Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18727 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. II, 10/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 10/09/2020), n.18727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19604/2019 proposto da:

O.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI CONSOLI,

62, presso lo studio dell’avvocato ENRICA INGHILLERI, rappresentato

e difeso dall’avvocato LUCIA PAOLINELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO,in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2973/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 2973/2018 pubblicata in data 14.12.2018, respingeva l’appello proposto da O.R. avverso l’ordinanza con cui il Tribunale locale aveva disatteso l’opposizione avverso il provvedimento di diniego della competente Commissione territoriale dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

1.1. Il ricorrente aveva dichiarato di essere originario dell’Imo State, Nigeria, e di aver lasciato il proprio Paese d’origine per il timore di essere arrestato e/o di subire ritorsioni da parte dei familiari. Nel circostanziare le ragioni fondanti il manifestato timore di subire conseguenze pregiudizievoli in caso di rimpatrio, il ricorrente adduceva di essere cresciuto con lo zio paterno – fervente praticante di riti pagani – e di essere stato più volte dallo stesso torturato perchè di religione cristiana. La progressiva ferocia degli atti ritorsivi subiti era culminata, poi, nella decisione adottata dalla comunità pagana di abbandonare il ricorrente in un bosco, ove non potesse avere i mezzi di sostentamento per sopravvivere. Il fatto non era stato denunciato per timore delle minacce di morte da parte dello zio e per timore di essere arrestato per aver partecipato ad una manifestazione pro-Biafra, duramente repressa dalle autorità locali.

1.2. Nel motivare la propria decisione di rigetto, la corte di merito valorizzava il profilo dell’assenza di credibilità ed attendibilità di parte ricorrente, la cui ricostruzione non solo appariva carente del requisito della coerenza in ragione delle contraddittorie giustificazioni addotte dal ricorrente al fine di motivare la propria decisione di non sporgere denuncia nei confronti dello zio paterno; ma risultava, altresì, inverosimile sotto molteplici profili e, in particolare, la Corte dubitava della fondatezza del timore del ricorrente di essere ricercato e assassinato dallo zio paterno in caso di rimpatrio o, ancora, della plausibilità che le forze dell’ordine potessero, allo stato attuale, essere alla ricerca di una persona per il solo fatto di aver preso parte ad una riunione pro Biafra, pur non essendone un membro. In definitiva, l’inottemperanza di parte ricorrente all’onere sulla stessa gravante di allegazione di fatti precisi e concordanti, unita alla circostanza dell’inesistenza dei presupposti necessari ai fini della tutela rivendicata, giustificavano il rigetto dell’istanza di protezione internazionale proposta dal ricorrente.

2. Per la cassazione dell’ordinanza ha proposto ricorso O.R., sulla base di due motivi.

2.1. Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

2.2. In prossimità dell’udienza, il ricorrente ha depositato memoria difensiva, allegando documentazione, consistente in buste paga relative all’anno 2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente dichiarata inammissibile la produzione della documentazione allegata alla memoria difensiva, in quanto nel giudizio di legittimità, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero concernano nullità inficianti direttamente la decisione impugnata; in tal caso, essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., rimanendo inammissibile la loro produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’art. 378 c.p.c. (Cassazione civile sez. I, 12/11/2018, n. 28999)

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, artt. 11 e 32, per essere il Giudice di merito pervenuto al giudizio di inattendibilità del ricorrente, senza, tuttavia, applicare gli indicatori di genuinità soggettiva normativamente tipizzati e senza adempiere al dovere di cooperazione istruttoria sullo stesso gravante. In particolare, non avrebbe tenuto conto, ai fini della protezione sussidiaria per la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata che, dagli Osservatori Internazionali e dal sito “Viaggiare Sicuri” curato dal Ministero degli Affari esteri emerge la sussistenza di scontri terroristici anche nel sud della Nigeria, con particolare riferimento alla regione di provenienza del ricorrente.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, disciplina il procedimento cui l’organo giudicante è tenuto ad attenersi al fine di valutare la credibilità del ricorrente nel caso in cui lo stesso non fornisca adeguato supporto probatorio alle circostanze poste a fondamento della domanda di protezione internazionale.

