Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18736 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. II, 10/09/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 10/09/2020), n.18736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20556/2019 proposto da:

U.I., rappresentato e difeso dagli Avvocati TIZIANA

ARESI, e MASSIMO CARLO SEREGNI, elettivamente domiciliato presso lo

studio dei medesimi in MILANO, VIA LORENTEGGIO 24;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 146/2019 della CORTE di APPELLO di BRESCIA,

depositata il 28/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

U.I., cittadino della (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Brescia, pubblicata il 28/01/2019, con la quale è stata rigettata l’impugnazione dell’ordinanza del Tribunale di Brescia che confermava il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Secondo il primo Giudice i fatti narrati dal rocorrente non erano credibili; evidenziando, peraltro, come il luogo di provenienza del richiedente non fosse interessato dal conflitto armato.

Il ricorrente dichiarava di aver lasciato la Nigeria il 20.2.2015 in quanto ricercato dalla Polizia per un omicidio non commesso; che il (OMISSIS) aveva accompagnato il fratello, che faceva parte dell’APC, con la motocicletta in un bar ad (OMISSIS) dove lo aveva lasciato; che il fratello aveva ucciso con un fucile o con una mitragliatrice un politico della fazione rivale; che mentre si consumava l’omicidio egli stava giocando a calcio; che il fratello era poi fuggito, ma gli astanti avevano visto che il ricorrente lo aveva accompagnato e per questo lo ritenevano responsabile; che avevano anche arrestato il padre, il quale non aveva ritenuto di chiarire la sua posizione con la Polizia per paura, in quanto l’ucciso era persona potente.

Il Tribunale, nel rigettare le domande, riteneva la versione offerta poco credibile e contraddittoria; e l’accusa di concorso in omicidio era rimasta priva di riscontro. Il ricorrente cadeva in contraddizione là dove, per un verso, riferiva parecchi particolari sull’accaduto, dall’altro, negava di sapere della militanza politica del fratello e delle sue intenzioni omicide; contraddittoria era la giustificazione offerta al ritardo di ben tre mesi di concepire l’idea di espatriare, nonostante, a suo dire, fosse ricercato dalla Polizia; all’udienza del 24.2.2017 il richiedente aveva dichiarato che la Polizia. lo stava cercando al fine di ottenere informazioni sul fratello; che era inverosimile ritenere che, pur ricercato, avesse lasciato il paese attraversando la Nigeria da Sud a Nord e non avesse utilizzato, piuttosto, la via più breve del Camerun o del Benin. Il Tribunale osservava che nel Sud della Nigeria, zona di provenienza del richiedente, non fosse in corso un conflitto armato.

Avverso l’ordinanza proponeva appello U. chiedendo l’accoglimento delle domande svolte in primo grado. Il Ministero dell’Interno si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 146/2019, depositata in data 28.1.2019, la Corte distrettuale rigettava l’appello. In particolare, osservando che se fosse vero che l’appellante era ricercato dalla Polizia, sarebbe stato altrettanto vero che, secondo il suo racconto, era impegnato a giocare a calcio alla presenza di numerosi testimoni, per cui era in grado di provare la sua estraneità ai fatti.

Del tutto irrilevante era il richiamo a persecuzioni per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, o generica persecuzione statuale poichè nulla di ciò si coglieva nel racconto offerto. Nè il richiedente correva il rischio di subire un grave danno rientrando in Edo State poichè, a differenza dei tre stati ubicati nel Nord della Nigeria, lì non sussisteva alcun conflitto armato con caratteristiche di violenza indiscriminata, come risultante dai siti di informazione internazionale. La presenza del gruppo jiahdaista (OMISSIS), significativa negli stati del Nord Est, non investiva Benin City e il suo territorio, di cui era originario l’appellante; non si ravvisavano elementi di fatto alla cui stregua appariva verosimile che l’appellante corresse il rischio di subire un’incarcerazione arbitraria o fosse passibile di pena capitale, non emergendo la ricorrenza di presupposti tali da rivelare un fondato timore in tal senso. Con riferimento alla protezione umanitaria non si leggeva nell’atto di appello alcun profilo di vulnerabilità soggettiva, nè emergeva in atti. L’appellante, giovane e non affetto da patologie gravi e invalidanti, in Nigeria viveva con la famiglia di origine e svolgeva attività di imbianchino. Nè ricorrevano profili di vulnerabilità oggettiva, considerato che le criticità esistenti nella zona di provenienza dell’appellante, comuni a parecchi paesi, africani e non, non assurgevano a emergenza umanitaria generalizzata.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione U.I. sulla base di due motivi; resiste con controricorso il Ministero dell’Interno, deducendo l’inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8”, giacchè la Corte d’Appello non avrebbe approfondito o valutato le vicende vissute dal ricorrente nei paesi di transito (Libia), nonostante siano ormai note le violazioni dei diritti umani e le torture, subite dai richiedenti asilo durante i loro viaggi verso l’Italia, anche nei centri di detenzione in Libia.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Quanto situazione socio-politica della Libia, quale Paese (nella specie) di mero transito, è stato già chiarito da questa Corte che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. E’ stato altresì precisato che il Paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. n. 31676 del 2018; conf. Cass. n. 5373 del 2020). Nel caso concreto, il ricorrente ha allegato la sola situazione della Libia, senza evidenziare alcun nesso con i fatti oggetto della domanda.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e art. 14, lett. c)”. Secondo l’art. 3 del suddetto D.Lgs., ove alcuni elementi del racconto non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri quando l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni sforzo ragionevole per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita un’idonea spiegazione per l’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente siano considerate plausibili, coerenti e non in contrasto con le informazioni generali e specifiche di cui si dispone; d) egli abbia presentato domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che non si dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) il richiedente sia, in generale, attendibile.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Va richiamato l’orientamento di questa Corte a tenore del quale la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (non evocato) come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass., n. 3340 del 2019; Cass. n. 27503 del 2018).

Questa Corte ha, altresì, evidenziato che l’accertamento del giudice di merito deve avere anzitutto ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, e qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 4950 del 2020; cfr. Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 33139 del 2018).

2.3. – Questa Corte ha inoltre precisato (Cass. 27503 del 2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati” (conf. Cass. n. 29358 del 2018). Inoltre, come chiarito sempre da questa Corte (Cass. n. 29358 del 2018, cit.), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, essendo evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso del D.Lgs. n. 251 del 2007, già citato art. 3, comma 5. La Corte di merito ha anche motivatamente escluso – facendo riferimento alle fonti internazionali – che la zona di provenienza del ricorrente sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante. La doglianza in esame, a fronte del giudizio, espresso nel provvedimento impugnato, di esclusione del pericolo per il richiedente di un danno grave o individuale alla vita o alla persona derivante dal contesto di violenza indiscriminata nell’area di provenienza, sulla base di fonti informative individuate specificamente, risulta anzitutto del tutto astratta e generica e comunque mira nella sostanza a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

3. – Il ricorso è inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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