Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18715 del 04/09/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 18715 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: CURZIO PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 11464-2013 proposto da:
SITA SPA 04362280481 in Liquidazione in persona dell’institore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAVOUR 325, presso lo
studio dell’avvocato ANGELO ABIGNENTE, che la rappresenta e
difende, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro
GALLO FRANCESCO;
– intimato avverso la sentenza n. 6949/2012 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI del 14.11.2012, depositata il 19/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
dell’1/07/2014 dal Presidente Relatore Dott. PIETRO CURZIO;

Czì.982

Data pubblicazione: 04/09/2014

udito per la ricorrente l’Avvocato Angelo Abignente che si riporta agli
scritti.

1. La SITA spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte
d’appello di Napoli, púbblicata il 17 febbraio 2011, che ha
riconosciuto il diritto dei lavoratori ricorrenti a fruire, per il
2001, di un ulteriore giorno di permesso retribuito annuo alla
stregua degli accordi confederali che regolano la materia,
dichiarando illegittima la riduzione operata, con atto unilaterale,
dall’azienda a decorrere dal 2001.
2. La società ricorre per cassazione, articolando due motivi di
impugnazione. I lavoratori intimati non hanno svolto attività
difensiva. La società ha depositato una memoria.
3. Prima di esaminare i due motivi, è necessario riepilogare i fatti.
La legge n. 54 del 1977 soppresse alcune festività religiose
(Epifania, 6 gennaio; San Giuseppe, 19 marzo; SS. Pietro e
Paolo, 29 giugno; Ascensione e Corpus Domini) e differì alcune
festività civili facendole coincidere con la domenica (la festa
della Repubblica venne spostata dal 2 giugno alla prima
domenica di giugno, e la festa dell’Unità nazionale fu spostata
alla prima domenica di novembre).
4. La Federazione nazionale delle imprese trasporti (FENIT) e
l’associazione nazionale degli autoservizi in concessione
(ANAC, oggi ANAV) stipularono con le organizzazioni
sindacali nazionali di categoria un accordo collettivo nazionale,
con il quale stabilirono che, a compensazione ed in luogo delle
festività soppresse o differite, venivano attribuite ai dipendenti
due giornate di ferie e congedo aggiuntive ed ulteriori quattro
giornate di permesso retribuito, che divenivano cinque per il
personale che fruisce annualmente di non più di 74 giornate di
riposo e/o di non prestazione.
5. In seguito il legislatore ritornò sul tema più volte,
reintroducendo la festività dell’Epifania nel 1986 (con il dpr 792
del 1985), quella dei SS Pietro e Paolo limitatamente al Comune
di Roma, e la festività del 2 giugno (prima con provvedimento

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Ragioni della decisione

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‘una tantum’ per il 1986 (legge 200 del 1986), poi in via
definitiva (con la legge 366 del 2000).
6. Dopo l’emanazione di quest’ultima legge la SITA, con
comunicato n. 6 del 19 febbraio 2001, dispose che, avendo la.
legge 336/2000, ripristinato la festività del 2 giugno, “i giorni di
permesso retribuito, ex art. 1 dell’accordo nazionale 27 febbraio
1979, assegnati in luogo delle festività soppresse e quindi da
aggiungersi al monte ferie annuale di cui all’art. 5 del ceni 27
novembre 2000, saranno di conseguenza ridotti di una giornata
a partire dall’anno 2001”.
7. La controversia nasce per il fatto che i lavoratori contestarono la
legittimità questa disposizione aziendale. La Corte d’appello ha
dato loro ragione.
8. Con il primo motivo di ricorso la società denunzia “violazione e
falsa applicazione degli art. 1 della legge 5 marzo 1977, n. 54, 1
della legge 20 novembre 2000, n. 366, 1325, 1353, 1362, 1363,
1367, 1368, 1369, 1371 cod. civ., nonché dell’accordo
interconfederale 27 febbraio 1979 sottoscritto tra ANAC e
organizzazioni sindacali; insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio”.
9. Nel suo nucleo centrale in questo motivo si contesta alla Corte
d’appello di non aver condiviso la tesi basata sull’istituto della
“presupposizione”, e cioè sulla presenza nel caso in esame di
“una clausola condizionale, di contenuto oggettivo esterno ai
contraenti, comune alle parti e decisiva rispetto alla lex contracius”
(ricorso, pag. 13).
10.Nel caso di specie, secondo la società ricorrente “è indubbio,
alla luce dei canoni interpretativi primari, che la soppressione ‘ex
lege’ delle precedenti festività abbia costituito il ‘presupposto
imprescindibile della volontà negoziale’ di introdurre giornate
aggiuntive di permesso e che, nella volontà delle parti sociali,
l’introduzione di giornate di ferie e permessi aggiuntivi abbia
av-uto come unica causa giustificativa e come scopo esclusivo
quello di compensare l’intervento legislativo di soppressione
delle predette festività”.

