Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18721 del 23/09/2016

Cassazione civile sez. lav., 23/09/2016, (ud. 27/06/2016, dep. 23/09/2016), n.18721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19067-2015 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA C.

MONTEVERDI 16, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CONSOLO, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA BUCCARI 11, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TALLADIRA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO ROSARIO BONGARZONE,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5234/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/06/2015 R.G.N. 962/15;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/06/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato RUGGIERI GIANFRANCO per delega verbale avvocato

CONSOLO GIUSEPPE;

udito l’Avvocato BONGARZONE ANTONIO ROSARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

Con sentenza 18 giugno 2015, la Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo proposto da Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che, in esito a procedimento ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, aveva accertato l’illegittimità del licenziamento intimato per giusta causa il 27 settembre 2013 dalla società reclamante al dipendente B.P., ordinandone alla medesima la reintegrazione nel posto di lavoro e condannandola al pagamento, in suo favore, delle retribuzioni arretrate.

La Corte territoriale riteneva, come già il Tribunale, che l’illegittimità (accertata in procedimento cautelare davanti allo stesso Tribunale) del trasferimento datoriale disposto in una sede di lavoro ((OMISSIS), in provincia di Messina) diversa da quella nella quale il lavoratore avrebbe dovuto essere riammesso in servizio ((OMISSIS), in provincia di Brindisi), in ottemperanza della sentenza n. 9208/2012 della Corte d’appello capitolina per effetto della conversione del rapporto in conseguenza della nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato 6 aprile – 30 giugno 2004, giustificasse il rifiuto di B.P. di presentarsi alla nuova sede di lavoro.

Essa qualificava, infatti, il suo comportamento alla stregua di legittima eccezione di inadempimento a fronte di quello datoriale, in palese violazione delle disposizioni di legge e di contratto, oltre che delle regole di correttezza e buona fede, per ingiustificato trasferimento in sede diversa da quella originaria; pure rilevando l’assenza di produzione di effetti degli atti nulli, come appunto quello in oggetto.

Con atto notificato il 3 agosto 2015, Poste Italiane s.p.a. ricorre per cassazione con unico motivo, cui resiste il lavoratore con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., in riferimento alla L. n. 300 del 1970, art. 18, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per difetto di proporzione tra il rifiuto di prestazione del lavoratore e la propria sollecitazione a renderla nell’identico contenuto di quella precedente, pur se in luogo diverso: non essendo stata smentita la risultanza (ribadita, dopo la reiterazione delle trascritte argomentazioni in sede di reclamo davanti alla Corte d’appello) dell’ufficio postale del Comune di (OMISSIS) tra quelli “eccedentari” alla data del 9 maggio 2013, comportante la possibile collocazione ivi di B.P. solo “in soprannumero”, in contrasto con le esigenze organizzative e produttive di Poste Italiane s.p.a..

Il motivo è infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, meritevole di continuità, è affermato il principio per il quale: “L’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie; a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive: in mancanza delle quali è configurabile una condotta datoriale illecita. Ed essa giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c., sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti” (Cass. 14 luglio 2014, n. 16087; Cass. 16 maggio 2013, n. 11927; Cass. 23 novembre 2010, n. 23677; Cass. 30 dicembre 2009, n. 27844; Cass. 2 ottobre 2002, n. 14142).

Nel caso di specie, l’illegittimità del trasferimento disposto è stata accertata, con ordinanza 18 settembre 2013 del Tribunale di Roma, in sede di reclamo cautelare (trascritta, per la parte d’interesse, al p.to 8 di pgg. da 3 a 5 del controricorso), per difetto di prova delle ragioni tecniche, organizzative e produttive che lo giustificassero.

E tale ragione è stata fatta propria dalla Corte territoriale (all’ultimo capoverso di pg. 2 della sentenza), nè è stata specificamente confutata dalla ricorrente, che si è limitata ad opporre una mera supposizione argomentativa di “verosimiglianza” dell’occupazione del posto di lavoro di B., dopo otto anni dalla sua dismissione (ultimo capoverso di pg. 6 del ricorso) ed una generica e implausibile doglianza di carenza di proporzionalità della reazione del lavoratore (rifiutatosi di riassumere il servizio) al trasferimento (illegittimamente) disposto, qualificato alla stregua di “semplice modalità” di esecuzione dell’obbligazione datoriale (primo periodo di pg. 6 del ricorso).

In proposito, è insegnamento consolidato di questa Corte che il giudice, qualora sia proposta dalla parte l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, debba procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse: sicchè, qualora rilevi che l’inadempimento della parte, nei cui confronti sia opposta l’eccezione, non sia grave ovvero abbia scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’art. 1455 c.c., deve ritenere che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e quindi non sia giustificato ai sensi dell’art. 1460 c.c., comma 2 (da ultimo: Cass. 5 marzo 2015, n. 4474).

Ebbene, l’inadempimento della società datrice alla propria essenziale obbligazione sinallagmatica di riammettere in servizio il dipendente, che ne abbia diritto per effetto della conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato in conseguenza della nullità del termine apposto al relativo contratto, in una sede di lavoro ((OMISSIS), in provincia di Messina) diversa da quella nella quale il lavoratore avrebbe dovuto essere ((OMISSIS), in provincia di Brindisi), senza alcuna giustificazione in ragioni tecniche, organizzative e produttive, è certamente grave, in quanto pregiudizievole degli interessi anche personali e familiari del lavoratore.

Appare allora legittimo il rifiuto opposto da B.P. di riassumere il servizio nella diversa sede in cui è stato illegittimamente trasferito, in quanto rispondente al requisito di proporzionalità, nella valutazione comparativa degli opposti (in)adempimenti avuto riguardo anche allo loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, fattane dal giudice di merito, cui spetta in via esclusiva un tale accertamento: incensurabile in sede di legittimità, qualora, come nel caso di specie, sorretto da motivazione sufficiente e non contraddittoria (Cass. 5 marzo 2015, n. 4474; Cass 23 marzo 2012 n. 4709).

Pertanto, deve essere condivisa, siccome esatta, la qualificazione del comportamento del lavoratore alla stregua di eccezione di inadempimento, in quanto proporzionato all’inadempimento datoriale di ricevere la prestazione offerta presso la originaria sede di lavoro, come accertato dal giudice di merito (e rilevato dalla Corte territoriale in fine del primo capoverso di pg. 3 della sentenza), ridondante sul requisito di buona fede previsto dall’art. 1460 c.c., comma 2 (Cass. 29 febbraio 2016, n. 3959).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione al difensore antistatario secondo la sua richiesta.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna Poste Italiane s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2016

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