Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18723 del 11/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/07/2019, (ud. 30/04/2019, dep. 11/07/2019), n.18723

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20968-2018 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CECI MAURO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELIA PROTIZIONE INTERNAZIONALE. DI ANCONA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 748/2018 della CORTE”, D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 24/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – G.A. vedeva rigettato dal Tribunale di L’Aquila il ricorso da lui proposto averso il provvedimento di diniego della protezione internazionale pronunciato dalla competente Commissione territoriale.

2. – Proposto gravame, questo era respinto dalla Corte di appello di L’Aquila con sentenza del 24 aprile 2018.

3. – Contro tale pronuncia G. ha proposto ricorso per cassazione, facendo valere due motivi. Il Ministero dell’interno non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, la nullità del provvedimento impugnato e degli atti presupposti e conseguenti per omessa traduzione degli stessi in lingua conosciuta allo straniero, la nullità del provvedimento stesso per violazione della L. n. 15 del 1968, art. 14, come modificato dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 19 e violazione dell’art. 137 c.p.c.; è inoltre lamentata la nullità del procedimento per “mancata sottoscrizione”. Il ricorrente rileva come la copia del provvedimento reso dalla Commissione territoriale a lui consegnata fosse parzialmente mancante di traduzione, “priva dell’obbligatoria ‘attestazione di conformità all’originalè e pertanto inidonea allo scopo, atteso che trattasi di un requisito di esternazione essenziale ai fini della validità del procedimento comunicatorio”, nonchè munito di una sottoscrizione digitale da reputarsi inesistente.

Il motivo è inammissibile.

In tema di protezione internazionale, la nullità del provvedimento amministrativo, emesso dalla Commissione territoriale, per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non esonera il giudice adito dall’obbligo di esaminare il merito della domanda, poichè oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire, non rilevando in sè la nullità del provvedimento ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa (Cass. 22 marzo 2017, n. 7385). In particolare, la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un vulnus all’esercizio del diritto di difesa (Cass. 27 maggio 2014, n. 11871; Cass. 21 novembre 2011, n. 24543).

La Corte di merito ha richiamato detti principi, osservando come l’istante non avesse dato conto del pregiudizio risentito della dedotta inosservanza delle norme che regolano la traduzione e sottoscrizione del provvedimento, oltre che l’autenticazione delle copie del medesimo. Il ricorrente non si misura affatto con tale ratio decidendi, che mostra di non cogliere affatto.

2. – Il secondo mezzo lamenta violazione o falsa applicazione di norme di diritto; vengono al riguardo specificamente menzionati gli artt. 1 e 2 della Convenzione di Ginevra, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,comma 3, e il D.Lgs. n. 286 del 1998,art. 5, comma 6; il motivo denuncia, altresì, l’omessa valutazione della documentazione medica prodotta ai fini del riconoscimento della protezione internazionale. L’istante rileva che la Corte territoriale non avrebbe motivato affatto sulla ritenuta insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria; assume che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del gravame, il proprio racconto era coerente e plausibile; svolge articolate deduzioni in merito alla situazione del Gambia, proprio paese di origine, prospettando l’esistenza di un serio e concreto pericolo per l’incolumità e per la vita di esso istante; contesta l’affermazione per cui non sarebbe emerso, con riferimento alla propria persona, un quadro di vulnerabilità che giustificasse il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari; evidenzia come la documentazione prodotta desse conto della patologia da cui era affetto, la quale non era curabile in patria e di aver fatto quanto necessario per tutelare la propria salute in Italia sottoponendosi ai pertinenti accertamenti sanitari.

Anche tale motivo è inammissibile.

Esso si traduce, difatti, in una inammissibile censura vertente sull’apprezzamento di fatto del giudice del merito.

La Corte di merito ha osservato che risultava non credibile la vicenda narrata dal richiedente (il quale aveva riferito di essere stato ingaggiato da una squadra di calcio algerina e di essere rimasto in Libia, ove si era recato per un torneo; in quest’ultimo paese si era poi trattenuto per il conflitto in atto ed era stato pure agli arresti: ciò fino al momento in cui non aveva ricevuto dalla madre del denaro, che sarebbe stato utilizzato quale “riscatto”). La nominata Corte ha comunque osservato che il racconto del richiedente non riguardava il Gambia, paese in cui lo stesso non aveva mai avuto alcun problema e in cui aveva riferito di non voler tornare “per non essere di peso alla madre”. Ha aggiunto che l’istante non aveva espresso timori correlati alla provenienza da quel paese e che la situazione del Cambia, descritta attraverso puntali richiami a fonti informative ufficiali, non esponeva lo stesso ricorrente a un qualche rischio quanto all’esercizio dei diritti fondamentali, nè faceva temere che lo stesso potesse essere ivi sottoposto ad arresti illegali, a pene o a trattamenti degradanti, o ancora ad altre forme di compromissione della sua incolumità. Per quel che riguarda la protezione umanitaria, infine, il giudice distrettuale ha osservato che doveva aversi riguardo a una situazione concreta di vulnerabilità da raccordare ad elementi strettamente personali e che, quanto alla documentazione sanitaria versata in atti, “nulla era) stato concretamente dedotto nell’atto di appello, nè alcuna indicazione in essa (era) contenuta circa la non curabilità nel paese di origine”; inoltre da un certificato prodotto risultava che l’istante non si era sottoposto a visite e ai prescritti esami strumentali: dal che desumeva il disinteresse del medesimo verso le richiamate necessità terapeutiche.

Ciò posto, la sentenza impugnata ha escluso che fosse stata validamente censurata la decisione resa dal Tribunale in punto di riconoscimento dello status di rifugiato. In mancanza di un motivo di ricorso per cassazione idoneo a superare detta statuizione, questa deve ritenersi passata in giudicato. Con riguardo alle fattispecie tipizzate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), è da ricordare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503); la Corte di merito, come si è visto, ha motivatamente escluso che il timore espresso dal ricorrente avesse fondamento e tale giudizio non è sindacabile in questa sede. Non si vede, poi, come possa concretamente configurarsi l’ipotesi di cui al cit. D.Lgs., art. 14, lett. c), (cui pure il ricorrente fa riferimento: pag. 13 del ricorso), in assenza non solo di un accertamento giurisdizionale, ma finanche di una precisa deduzione, in ricorso, della “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. Quanto, infine alla protezione umanitaria, la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della medesima deve essere ancorata a una valutazione personalizzata della condizione del richiedente. E’ escluso, quindi, che a tal fine l’istante possa invocare un qualche profilo che inerisca alla situazione socio-politica del Gambia. Non è stato poi efficacemente censurato quanto affermato dalla Corte di appello in ordine alla condizione medica del ricorrente. L’assenza di riscontri quanto dell’impossibilità, da parte dell’istante, di ricevere cure in patria riflette un accertamento di merito qui non sindacabile (e, per la verità, nemmeno censurato, se non attraverso la sterile contrapposizione di un opposto convincimento); e sfugge pure al giudizio di legittimità l’apprezzamento espresso dalla Corte di merito quanto al manifestato disinteresse del ricorrente verso la cura della patologia da cui lo stesso sarebbe affetto.

3. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

4. – Non deve statuirsi sulle spese, in assenza di resistenza da parte del Ministero.

L’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato esclude che lo stesso sia tenuto al versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368).

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6a Sezione Civile, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

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