Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18710 del 23/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 23/09/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 23/09/2016), n.18710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14442-2011 proposte, da:

UNIVERSITA’ DAGLI STUDI DI (OMISSIS), C.F. (OMISSIS), in persona del

direttore pro tempore, rappresentato o difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI, 12;

– ricorrente –

contro

ACHILLI CAROLA GAIA (OMISSIS), + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

e contro

ARRICIATI ALESSANDRO, + ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso la sentenza n. 245/2011 della CORTE DI APPELLO di MILANO,

DEPOSITATA il 14/04/2011 rgn 880/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito l’avvocato FIGLIOLIA ETTORE;

udito l’Avvocato PARPAGLIONI MARA per delega Avvocato SCARPELLI

FRANCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto la domanda, avanzata in via subordinata, dei medici specialisti attuali controricorrenti volta ad ottenere la condanna dell’Università degli studi di (OMISSIS) al pagamento dell’adeguamento dell’importo della borsa di studio (istituita ai sensi del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, n. 1) al tasso programmato d’inflazione per i periodi di iscrizione alla Specializzazione dal 1999 in poi.

La Corte ha ritenuto che la sospensione dei meccanismi di rivalutazione automatica delle borse di studio previste dal D.Lgs. n. 257 del 1991 in favore dei medici specializzandi costituisca violazione dell’obbligo comunitario di remunerare adeguatamente i periodi di formazione ed ha condannato l’Università a corrispondere agli attuali controricorrenti la differenza tra l’importo della borsa di studio adeguata al tasso annuo programmato di inflazione e la somma già pagata.

La sentenza è impugnata dall’Università degli studi di (OMISSIS) con ricorso affidato a quattro motivi illustrati, altresì, da memoria ex art. 378 c.p.c.. I medici resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’Università deduce difetto di legittimazione passiva dell’ateneo, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo avendo, la Corte territoriale, trascurato che le risorse finanziarie per pagare le borse di studio degli specializzando sono erogate dallo Stato tramite i Ministeri competenti. La Corte è, inoltre, caduta in contraddizione ove ha affermato, da una parte, che detti “emolumenti sono rivolti non tanto al conseguimento di un vantaggio per l’Università, quanto alla formazione teorica e pratica degli specializzandi” e, dall’altra, ha condannato l’ateneo al pagamento di somme per un’attività dalla quale non ricava benefici.

2. Con il secondo motivo l’Università denuncia violazione dell’art. 2948 c.c. avendo, la Corte territoriale, respinto l’eccezione di prescrizione per aver individuato, nel pagamento della borsa di studio, “un’unica obbligazione principale, pur eseguibile frazionatamente nel tempo”, con conseguente applicazione del termine decennale nonostante detti importi siano corrisposti periodicamente, scontando pertanto la prescrizione quinquennale.

3 Con il terzo motivo l’Università denuncia violazione del D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7 (convertito nella L. 14 novembre 1992, n. 438), della L. 2 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 33, della L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 22della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36. Si addebita alla sentenza impugnata di aver accordato agli attori l’adeguamento al tasso di inflazione senza considerare che sia la Corte Costituzionale (sentenza n. 432/1997) sia le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 29345/2008) hanno ritenuto legittimo il divieto di periodico aggiornamento disposto dalle norme citate in base a logiche di bilanciamento con le fondamentali scelte di politica economica.

4. Con il quarto motivo l’Università ha denunciato violazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1, nonchè degli artt. 112, 342 e 345 c.p.c, avendo, la Corte territoriale, applicato ai medici specializzandi controricorrenti solamente uno (il tasso annuo di inflazione) dei due criteri previsti per l’adeguamento della borsa di studio, tralasciando il secondo e concorrente (non alternativo) criterio consistente nel miglioramento stipendiale tabellare minimo previsto dalla contrattazione collettiva relativa al personale medico dipendente del Servizio Sanitario Nazionale.

5. Il primo motivo è fondato.

5.1.- Per costante giurisprudenza di questa Corte – assurta al rango di “diritto vivente” – in materia di legittimazione la situazione dell’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa va distinta da quella della titolarità della situazione giuridica sostanziale nel rapporto dedotto in giudizio. Inoltre, è jus receptum che la carenza di legittimazione ad agire (o a contraddire), è rilevabile in ogni grado e stato del giudizio, anche d’ufficio dal giudice, avendo carattere processuale, mentre, per contro, la questione della titolarità del rapporto (tanto attiva che passiva) attiene al merito della decisione e quindi alla fondatezza della domanda in concreto proposta.

