Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18724 del 10/09/2020

Cassazione civile sez. II, 10/09/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 10/09/2020), n.18724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19914/2019 proposto da:

F.L., rappresentato e difeso dall’Avvocato ELENA TORDELA,

presso il cui studio ad Avellino, corso Umberto I 119, elettivamente

domicilia per procura speciale del 3/6/2019 in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il DECRETO n. 4406/2019 del TRIBUNALE DI NAPOLI, depositato

il 22/5/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/1/2020 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.L., nato in (OMISSIS), con ricorso depositato il 4/5/2018, ha impugnato il provvedimento, notificato il 5/4/2018, con il quale la commissione territoriale ha respinto la sua domanda di protezione internazionale.

Il tribunale di Napoli, con il decreto in epigrafe, ha rigettato il ricorso.

L’istante, con ricorso notificato in data 20/6/2019, ha chiesto, per due motivi, la cassazione del decreto, dichiaratamente comunicato il 22/5/2019.

Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le questioni di costituzionalità sollevate, in via preliminare, dal ricorrente, con riguardo al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, sono manifestamente infondate. In tal senso, in effetti, si è già espressa questa Corte con riguardo tanto alla norma che prevede il termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento, quanto alla norma in cui è stabilito che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena d’inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria, poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (Cass. n. 17717 del 2018).

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, letto in comb. disp. con l’art. 5, comma 6, e con l’art. 19, comma 1.1, del Testo Unico Immigrazione, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha erroneamente ritenuto insussistenti le condizioni richieste dall’art. 14 cit..

2.2. Il tribunale, infatti, ha osservato il ricorrente, così facendo, ha limitato la propria indagine a fonti informative non attuali, perchè risalenti al 2016, e senza tenere conto di talune circostanze decisive, laddove, al contrario, il giudice deve esaminare i fatti prospettati anche alla luce delle condizioni socio-politiche generali del Paese di provenienza e tale accertamento dev’essere aggiornato al momento della decisione.

2.3. Il ricorrente, inoltre, ha ampiamente documentato la sua effettiva integrazione in Italia, intessendo vari rapporti di amicizia con italiani e svolgendo un ruolo attivo nella comunità in cui vive. La motivazione che il giudice ha reso per negare la protezione umanitaria è carente e priva di logica. Il fatto che il ricorrente è da tempo integrato è motivo sufficiente di accoglimento della domanda di protezione umanitaria. Il Gambia, del resto, è caratterizzato da gravi ed oggettive difficoltà economiche, di diffusa povertà e di limitato accesso per la maggior parte della popolazione ai più elementari diritti inviolabili della persona, con la conseguenza che il ricorrente, in caso di rientro in Patria, si troverebbe in una condizione di particolare vulnerabilità.

3.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 8, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, la violazione dell’art. 10 Cost., la violazione della direttiva n. 2004/83, la violazione dell’art. 8 della direttiva 2004/83, la violazione dell’art. 8 della direttiva n. 2001/95 e la violazione dell’art. 3 CEDU, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha erroneamente fondato il proprio convincimento sulla sola base della credibilità soggettiva del richiedente e sull’onere di provare il fumus persecutionis a suo danno nel Paese d’origine.

3.2. In realtà, ha osservato il ricorrente, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, tutto il Gambia è interessato da un conflitto armato e di violenza indiscriminata, così come si apprende dai reports del ministero degli esteri e di Amnesty International. Il Paese d’origine del ricorrente, in particolare, è caratterizzato da un diffuso detrimento dell’esercizio delle libertà democratiche riconosciute dal nostro ordinamento ed è attraversato da una fase di instabilità caratterizzata dall’annichilimento della libertà di espressione, da sparizioni forzate nonchè da torture ed altri maltrattamenti posti in essere dalle autorità governative, da attacchi nei confronti della società civile e crimini di guerra fino alla diffusa applicazione della pena capitale.

3.3. L’autorità amministrativa ed il giudice, del resto, devono svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria. Il giudice, quindi, ha un dovere di cooperazione nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e gode di poteri istruttori di maggiore ampiezza.

3.4. Il tribunale, invece, in violazione della legge, si è limitato ad una valutazione parziale e puramente ipotetica, omettendo l’approfondimento della conoscenza del ricorrente, nonchè qualunque altra considerazione alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione generale del Paese d’origine dell’istante.

3.5. Le circostanze riferite, quindi, ha concluso il ricorrente, integrano i presupposti per il riconoscimento dello status di persona ammessa alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e, conseguentemente, al rilascio del relativo permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 23, comma 2.