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11.La Corte d’appello, di conseguenza, avrebbe errato nel non
riconoscere questa stretta e diretta consequenzialità tra la
soppressione delle festività e l’accordo collettivo con il quale le
parti hanno concordato “un eguale numero complessivo di
congedi e permessi” e nel non riconoscere che il ripristino come
giornata festiva della festa nazionale del 2 giugno “ha fatto venir
meno l’elemento che la disposizione contrattuale considerava
come essenziale e determinante per il riconoscimento di ferie o
permessi”.
12. Contrariamente e quanto ritenuto dalla Corte, il comportamento
tenuto dall’azienda sarebbe quindi legittimo, in quanto “si è
trattato di una presa d’atto della parziale inefficacia dell’accordo
del 1979”. La società avrebbe preso atto di un automatico venir
meno dell’efficacia di una parte dell’accordo collettivo.
13. Con il secondo motivo la società denunzia “violazione e falsa
applicazione degli artt. 1256, 1325, 1464 cod. civ; omessa
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio”.
14.In questo caso si contesta alla Corte di aver omesso di
pronunciarsi su di un punto controverso e decisivo per il
giudizio costituito da un’ulteriore qualificazione dei fatti
controversi basata sull’istituto della “causa negoziale concreta”
(ricorso, pag. 18)
15.La società, richiamando tale teorica, ritiene che la causa “in
quanto interesse concretamente perseguito assume rilievo
decisivo in ordine alla sorte della vicenda contrattuale in ragione
di eventi sopravvenuti che si ripercuotono sullo sviluppo del
rapporto, implicando l’inevitabile condizionamento del
mantenimento del vincolo contrattuale al mantenimento della
possibilità di perseguimento di quell’assetto di interessi
cristallizzato nel contratto stesso”. La conseguenza sarebbe che
non solo l’impossibilità totale sopravvenuta della prestazione
integra l’automatica estinzione dell’obbligazione e risoluzione
del contratto che ne costituisce la fonte ai sensi dell’art. 1463 e
1256 cod. civ., in ragione del venir meno dell’interdipendenza
funzionale in cui la medesima si trova con la prestazione di
controparte, ma anche lo stesso effetto consegue

