Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18726 del 27/07/2017
Cassazione civile, sez. VI, 27/07/2017, (ud. 15/05/2017, dep.27/07/2017), n. 18726
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14822-2015 proposto da:
S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato GIUSEPPE MAURIELLO;
– ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE NAPOLI (OMISSIS) CENTRO, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 18, presso lo studio dell’avvocato
LUDOVICA POGGI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE
CACCAVALE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 939/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,
depositata il 24/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 15/05/2017 dal Consigliere Dott. TERRUSI FRANCESCO.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
S.A., titolare di una farmacia, convenne in giudizio la Asl “Napoli (OMISSIS)” chiedendone la condanna al pagamento di una somma a titolo di interessi di mora, per il ritardo nell’esecuzione di pagamenti relativi alla erogazione di farmaci;
la domanda venne accolta per la minor somma di Euro 309,28, oltre interessi, e il gravame di S. fu rigettato dalla corte d’appello di Napoli,con sentenza in data 24-2-2015;
S. ricorre adesso per cassazione con due motivi, illustrati da memoria;
l’Asl resiste con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
il primo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 2909 c.c., in relazione al D.Lgs. n. 231 del 2002, nonchè degli artt. 115, 116 e 647 c.c., in quanto l’impugnata sentenza avrebbe erroneamente negato il valore di giudicato esterno a taluni decreti ingiuntivi, resi nei confronti della debitrice su ricorso del medesimo istante, relativi a prestazioni eseguite sulla base del medesimo rapporto convenzionale;
secondo il ricorrente la questione del riconoscimento degli interessi al tasso stabilito dal D.Lgs. n. 231 del 2002, costituiva elemento comune a entrambe le cause, di cui una decisa in senso favorevole al creditore, sicchè “il passaggio in giudicato dei riferiti decreti ingiuntivi a seguito di mancata opposizione (…) aveva reso incontrovertibile il suddetto diritto in tutte le cause proposte dal soggetto convenzionato”;
il motivo è manifestamente infondato anche a seguire l’assunto circa il frazionamento del credito;
il decreto ingiuntivo divenuto inoppugnabile, che sia stato ottenuto dal creditore per una frazione soltanto del suo credito, non produce alcun effetto di giudicato esterno, non vertendosi in tema di rapporto presupposto; non possiede detto effetto neppure nel successivo giudizio avente a oggetto una restante parte del credito nascente dalla medesima fonte negoziale (cfr. Cass. n. 18205-08, Cass. n. 7400-97);
il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 93,287 e 288 c.p.c., per avere la corte d’appello rigettato l’istanza di correzione della sentenza di primo grado nella parte concernente la distrazione delle spese processuali in favore del domiciliatario, anzichè del difensore costituito con procura;
il motivo è inammissibile, perchè viene in questione un errore commesso dal giudice a quo nel disporre la distrazione in favore di avvocato diverso dall’avente diritto avv. Mauriello;
a tal riguardo la censura avrebbe dovuto essere proposta non dalla parte rappresentata ( S.) ma dal difensore in proprio, il quale nel caso di controversia sulla pronuncia di distrazione assume la qualità di parte (v. Cass. n. 20744-11; Cass. n. 12104-03; Cass. n. 3634-01);
in particolare il difensore che abbia chiesto la distrazione delle spese assume la qualità di parte, attiva o passiva, nel giudizio di impugnazione se la sentenza impugnata non abbia pronunciato sull’istanza di distrazione o l’abbia respinta ovvero quando il gravame investa la pronuncia stessa di distrazione (di recente Cass. n. 11919-15);
il ricorso va definitivo con pronuncia di inammissibilità, ai sensi dell’art. 360 – bis c.p.c.;
le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2017