Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18725 del 05/09/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 18725 Anno 2014
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:

MONTELEONE Genoeffa (ART GFF 37D58 H359A), rappresentata e
difesa, per procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avv. Antonino Pellicanc5, ed elettivamente domiciliata
presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Piazzale delle
Belle Arti n. 8;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 05/09/2014

avverso il decreto della Corte d’appello di Catanzaro del
21 dicembre 2012.

Udita

la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 25 giugno 2014 dal Consigliere relatore Dott.

udito l’Avv. Antonino Pellicand).

Ritenuto che, con ricorso depositato il 17 maggio 2012
presso la Corte d’appello di Catanzaro, Monteleone
Genoeffa ha chiesto la

condanna

del Ministero della

dell’indennizzo

Giustizia al pagamento

per la

irragionevole durata di un giudizio da lei instaurato
dinnanzi al Pretore di Palmi, giudice del lavoro,
nell’aprile 1997, proseguito in appello dinanzi alla Corte
d’appello di Reggio Calabria e definito con sentenza della
Corte di cassazione pubblicata in data 9 dicembre 2011;
che l’adita Corte d’appello ha rigettato la domanda di
equa riparazione sul rilievo che la modestia e l’esiguità
della posta in gioco – inferiore ad euro 500 – e la
carenza di interesse in considerazione

dell’ottenimento

delle somme rivendicate, facevano escludere la sussistenza
della dedotta sofferenza derivante dalla eccessiva durata
del processo;
che Monteleone Genoeffa ha proposto ricorso per la
cassazione di questo decreto, affidato a tre motivi, cui
ha resistito con controricorso l’amministrazione intimata;

2

Alberto Giusti;

che la ricorrente ha depositato memoria in prossimità
dell’udienza.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
di una motivazione semplificata nella redazione della

che con il primo mezzo (illegittimità – vizio assoluto
di motivazione) la ricorrente si duole del mancato
riconoscimento dell’equo indennizzo, sostenendo che le
ragioni addotte dalla Corte d’appello, e segnatamente
quella relativa alla minima entità della posta in gioco,
sarebbero del tutto erronee in considerazione della non
adeguata valutazione dell’importanza della controversia e
della non corretta individuazione dell’oggetto del
giudizio presupposto (non il diritto all’iscrizione negli
elenchi agricoli e all’indennità di disoccupazione, bensì

il

diritto all’adeguamento dell’indennità di

disoccupazione agricola) e del valore dello stesso (non
inferiore a 500 euro, bensì superiore ad euro 5.000);
che con il secondo mezzo l’istante lamenta violazione
e falsa applicazione dell’art. 2 l. n. 89 del 2001 nonché
carenza assoluta di motivazione, sostenendo che l’asserita
modestia della posta in gioco non sarebbe comunque idonea
a far escludere la sussistenza del danno non patrimoniale
cagionato dall’irragionevole durata del processo;

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sentenza;

che con il terzo motivo, che denuncia difetto assoluto
di motivazione e disparità di trattamento, si censura che
la parte motiva del gravato decreto sia contraddittoria
rispetto a fattispecie analoghe giudicate dalla stessa

che i motivi,

che possono essere trattati

congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono
fondati, nei termini e nei limiti di seguito precisati;
che è consolidato principio di questa Corte che, in
caso di violazione del termine di durata ragionevole del
processo, il diritto all’equa riparazione di cui all’art.
2 della legge n. 89 del 2001 spetti a tutti i protagonisti
della vicenda processuale, costituendo l’angoscia e il
patema d’animo per l’eccessiva protrazione del processo i
riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in
ordine alle posizioni in esso coinvolte;
che, in altri termini, il danno non patrimoniale è da
ritenere conseguenza normale, ancorché non automatica e
necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole
durata del processo, purché non ricorrano elementi tali
che consentano di sostenere che il

vulnus cagionato dal

ritardo nella definizione del giudizio non abbia
sensibilmente inciso sulla psiche del ricorrente;
che il modesto valore della posta in gioco non può
costituire utile ragione per escludere la spettanza

Corte di appello di Catanzaro;

dell’equo indennizzo nei casi in cui dall’apprezzamento
concreto della fattispecie (causa previdenziale),
effettuato anche alla stregua della situazione socioeconomica dell’istante, emerga, come nella specie, un

2011; Cass. n. 22435 del 2009); in casi siffatti, invero,
l’esigua entità della pretesa patrimoniale azionata può
unicamente incidere in sede di valutazione equitativa del
pregiudizio concreto subito dal cittadino a causa del
ritardo del servizio giustizia, legittimando lo
scostamento, in senso peggiorativo, dai parametri
indennitari fissati dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo;
che alla stregua di tali considerazioni il ricorso
deve essere accolto, con conseguente annullamento del
decreto impugnato;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di
fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi
dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.;
che il processo presupposto si è pacificamente
protratto per quattordici anni e otto mesi, sicché,
detratti sei anni di ragionevole durata in base ai criteri
standard,

esso ha avuto la durata irragionevole di circa

otto anni e otto mesi;

5

effettivo interesse alla decisione (Cass. n. 23519 del

che, nella specie, il diritto all’equa riparazione per
il danno non patrimoniale va pertanto equitativamente
determinato nella somma di euro 4.333,33 (pari ad euro 500
per ogni anno di ritardo, stante l’entità ridotta del

in gioco);
che le spese processuali, liquidate come da
dispositivo, seguono la soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
impugnato e,

accoglie

il ricorso;

cassa

il decreto

decidendo la causa nel merito, condanna il

Ministero della giustizia al pagamento, in favore della
ricorrente, della somma di euro 4.333,33, condannando
l’Amministrazione altresì al rimborso delle spese del
giudizio di merito, che determina in complessivi euro 700,
di cui euro 600 per compensi, oltre agli accessori di
legge; pone a carico del Ministero le spese del giudizio
di cessazione, liquidate in euro 600, di cui euro 500 per
compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Dispone la distrazione delle spese di legittimità e di
merito in favore dell’Avv. Antonino Pellicanà,
dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI-2 Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il

pregiudizio per effetto della modesta entità della posta

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