Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18731 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. II, 10/09/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 10/09/2020), n.18731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20496/2019 proposto da:

J.H., rappresentato e difeso dagli avvocati TIZIANA ARESI,

MASSIMO CARLO SEREGNI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1268/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – J.H., cittadino del (OMISSIS), chiese il riconoscimento della protezione internazionale.

La Commissione territoriale competente rigettò la domanda.

2. – Avverso tale provvedimento il richiedente propose ricorso al Tribunale di Milano, che – con ordinanza del 19/01/2018 – confermò il provvedimento della Commissione territoriale.

Sul gravame proposta dal richiedente, la Corte di Appello di Milano confermò la pronuncia di primo grado.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso J.H. sulla base di due motivi.

Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per non avere la Corte territoriale valutato il periodo di permanenza del ricorrente nei paesi in cui è transitato e le ragioni che lo hanno indotto a fuggire.

Il motivo è inammissibile sia perchè sottopone alla Corte una questione nuova, che non risulta essere stata dedotta come motivo di appello, sia perchè non supera la soglia dell’assoluta genericità.

In ordine al primo profilo di inammissibilità, va osservato che, dall’esame della sentenza impugnata, non risulta che la questione dedotta col presente motivo sia posta sottoposta al giudice del gravame; nè il ricorrente ha trascritto la censura di appello sul punto.

In proposito, va ribadito che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., Sez. 1, n. 23675 del 18/10/2013; Cass., Sez. 2, n. 8206 del 22/04/2016).

In ordine poi al secondo profilo, va rilevato che il ricorrente non ha precisato se e quali dichiarazioni abbia reso in ordine al trattamento cui è stato sottoposto nei paesi di transito, risultando così la censura sotto tale profilo carente di specificità e, perciò, per altro verso inammissibile.

2. – Col secondo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, escludendo il rischio che il richiedente possa subire in Bangladesh trattamenti inumani in ragione della sua situazione debitoria ed escludendo che in quel paese la vita del medesimo sia posta in pericolo da violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

Il motivo è inammissibile.

Ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g), per “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” si intende il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.

Il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, stabilisce che “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato (interno o internazionale) deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass., Sez. 6 – 1, n. 18306 del 08/07/2019).

Questa Suprema Corte ha ancora statuito che, in tema di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’instante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass., Sez. 1, n. 14283 del 24/05/2019); e che, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente (Cass., Sez. 6 – 1, n. 11312 del 26/04/2019).

In ogni caso, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito e insindacabile in sede di legittimità, in presenza di una motivazione esente da vizi logici e giuridici (Cass., Sez. 1, n. 30105 del 21/11/2018).

Nella specie, la Corte territoriale ha escluso che l’asserita situazione debitoria del richiedente possa comportare per lui il rischio di trattamenti inumani, peraltro neppure paventato nella sua audizione. La Corte territoriale ha evidenziato che il richiedente ha narrato fatti di natura privatistica, non suffragati alcuna prova. La motivazione della sentenza impugnata sul punto (pp. 4-5) risulta esente da vizi logici e giuridici e rimane, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.

Quanto alle pretese violenze in Bangladesh nei confronti di chi non paga i debiti, trattasi di questione nuova che non risulta essere stata dedotta nel giudizio di appello; e peraltro il motivo risulta sul punto carente di specificità, non richiamando alcun report o fonte internazionale che attesti quanto preteso.

3. – Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile/rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

4. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 (duemilacento) per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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