Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18733 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. II, 10/09/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 10/09/2020), n.18733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19858/2019 proposto da:

K.M., rappresentata e difesa dall’avvocato TANIA REGGIANI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato, in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2379/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 19/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. K.M., cittadino del (OMISSIS), chiese alla Commissione Territoriale di Bari il riconoscimento della domanda di protezione internazionale nella forma del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto di rilascio di un permesso umanitario.

1.1. La domanda venne rigettata in sede amministrativa; il provvedimento di diniego venne confermato in primo grado ed in appello, con sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila del 19.12.2019.

2. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso K.M. sulla base di due motivi.

2.1. Ha resistito con controricorso il Ministero dell’interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito rigettato la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie nonostante non sia consentito nel Mali l’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti nel nostro Paese.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame delle fonti internazionali, con particolare riferimento quelle dell’EASO, Jeune Afrique e Refworld, da cui risulterebbe una situazione di instabilità politica nel Mali.

3. I motivi, che vanno trattati congiuntamente per la loro connessione non sono fondati.

3.1. Il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019, essendo stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale.

3.2. La protezione umanitaria costituisce una forma di tutela a carattere residuale posta a chiusura del sistema complessivo che disciplina la protezione internazionale degli stranieri in Italia, come rende evidente l’interpretazione letterale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 (cd. decreto “procedure”), in base a cui “nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale” (nella forma del rifugio o della protezione sussidiaria) e “ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6”. Ne discende che la protezione umanitaria è collocata in posizione di alternatività rispetto alle due misure tipiche di protezione internazionale, potendo l’autorità amministrativa e giurisdizionale procedere alla valutazione della ricorrenza dei presupposti della prima soltanto subordinatamente all’accertamento negativo della sussistenza dei presupposti delle seconde (cfr. Cass. n. 15466 del 07.07.2014).

3.3. Quanto all’aspetto, relativo alla generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza, esso costituisce un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente, come si evince pure dal già richiamato comma 1.1 del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che nella verifica della sussistenza del rischio di sottoposizione a tortura in caso di rimpatrio, impone la valutazione dell’esistenza, nello Stato verso cui il soggetto si troverà ad essere allontanato, di “violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani”. Tale elemento, tuttavia, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6, che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare suddetti fattori di vulnerabilità (cfr. Cass. n. 7492/2012, par. 3).

3.4. L’accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298 – 01), alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione.

3.5. Le Sezioni Unite hanno consolidato l’indirizzo espresso dalle Sezioni Semplici, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato (Cassazione civile sez. un., 13/11/2019, n. 29459).

3.6. La corte distrettuale, nel rigettare la domanda volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha accertato l’insussistenza di ragioni di vulnerabilità, legate alla salute, all’età, ai legami familiari ed all’integrazione sociale.

3.7. Quanto al giudizio comparativo, sulla base delle stesse fonti internazionali richiamate dal ricorrente ha escluso che vi sia una violazione dei diritti umani fondamentali, anche in relazione al trattamento dei detenuti ed alle condizioni carcerarie, sicchè, risolvendosi il ricorso in un diverso apprezzamento delle informazioni sul Paese di origine, non sussiste nemmeno il denunciato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. Il ricorso va pertanto rigettato.

4.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

4.2. La condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un’amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito (Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, n. 22014; Cass. Civ., n. 5859 del 2002).

4.3. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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