Di conseguenza – prima della recente sentenza delle Sezioni Unite 16 febbraio 2016, n. 2951 l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di questa Corte riteneva che configurandosi la contestazione della titolarità del rapporto controverso come una questione che attiene al merito della lite e rientrando nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata, doveva formare oggetto di una eccezione in senso stretto da introdurre nei tempi e nei modi previsti per le eccezioni di parte (vedi, per tutte: Cass. 10 gennaio 2008, n. 355; Cass. 6 marzo 2008, n. 6132; Cass. 15 settembre 2008, n. 23670; Cass. 5 agosto 2010, n. 18207; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2091).

Con la suddetta sentenza n. 2951 del 2016 le Sezioni Unite hanno affermato l’infondatezza della tesi della giurisprudenza maggioritaria nella parte secondo cui, dall’esatta affermazione dell’attinenza al merito della suindicata questione si fa derivare la sua ricomprensione nel potere dispositivo delle parti e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata, traendose la conseguenza che la difesa con la quale il convenuto neghi la sussistenza della titolarità costituisca un’eccezione in senso stretto.

Le Sezioni unite hanno, quindi, stabilito che la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso non deve costituire oggetto di una eccezione in senso stretto ma può essere fatta valere pure oltre i termini previsti per tali eccezioni, può quindi anche essere oggetto di motivo di appello, perchè l’art. 345 c.p.c., comma 2, prevede il divieto di “nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”, mentre tale carenza è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa. Essa pertanto può essere proposta in ogni fase del giudizio, compreso il giudizio di cassazione, solo nei limiti di tale giudizio e sempre che non si sia formato il giudicato sul punto.

Per quel che interessa nel presente giudizio dai suddetti principi si desume che, nella specie, quella oggetto del primo motivo di ricorso non una è questione di legittimazione passiva processuale – come tale attinente all’esistenza del dovere del convenuto di subire il giudizio instaurato dall’attore con una determinata prospettazione del rapporto oggetto della controversia, indipendentemente dall’effettiva sussistenza della titolarità del rapporto stesso ma è una questione di merito con la quale l’Università convenuta deduce la propria estraneità a quel rapporto, ossia la mancanza di detta titolarità.

5.2.- Nella prospettazione dell’Università di (OMISSIS) ricorre, pertanto, una peculiare – e residuale – situazione in cui gli attori, nel proporre la domanda contro l’ente convenuto, hanno preteso l’adempimento di un obbligo che dichiaratamente non gravava sul convenuto (vedi, fra le tante: Cass. 10 gennaio 2008, n. 355; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2091 cit.).

Come risulta dalla consultazione del fascicolo, nel presente giudizio, l’Avvocatura dello Stato ha tempestivamente evidenziato, fin dal primo grado, il difetto di legittimazione (sostanziale) passiva dell’Università, facendo valere l’irritualità del rapporto giuridico processuale costituitosi secondo la prospettazione dei ricorrenti. Detta eccezione è stata oggetto della memoria di costituzione in primo grado nonchè dell’impugnazione incidentale avanti alla Corte territoriale.

6.- La tesi dell’Università ricorrente è fondata.

Infatti, come si dirà di seguito, nel presente giudizio si è effettivamente venuta a determinare una situazione nella quale – tanto più dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 2951 del 2016 cit. – l’erronea individuazione della parte titolare, dal lato passivo, del rapporto controverso e quindi capace processualmente a stare in giudizio, può essere proposta dalla parte interessata in ogni fase del giudizio, compreso il giudizio di cassazione, ed è verificabile e rilevabile di ufficio dal giudice in ogni stato e grado del giudizio – compreso quello di cassazione, salvo il limite del giudicato sul punto, qui non è riscontrabile – sempre che risulti dagli atti di causa (vedi per tutte: Cass. 2 dicembre 2011, n. 25813; Cass. 16 marzo 2009, n. 6348; Cass. 13 ottobre 2009, n. 21703; nonchè Cass. sentenze n. 914 del 1988; n. 5024 del 1995).

