebbe dovuto risolverla da solo.

Sotto altro profilo, il Tribunale ha sottolineato che, dalle informazioni acquisite, è risultato che il Gambia sia un importante crocevia del traffico illegale di droga tra l’America Latina e l’Europa, oltre ad avere un ruolo nel contrabbando e nel commercio di diamanti provenienti dalla Liberia, e un alto tasso di corruzione. In seguito ad accuse di violazioni di diritti umani, dal 2012 il paese era stato escluso dagli aiuti previsti dai programmi di sviluppo dei donatori occidentali. Per quanto riguardava la situazione politica, il Gambia dal 1994, in seguito al colpo di Stato di J., era accusato ripetutamente di repressione del dissenso e di crimini quali sparizione forzata di cittadini, detenzione senza accusa, tortura e omicidio. Dal 2017 il nuovo Presidente annunciava che intendeva garantire il rispetto dei diritti umani. A differenza degli anni precedenti, le forze di sicurezza non procedevano all’arresto arbitrario di cittadini e il Governo rispettava generalmente i diritti dei cittadini.

Avverso il decreto propone ricorso per cassazione B.A. sulla base di otto motivi; l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese. La Procura Generale presso questa Corte ha richiesto, con requisitoria scritta, l’accoglimento del ricorso quanto alla mancata videoregistrazione, o in subordine la rimessione della causa alle sezioni unite.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione L. n. 46 del 2017, che introduce il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, lett. A e C, Direttiva 2013/32 U.E. (in particolare gli artt. 12, 14, 31 e 46) e della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., art. 47”. Osserva il ricorrente che, ai sensi della L. n. 46/ del 2017, il Giudice debba fissare udienza di comparizione ove la videoregistrazione non sia disponibile.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Risulta dal provvedimento impugnato che, “considerata la natura della vicenda allegata e l’esaustività dell’audizione effettuata in sede amministrativa” non si sia proceduto alla audizione giudiziale del ricorrente, il quale peraltro non si era presentato alla udienza fissata per la comparizione delle parti senza addurre alcun impedimento, nè la sua difesa aveva insistito in quella sede per la sua audizione (decreto impugnato, pag. 2).

Non sussiste, d’altra parte, alcun automatismo tra la mancanza di videoregistrazione e la rinnovazione dell’ascolto del richiedente (Cass. n. 17717 del 2018), per cui rettamente il Tribunale, dopo aver adempiuto all’obbligo di disporre l’udienza di comparizione delle parti, ha ritenuto di poter decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, e cioè il verbale o la trascrizione del colloquio personale (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, causa C-348/16 Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49); tanto più che, nella specie, il ricorso neppure indica se e quali nuovi elementi fosse indispensabile acquisire (Cass. n. 32001 del 2019).

2.1. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, sulla valutazione circa la mancanza di credibilità”, poichè il Giudice avrebbe liquidato con una mera formula di stile la credibilità del racconto, senza un effettivo riscontro da parte del medesimo sulle notizie reperibili sul paese d’origine, di cui si è limitato in sostanza a riportare la storia.

2.2. – Con il terzo motivo, il ricorrente censura la “Violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 9” là dove il Giudice non si è avvalso delle informazioni sul Gambia delle Commissioni asilo come previsto dalla legge.

2.3. – Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e mancata applicazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2”, poichè – a differenza di quanto previsto per la definizione dello status di rifugiato – per la protezione sussidiaria non si fa cenno al sentimento di timore, ma solo all’esistenza di un rischio effettivo, che non richiede che il rischio di danno grave dipenda da ragioni di tipo particolare.

2.4. – Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione art. 6 e 13 CEDU” in quanto la violazione dell’art. 6 CEDU consisterebbe nel fatto che al ricorrente era rivolta solo la domanda di conferma di quanto dichiarato in Commissione Territoriale; mentre la violazione dell’art. 13 CEDU consisterebbe nella mancata acquisizione da parte del Giudice delle informazioni sul Gambia.

2.5. – Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia la “Violazione del disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C”, là dove il Giudice, nonostante il ricorrente abbia espresso il timore di essere perseguitato ed il rischio altissimo di terrorismo in tutto il paese, non ha ritenuto il ricorrente meritevole di alcun tipo di protezione, neppure temporanea.

2.6. – Con il settimo motivo, il ricorrente censura la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), artt. 7 e 8”, in quanto la vicenda del ricorrente dovrebbe ritenersi credibile; e quindi fondato il timore del ricorrente di essere perseguitato per motivi di appartenenza a un determinato gruppo sociale in caso di rientro nel paese d’origine, alla luce della sua condizione di “figlio di una strega”.

2.7. – Con l’ottavo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione della norma contenuta nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e conseguente violazione artt. 2 e 10 Cost. e artt. 3 e 8 CEDU”, poichè la protezione umanitaria ha consistenza di diritto soggettivo da annoverare tra i diritti fondamentali, con la conseguenza che la garanzia di cui all’art. 2 Cost., esclude che dette situazioni possano essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo.

3. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i successivi sette motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

3.1. – I motivi non possono essere accolti.

3.2. – Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie). Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrati attraverso una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

Il controllo affidato a questa Corte non equivale, infatti, alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014). Sicchè, in ultima analisi, tale motivo si connota quale riproposizione, notoriamente inammissibile in sede di legittimità, di doglianze di merito che attingono all’apprezzamento delle risultanze istruttorie motivatamente svolto dalla Corte di merito (Cass. n. 24817 del 2018).

3.3. – I motivi si sostanziano, dunque, in una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione dal Tribunale dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni e le fonti del proprio convincimento. Come detto, tale richiesta di riesame non è evidentemente deducibile quale motivo di impugnazione in questa sede di legittimità, ancor più in seguito alla citata modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053 del 2014).

In particolare, il decreto impugnato ha ritenuto anzitutto non credibili le dichiarazioni del ricorrente, esponendo chiaramente le plurime ragioni di tale convincimento; ha poi ritenuto, con motivazione coerente ed esaustiva, l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente. Il giudice territoriale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati e le vicende riferite dal ricorrente non siano credibili, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio cd. attenuato, e che in ogni caso doveva escludersi un’esposizione alla lesione dei diritti fondamentali della persona o l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla situazione individuale dell’istante. In particolare riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata oltre alle ragioni della ritenuta genericità ed illogicità del racconto esamina la situazione della zona di provenienza e di conseguenza non ravvisa i presupposti per la protezione sussidiaria ritenendo con motivazione coerente ed esaustiva che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e diffusa e di un conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludano tale diritto.

Le censure si risolvono quindi in generiche critice del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 32001 del 2019).

A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra altresì la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente: a) che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr.tra molte: Cass.n. 340 del 2019; Cass. n. 32001 del 2019, cit.); b) che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. tra molte: Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 28862 del 2018), ipotesi che nella specie non ricorre; c) che, quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale ha precisato come la zona del Gambia non risulti dalle indicate fonti reperibili interessata dalla presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Infine, il decreto impugnato ha dato conto che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione degli istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria talchè non vi è alcun margine di residuale applicazione diretta del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3. Il motivo sulla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria si rivela inammissibile in quanto censura senza peraltro alcun riferimento alla situazione individuale l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente. Il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dal Tribunale di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

3. – Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese in ragione del fatto che l’intimato non ha svolto alcuna sostanziale difesa. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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