Ebbene, tra i criteri di valutazione menzionati, la disposizione de qua contempla espressamente quello della coerenza e plausibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale.

L’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cassazione civile sez. VI, 30/10/2018, n. 27503).

2.3. Nell’applicare i summenzionati parametri, la Corte d’appello ha, pertanto, ritenuto incoerente ed inattendibile la ricostruzione sostenuta da parte ricorrente in ragione del carattere generico ed implausibile delle informazioni rese, con particolare riferimento al pericolo, in caso di rimpatrio, di essere ricercato e assassinato dallo zio paterno, pur avendo avuto quest’ultimo in passato la possibilità di perseguire tale scopo delittuoso, in quanto conviventi. Inoltre, il ricorrente avrebbe reso dichiarazioni confuse, e quindi inattendibili, su un altro aspetto, ritenuto decisivo dalla corte di merito, relativo all’omessa denuncia del pericolo rappresentato dalla comunità pagana, che lo avrebbe abbandonato in un bosco ed al timore di essere arrestato per la sua estemporanea partecipazione ad una riunione del gruppo indipendentista Biafra.

2.3. Alla luce di quanto esposto, risulta, quindi, che il Giudice di merito abbia fatto corretta applicazione degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, valorizzando, a tal fine, i criteri espressamente contemplati dell’inattendibilità del ricorrente e dell’incoerenza delle dichiarazioni dallo stesso.

2.4. Quanto, poi, alla censura concernente l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria di cui si sarebbe reso responsabile l’organo di merito, in violazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’eventuale esito negativo della valutazione di credibilità, coerenza intrinseca e attendibilità della versione resa dal richiedente la protezione internazionale inibisce l’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria facente capo all’organo giudicante (Cassazione civile sez. I, 30/08/2019, n. 21889; Cassazione civile sez. I, 22/02/2019, n. 5354).

2.6. A fronte di tanto, considerata l’assenza di credibilità ravvisata dal Giudice di merito nella versione resa dall’ O.R., risulta infondata la censura di parte ricorrente volta a denunciare il mancato adempimento del dovere di cooperazione istruttoria da parte della Corte d’appello di Ancona.

2.7. La Corte di merito ha poi escluso che nella regione dell’Imo State fosse ravvisabile una “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbraio 2009, Elgafaji, C465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; Cass. n. 13858 del 2018).

Con le citate pronunce, la Corte di Giustizia ha affermato che i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), potendo l’esistenza di un conflitto armato interno portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. c) della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.

2.8. L’accertamento circa la sussistenza, in concreto, di siffatto tipo di conflitto implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5. Nella specie, il riferimento al sito (OMISSIS) curato dal Ministero degli Affari esteri è inidoneo a tale scopo, perchè diretto a fornire informazioni sulla sicurezza dei Paesi stranieri ai cittadini italiani durante i loro spostamenti all’estero.

3.Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della legge nazionale e sovranazionale inerente il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, art. 3 CEDU e art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (a) e (b), con conseguente vizio di motivazione, per aver il Giudice di merito rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nonostante vi fosse la prova del radicamento in Italia, documentato dalla comprensione della lingua italiana e dall’esercizio di un’attività lavorativa, omettendo la valutazione comparativa tra le condizioni di vita nel Paese d’origine e quelle in cui vivrebbe in caso di rientro.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019, essendo stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 – rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale.

3.3. L’accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298 – 01), alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione.

3.4. Le Sezioni Unite hanno consolidato l’indirizzo espresso dalle Sezioni Semplici, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato (Cassazione civile sez. un., 13/11/2019, n. 29459).

3.5. Nella specie, la corte di merito ha correttamente ritenuto che la conoscenza della lingua italiana e l’esercizio dell’attività lavorativa, quali fattori isolatamente considerati, non fossero sufficienti ad integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

4.1. Non deve provvedersi in ordine alle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

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