6.1.- Va, infatti, sottolineato che:

a) i ricorrenti hanno proposto in primo grado le loro domande contro l’Università degli Studi di (OMISSIS) – e solo contro tale Ente – quando già all’epoca (anno 2006) era evidente, in base al quadro comunitario, legislativo e giurisprudenziale pertinente, che in tal modo pretendevano l’adempimento di un obbligo dichiaratamente non gravante sull’Ateneo convenuto;

b) infatti, già all’epoca era noto il principio per cui la pretesa del singolo di ottenere il risarcimento del danno subito per la mancata attuazione di una direttiva comunitaria del tipo di quella in oggetto – in violazione degli allora vigenti artt. 5 e 189 del TCE prevedenti l’obbligo degli Stati membri di adottare tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l’esecuzione dei doveri derivanti dal diritto comunitario (di cui agli attuali art. 4, par. 3, TUE, art. 291 TFUE e art. 288 TFUE, quest’ultimo specificamente per le direttive) – può farsi valere soltanto nei confronti dello Stato – persona, come si desume dai Trattati UE, essendo solo questo l’unico soggetto responsabile della suddetta inerzia (l’indirizzo è pacifico, tra le più risalenti vedi, per tutte: Cass. 11 ottobre 1995, n. 10617; Cass. 19 luglio 1995, n. 7832; Cass. 5 ottobre 1996, n. 8739);

c) in particolare, per quanto riguarda le direttive comunitarie, era più che fermo l’indirizzo secondo cui le disposizioni di una direttiva non attuata hanno efficacia diretta nell’ordinamento dei singoli Stati membri – sempre che siano incondizionate e sufficientemente precise e lo Stato destinatario sia inadempiente per l’inutile decorso del termine accordato per dare attuazione alla direttiva, come accade nella specie – ma limitatamente ai rapporti tra le autorità dello Stato inadempiente ed i soggetti privati (cosiddetto efficacia verticale), e non anche nei rapporti interprivati (cosiddetto efficacia orizzontale), non potendo di per sè creare obblighi a carico di soggetti diversi dallo Stato inadempiente (vedi, per tutte: Cass. 27 febbraio 1995, n. 2275; Cass. 22 novembre 2000, n. 15101; Cass. 23 gennaio 2002, n. 752; Cass. 25 febbraio 2004, n. 3762; Cass. 9 novembre 2006, n. 23937; Cass. 14 settembre 2009, n. 23971);

d) del resto, tale orientamento era – ed è – del tutto conforme a quanto la Corte di giustizia UE ha affermato da sempre (vedi, tra le più risalenti: CGUE, sentenze 26 febbraio 1986 in causa C-152/84 e 19 novembre 1991 in cause riunite C-6/90 e C-9/90);

e) inoltre, all’epoca dell’introduzione del presente giudizio, la giurisprudenza di questa Corte era anche già consolidata nel senso che le Università, dopo la riforma introdotta dalla L. 9 maggio 1989, n. 168, non possono essere più configurate come organi dello Stato, essendo divenute enti pubblici autonomi, sotto i profili didattici e scientifici nonchè organizzativi, finanziari, contabili, statutari e regolamentari (Cass. 5 novembre 1999, n. 12346; Cass. 5 dicembre 2002, n. 17311; Cass. SU 10 maggio 2006, n. 10700; Cass. 29 luglio 2008, n. 20582; Cass. 21 aprile 2010, n. 9495; Cass. 1 giugno 2012, n. 8824);

f) pertanto, all’Università ricorrente non poteva essere ascritta alcuna responsabilità per il pagamento delle somme richieste, tenuto conto che, già sulla base della giurisprudenza della CGUE e dei Trattati, era chiaro che l’obbligo di attuazione e recepimento delle direttive comunitarie in materia di specializzandi doveva farsi ricadere soltanto sullo Stato – di cui le Università non erano più da considerare organi o amministrazioni per effetto della L. n. 168 del 1989(diversamente da quel che accadeva nel precedente regime) – essendo da escludere che le direttive in argomento fossero idonee a dispiegare un’efficacia orizzontale nei confronti di ente diverso dall’Amministrazione centrale dello Stato;

g) era anche pacifica la mancanza di un rapporto di lavoro o di una forma di parasubordinazione durante il corso di specializzazione, trattandosi di prestazioni non rivolte ad un vantaggio per l’Università, ma alla formazione teorica e pratica degli stessi specializzandi ai quali alla fine del corso viene rilasciato un attestato ed un titolo abilitante (vedi, per tutte: Cass. 18 giugno 1998, n. 6089);