4.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

4.2. La corte d’appello, invero, con un accertamento in fatto che il ricorrente non ha censurato per omesso esame di uno o più fatti decisivi, ha evidentemente escluso la sussistenza di un danno rilevante ai fini previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ed ha, per l’effetto, rigettato la domanda di protezione sussidiaria proposta dal ricorrente. Il giudice di merito, invero, per un verso, ha rilevato che il richiedente non ha mai allegato il rischio di una condanna a morte o di altre pene degradanti o inumane in caso di rimpatrio e, per altro verso, ha ritenuto che non sussiste neppure il rischio che lo stesso possa essere attinto dalla violenza indiscriminata di un conflitto armato, “che non interessa il Gambia e, in particolare, la zona di provenienza del ricorrente”: come emerge dal rapporto EASO del 13/12/2017, consultabile sul sito EASO COI PORTAL, ha osservato la corte, “la situazione politica del Gambia è mutata, migliorando nel corso del 2017 all’esito delle elezioni del nuovo presidente A.B.”, nè, ha aggiunto, risulta che nel Gambia vi siano conflitti armati “diffusi” anche tra civili. A fronte di tali circostanze, la corte ha ritenuto che non ricorre, nel caso in esame, alcuna delle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 cit., art. 14.

4.3. In effetti, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) ed h), e, in termini identici, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g), definiscono “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese. Il D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, comma 1, a sua volta, dispone che il “danno grave” sussiste, tra l’altro, nell’ipotesi di “b)… tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine” e di “c) minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. Nel caso di specie, non risulta, in punto di fatto, nè che il ricorrente corra il rischio effettivo di essere assoggettato, in caso di arresto, a tortura o ad altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, che non ha neppure dedotto, nè che lo stesso, in caso di rientro in patria, possa ricevere una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona in ragione della violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Ed è, invece, noto, che, in materia di riconoscimento della protezione sussidiaria allo straniero, al fine d’integrare i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), è sufficiente (ma è anche necessario) che risulti provato, con un certo grado di individualizzazione, che il richiedente, ove la tutela gli fosse negata, rimarrebbe esposto a rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti, pur non essendo necessario che lo straniero fornisca la prova di essere esposto ad una persecuzione diretta, grave e personale, poichè tale requisito è richiesto solo ai fini del conseguimento dello status di rifugiato politico (Cass. n. 16275 del 2018). In particolare, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), dev’essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, per cui il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019; Cass. n. 9090 del 2019; Cass. n. 14006 del 2018). D’altra parte, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, e il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 30105 del 2018).

4.4. Nè rileva, a fronte dei fatti allegati dal richiedente così come incontestatamente esposti nella sentenza impugnata, il dedotto inadempimento da parte del giudice di merito al dovere di cooperazione istruttoria: in tema di protezione internazionale, infatti, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (Cass. n. 27503 del 2018). In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata: il richiedente, infatti, ha l’onere di presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 cit., art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerati veritiere, tra l’altro, soltanto “se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 cit., art. 3, comma 5). Solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge, pertanto, il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. n. 17069 del 2018; Cass. n. 29358 del 2018, in motiv.). Il giudice, quindi, non può supplire, attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi, alle deficienze probatorie del ricorrente sul quale grava, invece, l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza. D’altra parte, una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e cioè di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, essendo evidente che il giudice, mentre è tenuto a verificare anche d’ufficio se nel paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, non può, per il resto, essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti, come in precedenza esposto, la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso del D.Lgs. n. 251 del 2007, già citato art. 3, comma 5 (Cass. n. 29358 del 2018, in motiv.). D’altra parte, questa Corte ha affermato, con le ordinanze n. 13449 del 2019, n. 13450 del 2019, n. 13451 del 2019 e n. 13452 del 2019, il principio per cui il giudice di merito, nel fare riferimento alle cd. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione. Nel caso di specie, la decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti, posto che essa indica le fonti in concreto utilizzale dal giudice di merito ed il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da dette fonti, consentendo in tal modo alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione. Per il resto, non può che ribadirsi il principio per cui, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, il ricorrente ha il dovere, inadempiuto nel caso di specie (avendo l’istante fatto testuale riferimento a notizie chiaramente riferibili alla situazione politica anteriore rispetto a quella esaminata dalla sentenza impugnata: v. il ricorso, p. 11), di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr. Cass. n. 26728 del 2019).

4.5. La corte d’appello, infine, ha ritenuto che non sussiste alcuna specifica situazione di vulnerabilità che possa giustificare la protezione umanitaria invocata dal richiedente. La corte, in particolare, dopo aver ricordato che “possono ritenersi ricorrenti i gravi motivi umanitari quando il richiedente versa in una situazione di particolare vulnerabilità (soggetto che versi in condizioni psicofisiche tali da non consentire l’allontanamento ovvero la cura nel paese di origine, minori, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, persone che nel paese di origine hanno subito torture, stupri, o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale)”, ha rilevato che, nel caso di specie, l’istante si è limitato ad allegare fatti che “non lo espongono in concreto al rischio di subire una qualche forma di deprivazione grave dei diritto umani fondamentali ed inviolabili”. Si tratta, com’è evidente, di un accertamento in fatto che può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata: ciò che, nel caso di specie, non è accaduto, non avendo il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame sia stato omesso dal giudice di merito nonchè il “dato”, testuale o extratestuale, da cui gli stessi risultino esistenti, il “come” e il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti ed, infine, la loro “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.).

5. Il ricorso, per l’infondatezza di tutti i motivi nei quali risulta articolato, dev’essere, quindi, rigettato.

6. Nulla per spese di lite, in difetto di attività difensiva da parte del ministero resistente.

7. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020

 

 

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