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all’impossibilità di realizzazione dell’interesse che il contratto è
funzionalmente diretto a soddisfare” (ricorso, pag. 20).
16. Ciò premesso, la società assume: nel caso di specie “le parti
hanno concordato l’attribuzione di un numero di giorni
tendenzialmente pari a quelli che la legge aveva soppresso come
festività al solo scopo di soddisfare l’interesse del lavoratore a
mantenere inalterato il numero dei permessi…. Ne consegue
che il ripristino della festività … ha determinato il venir meno
della causa di attribuzione del beneficio e la consequenziale
sopravvenuta invalidità dell’accordo” o “l’inefficacia dello
stesso”. L’ordine di servizio avrebbe natura meramente
riconoscitiva di tale invalidità o inefficacia.
17.1 due motivi devono essere esaminati congiuntamente perché si
sviluppano su di un comune ragionamento di fondo, salvo poi
differenziarsi sotto alcuni profili.
18. Deve premettersi che i più autorevoli autori che si sono occupati
delle teoriche richiamate nel ricorso, la teoria della
presupposizione e della causa in concreto, pur nelle diversità
delle ricostruzioni e delle valutazioni, hanno sempre sottolineato
che si tratta di istituti non previsti dalla legge, frutto di mera
elaborazione dottrinale, peraltro non univoca, il che impone di
utilizzarli con la massima prudenza.
19.1n queste elaborazioni dottrinali si considerano situazioni in cui
le parti contrattuali hanno dettato il regolamento negoziale
fondando le loro valutazioni su determinati presupposti, non
esplicitati nel testo dell’accordo, ma con evidenza posti a suo
fondamento, qn2li “condizioni inespresse” che in seguito sono
venute meno.
20. Gli esempi classici sono quelli della locazione di un balcone di
una casa affacciata sul piazza del Campo a Siena per il giorno del
palio in caso di annullamento della manifestazione o
dell’acquisto di un terreno sul presupposto della sua edificabilità
poi venuta meno.
21.AI venir meno della condizione inespressa, le conseguenze,
secondo una parte della dottrina, possono essere l’inefficacia del
contratto presupposto o l’invalidità per difetto di causa in
concreto. Secondo altre tesi (che hanno trovato maggior seguito

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in giurisprudenza), gli effetti si determinerebbero sul piano della
risoluzione ex art. 1467 cod. dv. intesa come generale
strumento di controllo delle sopravvenienze rispetto all’assetto
di interessi tracciato dal contratto, quando la situazione di fatto
presupposta al momento del perfezionamento del contratto,
venga poi a mutare o non si realizzi. La società ricorrente non
ha chiesto la risoluzione del contratto, ma lo ha direttamente
ritenuto inefficace o invalido. Per affermare la legittimità del suo
atto unilaterale richiama, pertanto, il più radicale degli
orientamenti dottrinali, nelle sue due varianti.
22. Nel caso in esame tale pro spettazione non può trovare
applicazione per vari motivi.
23.La prudenza che la dottrina, pur divisa nella ricostruzione degli
istituti e degli effetti, richiede invece all’unisono, induce a
ritenere che la condizione non espressa, sebbene implicita, deve
essere chiara ed inequivoca e il suo venir meno deve far venir
meno, in un rapporto di perfetta simmetria, la ragione del
contratto. Tali requisiti mancano nella fattispecie in esame.
24. Deve, in primo luogo, sottolinearsi che nella presente
controversia non si chiede di dichiarare inefficace o di risolvere
il contratto. Infatti l’accordo collettivo conserverebbe la sua
efficacia, perché la società chiede di dichiararlo parzialmente
inefficace o parzialmente invalido, riducendo di una unità il
numero dei permessi. L’inefficacia o l’invalidità parziale di un
contratto sono istituti peculiari, con disciplina specifica, di
particolare delicatezza e di difficile raccordo con le teoriche della
presupposizione. L’esito dell’operazione richiesta al giudice in
questo caso sarebbe in realtà quello di una modifica del
contenuto del contratto.
25.Tak modifica del contenuto del contratto, ammesso che sia per
questa via perseguibile, potrebbe operare solo in presenza di una
precisa corrispondenza tra il rimodellamento del quadro
legislativo e l’assetto del regolamento contrattuale. Perché sia
ipotizzabile un meccanismo di riduzione dei permessi in ragione
della reintroduzione delle festività soppresse, tra i due fattori vi
deve essere una perfetta simmetria.