h) d’altra parte, l’Università convenuta avrebbe dovuto essere considerata priva di legittimazione passiva pure alla stregua di quanto disposto dal D.Lgs. n. 257 del 1991 ove è stabilito che i compensi per cui è controversia sono finanziati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sulla base di un decreto interministeriale adottato dal MIUR e dai Ministri delle Salute e dell’Economia e che la corresponsione materiale, da parte delle Università, delle borse di studio presuppone la ripartizione ed assegnazione in favore degli Atenei dei fondi previsti dalla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 6, comma 2, con D.M. tesoro, su proposta dei Ministri dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica e della Sanità;

i) ne consegue che, nella vicenda in oggetto, pure nel momento in cui il giudizio è stato introdotto l’assenza di legittimazione sostanziale in capo all’Università non poteva certamente considerarsi “particolarmente ardua, se non aleatoria” (Cass. SU 29 maggio 2012, n. 8516), ma era indubbia, potendo, caso mai, nutrirsi delle incertezze solo sulla identificazione dell’Amministrazione centrale statale da convenire in giudizio (Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, Ministero della Salute, Ministero dell’Economia e Finanze ovvero Presidenza del Consiglio dei Ministri);

l) di qui, l’ulteriore conseguenza che pur avendo l’Università di (OMISSIS) deciso di avvalersi del patrocinio autorizzato dell’Avvocatura dello Stato – scelta consentita a tutti gli enti pubblici autonomi ai qual non è applicabile il patrocinio obbligatorio (Cass. SU 10 maggio 2006, n. 10700; Cass. 29 luglio 2008, n. 20582, citate) – tuttavia non può venire in considerazione l’applicazione della L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4 che, a certe condizioni, consente la rimessione in termini, finalizzata a consentire la “vocatio in ius” dell’autorità amministrativa effettivamente competente in relazione alla domanda proposta e quindi la corretta instaurazione del contraddittorio, pur essendo, di norma, da escludere che, in tale ipotesi, si possa determinare la “stabilizzazione” – nei confronti dell’ente realmente destinatario della pretesa azionata – degli effetti di un atto giudiziario notificato ad altro soggetto – cui non sia imputabile il rapporto sostanziale dedotto in causa – e del conseguente giudizio instaurato nei confronti di quest’ultimo (fra le tante; Cass. 24 luglio 2003, n. 11473; Cass. 1 aprile 2005, n. 6917 e, di recente: Cass. SU 29 maggio 2012, n. 8516; Cass. 15 febbraio 2011, n. 3709; Cass. 13 gennaio 2015, n. 358);

m) infatti, l’estensione applicativa di tale norma – nata per le Amministrazioni statali anche alle ipotesi di errore verificatosi con riguardo a distinte ed autonome soggettività di diritto pubblico ammesse al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato – affermata, in sede di composizione di contrasto, da Cass. SU 29 maggio 2012, n. 8516 – trae origine dalla condivisibile preoccupazione di “non limitare la tutela giurisdizionale delle pretese vantate nei confronti della pubblica amministrazione” (di cui agli artt. 24 e 111 Cost.) “nelle non infrequenti ipotesi…. in cui la concreta individuazione dell’organo investito della rappresentanza dell’amministrazione convenuta ovvero quella del soggetto pubblico passivamente legittimato al giudizio risulti particolarmente ardua, se non aleatoria”;

n) ma, nella specie, tale ultima situazione, come si è detto, non era riscontrabile nei confronti delle Università – pacificamente prive di legittimazione sostanziale passiva – potendo, caso mai riguardare l’individuazione della Amministrazione dello Stato centrale da chiamare in giudizio, visto che solo dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 9147 del 2009, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la legittimazione passiva compete alla Presidenza del Consiglio dei ministri (vedi, per tutte: Cass. 17 maggio 2011, n. 10814 e successiva giurisprudenza conforme).

7.- Orbene, l’Avvocatura dello Stato ha fatto valere il difetto di legittimazione (sostanziale) passiva dell’Università e l’irritualità del rapporto giuridico processuale costituitosi secondo la prospettazione dei ricorrenti fin dal primo grado del giudizio, ma la relativa eccezione non è stata esaminata dal Tribunale e nemmeno dalla Corte d’appello (nonostante impugnazione incidentale sul punto).

