Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18735 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. II, 10/09/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 10/09/2020), n.18735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20563/2019 proposto da:

E.D., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANNA ROSA ODDONE,

ed elettivamente domiciliato in TORINO, VIA PALMIERI 40, presso il

suo l’indirizzo di PEC

avvannarosaoddone01.pecordineavvocatitorino.it;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 3400/2019 del TRIBUNALE di TORINO, depositato

il 21/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

E.D., cittadino della (OMISSIS), ha impugnato il decreto del Tribunale di Torino n. 3400/2019, pubblicata il 21/05/2019, con il quale è stata rigettata l’istanza alla Commissione Territoriale di Torino per il riconoscimento della protezione internazionale. Il ricorrente richiedeva il riconoscimento del proprio diritto allo status di rifugiato o protezione sussidiaria, o in subordine a protezione umanitaria.

Esponeva di essere coniugato con quattro figli e di aver lasciato la Nigeria in quanto viveva a Benin City ove il padre sarebbe stato capo dei sacerdoti della comunità di Oza: alla morte del padre nel (OMISSIS) gli anziani gli avrebbero chiesto di succedergli, ma egli si sarebbe rifiutato in quanto cristiano. Forse per ritorsione, uno zio avrebbe venduto un terreno ereditato dal ricorrente: questi lo avrebbe allora denunciato e lo zio sarebbe stato condannato a 5 anni di carcere. A seguito dell’intervento degli anziani del villaggio sarebbe stato liberato e, a loro volta, gli anziani avrebbero promesso al ricorrente di tornare in possesso del terreno purchè il medesimo fosse succeduto al padre. Egli si sarebbe rifiutato e, a fronte di un’irruzione in casa, sarebbe fuggito a Kano. La sua abitazione, dopo due giorni sarebbe stata incendiata. Da Kano il ricorrente sarebbe partito perchè “c’era il problema della sharia”. Giunto in Libia, sarebbe stato sequestrato per poi essere imbarcato per l’Italia.

Aggiungeva che la moglie sarebbe stata in Italia, in un centro a Perugia, e di non sapere chi le avesse pagato il viaggio.

La Commissione riteneva il racconto non credibile per le motivazioni indicate diffusamente nel provvedimento.

Il Tribunale di Torino, condivideva la suddetta valutazione di non credibilità, rilevando come la vicenda narrata dal ricorrente, compreso il suo esatto nome, risultasse riportata sul quotidiano (OMISSIS), peraltro con significative variazioni, essendo del tutto inverosimile che E.D. non conoscesse, anche considerato che la vicenda aveva avuto tale rilevanza da essere riportata su un quotidiano nazionale. Laddove era poco credibile che alla circostanza che la casa di famiglia di E. era stata distrutta da giovani armati e la madre e la moglie violentate e dopo due giorni la casa era bruciata il ricorrente non avesse fatto cenno.

Secondo il Tribunale non si ravvisavano gli estremi per il riconoscimento della protezione sussidiaria e umanitaria. Il Tribunale, in sintesi, rilevava che non tutta la Nigeria fosse coinvolta nelle violenze di gruppo armato denominato (OMISSIS) e, in particolare, che non lo era l’Edo State, a Sud della Nigeria, zona da cui proveniva il ricorrente (come riportato anche nel testo della Farnesina “(OMISSIS)” che allo stato gli attacchi terroristici erano concentrati nel nord-est del paese, mentre le regioni del sud non risultavano interessate da scontri).

Osservava, inoltre, che gli attacchi di matrice jihadaista fossero fenomeni globali e non già meramente locali, che avevano addirittura investito, e in modo assai consistente, anche paesi occidentali e mediorientali. Di conseguenza, la recrudescenza di tali attacchi era fenomeno presente nell’Africa centrale così come in tantissime altre parti del globo e che comunque non aveva nella Nigeria i connotati della violenza indiscriminata e diffusa sussumibile nella previsione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione E.D. sulla base di due motivi; l’Avvocatura generale dello Stato, per il Ministero dell’Interno pro tempore, si è costituita tardivamente al fine di eventualmente partecipare alla udienza di discusssione, non tenuta poichè la causa è stata trattata in adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il prrimo motivo il ricorrente lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″, rilevandosi che il Tribunale ha rigettato la domanda di riconoscimento di protezione internazionale limitandosi a negare quanto lamentato dal ricorrente e trascurando la complessità della società africana, in particolare di quella nigeriana, nella quale – accanto alle insuperate costumanze ancestrali, alla superstizione e alla diffusa mancanza di scolarizzazione – si sono aggiunte nell’ultimo decennio le gravissime conflittualità nascenti dal terrorismo, che invece, con semplicistico ragionamento, si era ritenuto confinato alla sola parte settentrionale del paese.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l'”Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, omettendo di valutare la condizione di vulnerabilità del medesimo al fine di riconoscere il diritto alla protezione umanitaria. In base alle relazioni mediche e psicologiche depositate nel giudizio di primo grado si potrebbe prevedere che il ricorrente, tornando nel proprio paese, si troverebbe immesso di nuovo in una situazione di rischio e di violenza. Risulterebbe evidente la precarietà esistenziale del ricorrente in una nazione con cui non ha più alcuna relazione.

2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente. Essi sono inammissibili.

2.1. – Pregiudizialmente, va posto in rilievo che la denuncia di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, non è più riconducibile al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 21 maggio 2019.

Il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’è specifica adeguata indicazione. Laddove, poi, è altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento non già ad un “fatto storico”, come sopra inteso, bensì a questioni o argomentazioni giuridiche (Cass. n. 22507 del 2015; cfr. Cass. n. 21152 del 2014; ciò in quanto nel paradigma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è inquadrabile il vizio di omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).

2.2. – A ciò va aggiunto che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; essendo, pertanto, inammissibile la critica generale (e inevitabilmente generica) della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di doglianze non riferibili al provvedimento impugnato, e quindi non chiaramente individuabili (Cass. n. 11603 del 2018). Le proposte censure, come rapsodicamente articolate, appalesano piuttosto lo scopo del ricorrente di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammissibilmente, rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili, onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dal citato art. 360 c.p.c., per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, dunque, cercando di attribuire al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto giuridici alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse (Cass. n. 22355 del 2019; Cass. n. 2051 del 2019).

3. – Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso è inammissibile. Nulla per le spese in ragione del fatto che l’intimato non ha svolto alcuna sostanziale difesa. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

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