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26.A1 contrario, nel caso in esame si è in presenza di un rapporto
asimmetrico e sotto molti profili confuso.
27.La legge del 1977 soppresse o spostò alla domenica sette
festività. L’accordo collettivo del 1979 previde sei giorni di ferie
o permessi aggiuntivi, che divenivano sette per alcuni lavoratori.
Manca quindi già in avvio una puntuale ed univoca
corrispondenza, tra soppressioni e incrementi.
28. Ma poi il quadro legislativo mutò: nel 1986 fu ripristinata la
festività dell’Epifania e nel 2000 quella del 2 giugno.
L’asimmetria si accentua: non vi è puntuale corrispondenza tra
soppressioni (sette), compensazioni (per alcuni lavoratori sei,
per altri sette), ripristini (due) e la scelta aziendale di negare un
permesso.
29. Un ulteriore elemento di confusione si rinviene poi nella lettura
dell’accordo collettivo: da un lato, si afferma che i sei (o sette)
giorni di ferie e permessi sono “a compensazione ed in luogo”
delle festività soppresse o differite, dall’altro però, richiamate le
finalità della legge che le aveva soppresse, le parti contrattuali
dichiarano che, tenuto conto della peculiare natura dei servizi di
trasporto e della necessità di assicurare la più completa ed
efficiente funzionalità del servizio anche nella giornate già
considerate festive, “non trovano realizzazione nei confronti
delle aziende del settore le finalità perseguite dalla legge
anzidetta”.
30.La simmetria perfetta che sarebbe necessaria per ipotizzare
l’applicabilità delle tesi sulla condizione non espressa, manca
quindi sul piano numerico ed anche nella espressione della
volontà delle parti in ordine al rapporto tra le finalità legislative
e quelle della loro pattuizione.
31.La successiva evoluzione legislativa avrebbe potuto (forse
dovuto) indurre le parti collettive ad un ripensamento della
regolamentazione contrattuale, ma le organizzazioni datoriali e
sindacali che avevano sottoscritto l’accordo non hanno ritenuto
di operare una revisione del contenuto dell’atto sulla base delle
nuove emergenze legislative. Tale revisione non può operarla il
giudice, legittimando l’iniziativa unilaterale di un soggetto
privato che non è parte dell’accordo collettivo.

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32. Perché, e qui l’applicazione di suggestive teoriche
raggiungerebbe il massimo punto di imprudenza, non va
dimenticato che parti del contratto collettivo sono le
organizzazioni datoriali e dei lavoratori, che avevano tutti i
poteri per aggiornare la regolamentazione e non lo hanno fatto.
Anzi, pur avendo rinnovato più volte la contrattazione del
settore negli anni successivi alle modifiche legislative, hanno
omesso di aggiornare e ricalibrare la disciplina di questa materia.
33.11 singolo lavoratore o datore di lavoro aderente alle
organizzazioni stipulanti non ha poteri modificativi della
regolamentazione collettiva. Il contratto collettivo costituisce un
“atto normativo” con efficacia vincolante per il singolo aderente
alle associazioni stipulanti. L’unica via per sottrarsi a tale
efficacia è quella del recesso dall’associazione.
34.1n conclusione, non è possibile considerare legittimo il
comportamento di una delle parti (non del contratto collettivo,
ma) del contratto individuale di lavoro, che, unilateralmente, ha
deciso di disapplicare parzialmente (e quindi modificare) il
contenuto dell’accordo collettivo nazionale a seguito di (una
delle) modifiche legislative in materia di festività, che invece le
parti collettive non hanno ritenuto idonee a determinare
revisioni della disciplina dell’accordo nazionale da loro
sottoscritto.
35.11 ricorso, pertanto deve essere respinto. Nulla sulle spese
perché la parte intimata non ha svolto attività difensiva.
36.11 ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31 gennaio
2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1,
comma 17 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha
integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando
l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è
dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha
proposta ‘ è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il
giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei

presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento
sorge al momento del deposito dello stesso”.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese. Ai sensi dell’art. 13,
comma 1-quater, dpr 115 del 2012, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il
ricorso a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13.
Roma, 1° luglio 2014.
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zio, presid nte estensore
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