8.- Invero, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 17 aprile 2009, n. 9147) hanno precisato che per effetto dell’omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione “ex lege” dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno. Tale sentenza ha statuito che il diritto così qualificato è configurabile soltanto nei confronti dello Stato stesso ed ha quindi ribadito la non azionabilità di tale diritto nei confronti delle Università degli Studi, presso le quali i corsi di specializzazione erano stati seguiti, trattandosi di enti privi della relativa legittimazione sostanziale.

Successivamente, Cass. 22 ottobre 2009, n. 22440, nel sottolineare specificamente l’esclusione della legittimazione passiva delle Università, ha precisato che il diritto alla reintegrazione per equivalente di quanto non fruito per il tardivo adempimento dell’obbligo di dare attuazione delle direttive comunitarie non può essere fatto valere nei rapporti con organismi diversi dall’Amministrazione centrale dello Stato – come le Università – cui non è imputabile alcun comportamento inerte.

Nel corso del tempo tale orientamento si è consolidato, soggiungendosi che la suddetta legittimazione passiva in senso sostanziale, di esclusiva attribuzione dello Stato Italiano, non riferibile alle Università presso le quali la specializzazione venne acquisita, “neppure con correntemente” (vedi, per tutte: Cass. 17 maggio 2011, n. 10814).

Successivamente, il tema dell’assoluta carenza di legittimazione in senso sostanziale delle Università veniva nuovamente esaminato e ribadito funditus da Cass. 11 novembre 2011, n. 23576 e, quindi, detta carenza è stata riaffermata da numerosissime ulteriori decisioni, tra le quali: Cass. 9 gennaio 2014, n. 307; Cass. n 1157 del 2013; n. 238 del 2013; nn. 22037, 22036, 22035, 29329, 21720, 21006 del 2012; nn. 24087, 23577, 23558, 17682 del 2011. Alle cui motivazioni si fa rinvio.

Tale orientamento – sviluppatosi sulla base di Cass. SU n. 9147 del 2009 cit., la cui impostazione non è mai stata modificata dalle Sezioni Unite – risulta del tutto conforme al generale canone ermeneutico dell’obbligo degli Stati UE della interpretazione del diritto nazionale in conformità con il diritto comunitario, come interpretato dalla CGUE (vedi, tra le molte, le sentenze della CGUE 5 ottobre 2004, C-397/01-403/01; 22 maggio 2003, C-462/99; 15 maggio 2003, C-160/01; 13 novembre 1990, C-106/89), sistematicamente applicato da questa Corte di cassazione (vedi, tra le tante: Cass. SU 14 aprile 2011, n. 8486; Cass. SU 16 marzo 2009, n. 6316; Cass. 18 aprile 2014, n. 9082; Cass. 30 dicembre 2011, n. 30722; Cass. 16 settembre 2011, n. 19017; Cass. 1 settembre 2011, n. 17966; Cass. 9 agosto 2007, n. 17579; Cass. 19 aprile 2001, n. 5776; Cass. 26 luglio 2000, n. 9795; Cass. 10 marzo 1994, n. 2346; Cass. 13 maggio 1971, n. 1378).

9. Per completezza va, comunque, precisato che la decisione di merito adottata dalla Corte di appello – consistente nella condanna dell’Università a corrispondere ai medici attuali controricorrenti l’incremento annuale della borsa di studio annualmente percepita calcolato in base al tasso programmato di inflazione – non è conforme alla giurisprudenza di questa Corte elaborata sin dalla sentenza delle Sezioni Unite 16 dicembre 2008, n. 29345.

Il D.Lgs. n. 257 del 1991 “Attuazione della direttiva n. 82/76/CEE del Consiglio del 26 gennaio 1982, recante modifica di precedenti direttive in tema di formazione dei medici specialisti, a norma della L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 6 (Legge comunitaria 1990)” dopo aver previsto nell’art. 1, comma 1 che “La formazione specialistica dei medici ammessi alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, di tipologia e durata conformi alle norme della comunità economica europea e comuni a due o più Stati membri, si svolge a tempo pieno”, stabilisce nell’art. 6 che: “Agli ammessi alle scuole di specializzazione nei limiti definiti dalla programmazione di cui all’art. 2, comma 2 in relazione all’attuazione dell’impegno a tempo pieno la loro formazione, è corrisposta, per tutta la durata del corso, ad esclusione dei periodi di sospensione della formazione specialistica, una borsa di studio determinata per l’anno (OMISSIS) in Lire 21.500.000. Tale importo viene annualmente, a partire dal 1 gennaio 1992, incrementato del tasso programmato d’inflazione ed è rideterminato, ogni triennio, con decreto del Ministro della sanità, di concerto con i Ministri dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica e del tesoro, ìn funzione del miglioramento stipendiale tabellare minimo previsto dalla contrattazione relativa al personale medico dipendente del Servizio sanitario nazionale”.

L’importo della borsa di studio, rideterminato in Lire 22.467.500 per il 1992 è stato poi successivamente confermato in tale misura sulla base di una serie di successive disposizioni normative (D.L. n. 384 del 1992, convertito in L. n. 438 del 1992; L. n. 537 del 1993; L. n. 549 del 1995; L. n. 662 del 1996; L. n. 449 del 1997; L. n 488 del 1999; L. n. 289 del 2002).

Come già affermato da questa Corte (cfr. Cass. S.U. n. 29345/2008; Cass. n. 20403/2009; Cass. n. 11565/2011, Cass. n. 12624/2015), il blocco degli incrementi della borsa dovuti al tasso di inflazione si iscrive evidentemente in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato, come anche riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza 432/1997, che ha deciso la questione di costituzionalità della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 33, (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), secondo il quale “le disposizioni di cui al D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, commi 5 e 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 novembre 1992, n. 438, prorogate per il triennio (OMISSIS) dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 36, vanno interpretate nel senso che tra le indennità, compensi, gratifiche ed emolumenti di qualsiasi genere, da corrispondere nella misura prevista per il (0M15515), sono comprese le borse di studio di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6”.

La Corte Costituzionale, nel giudicare infondata la questione ha infatti affermato che “la disposizione censurata, escludendo per le predette borse di studio, in via eccezionale e per un ristretto arco temporale, l’incremento automatico del tasso di inflazione, non appare affatto irragionevole o discriminatoria, ma invece si inserisce in un ampio complesso di norme che perseguono, anche nel settore della sanità, il fine di impedire, per lo stesso periodo di tempo, tutti gli incrementi retributivi consequenziali ad automatismi stipendiali”. Il sistema economico censurato dagli attuali controricorrenti, comprese le previsioni del blocco periodico di aggiornamento delle borse di studio (seppur prorogate sino al 2005), è stato superato dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 37 con la previsione del contratto di formazione e lavoro.

D’altra parte, come esattamente rilevato dalla difesa dell’ateneo, non sono rinvenibili nelle direttive comunitarie, non autoesecutive, nè una definizione della remunerazione da considerarsi adeguata nè i criteri di fissazione della stessa, sicchè non è dato comprendere rispetto a quale parametro una scelta limitativa degli incrementi della borse di studio in ragioni di decisioni economiche di portata generale possa esser considerata come inadempimento agli obblighi comunitari.

La sentenza impugnata, che ha deciso in difformità, deve pertanto essere cassata, dovendosi dichiarare inammissibile il primo motivo ed accogliere il terzo motivo, assorbiti il secondo ed il quarto motivo (che attengono alla prescrizione degli adeguamenti pretesi ed all’individuazione del sistema di adeguamento). Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può esser decisa nel merito con rigetto della domanda di adeguamento dell’importo delle borse di studio per il periodo 1999 – 2005 proposta dagli attuali controricorrenti.

10. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Discende la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ex art. 382 c.p.c., comma 3, considerato che la causa non poteva essere proposta nei confronti dell’Università, con conseguente impossibilità di prosecuzione dell’azione (cfr. Cass. S.U. 9.2.2012, n. 1912). Le spese sono compensate tra le parti con riguardo ai due gradi di merito di giudizio, in considerazione della natura delle questioni trattate, mentre le spese del presente giudizio di cassazione seguono il criterio della soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa senza rinvio la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, dichiara il difetto di legittimazione passiva dell’Università degli studi di (OMISSIS), unico Ente convenuto in giudizio.

Compensa tra le parti le spese processuali con riguardo ai due gradi di merito del giudizio. Condanna tutti gli originari ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2016

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