Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18709 del 11/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 11/07/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 11/07/2019), n.18709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2197-2014 proposto da:

B.K.W., elettivamente domiciliata in ROMA, alla via

SARDEGNA n. 38, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO MICHELE

CAPORALE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIOVANNI FRAU;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, alla

via MARCELLO PRESTINARI n. 13, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO PALLINI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PIETRO ICHINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1109/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/10/2013 R.G.N. 2898/2010.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Milano ha respinto l’appello di B.K.W. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso proposto nei confronti dell’Università degli Studi di Milano, volto ad ottenere il riconoscimento del diritto alla qualifica di professore associato e la conseguente condanna della resistente al pagamento delle differenze fra la retribuzione percepita in qualità di collaboratore linguistico e quella propria della qualifica invocata;

1.1. in via subordinata la ricorrente aveva domandato la corresponsione delle medesime differenze retributive, fondando il suo diritto su precedenti giudicati e, comunque, sullo svolgimento di fatto di mansioni superiori rispetto a quelle proprie del profilo professionale di inquadramento;

2. la Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che con sentenza n. 2680/1997, passata in giudicato, il Pretore di Milano aveva accertato la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, decorrente dall’anno accademico 1985/1986, ed aveva condannato l’Università al pagamento delle differenze retributive, quantificate in relazione al trattamento previsto per i professori associati perchè dall’istruttoria era emerso che la B. aveva svolto “attività ben più consistente rispetto a quella tipica della qualifica di lettore di lingua straniera”;

3. con successiva sentenza n. 34/2001 il Tribunale di Milano aveva nuovamente condannato ex art. 2103 c.c.l’amministrazione al pagamento delle differenze fra la retribuzione percepita e quella di pertinenza dei professori associati;

3.1. l’appello proposto dall’Università era stato dichiarato inammissibile per difetto di interesse dalla Corte d’appello, la quale aveva rilevato che la condanna era stata limitata al solo pagamento delle differenze, che potevano discendere anche dal mero svolgimento di funzioni corrispondenti a quelle di professore associato, mentre era stata implicitamente rigettata la condanna al riconoscimento della qualifica superiore;

3.2. con sentenza n. 14742/2004 questa Corte aveva rigettato il ricorso per cassazione proposto dall’Università, determinando il passaggio in giudicato della decisione sopra richiamata;

4. così riassunti gli antefatti processuali della vicenda, il giudice d’appello ha osservato che il principio secondo cui nei rapporti giuridici di durata il giudicato esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione trova un limite nella sopravvenienza di elementi di fatto o di diritto che mutino il contenuto materiale del rapporto o ne modifichino il regolamento;

5. ha evidenziato che nel caso di specie la sentenza n. 34/2001 non conteneva alcuna affermazione in ordine alla natura stabile e definitiva del diritto alle differenze retributive, che andava escluso per il periodo oggetto di causa, in quanto dall’istruttoria era emerso che a seguito dell’avvicendamento del titolare della cattedra, alla quale la ricorrente era assegnata, erano cambiate le condizioni concrete di svolgimento dell’attività;

6. il giudice d’appello ha condiviso le conclusioni alle quali il Tribunale era pervenuto, osservando che le prestazioni svolte non si erano discostate dalle mansioni proprie dei CEL secondo il CCI di Ateneo del 16/12/1994 ed il CCNL per il personale del Comparto Università del 21/5/1996;

7. per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso B.K.W. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., ai quali l’Università degli Studi di Milano ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia “violazione dell’efficacia di giudicato della sentenza resa dal Tribunale di Milano n. 34/2001 del 1 dicembre 2000” e rileva, in sintesi, che il diritto a percepire le differenze fra il trattamento retributivo del professore associato e quello del collaboratore linguistico era già stato definitivamente accertato, perchè nel dispositivo era stata fissata la sola data iniziale di decorrenza, indicata nel mese di luglio 1997;

1.1. evidenzia che nel rito del lavoro il comando giudiziale è quello racchiuso nel dispositivo, comunque nella specie coerente con la motivazione, posto che il Tribunale di Milano aveva evidenziato l’applicabilità dell’art. 2103 c.c. in ragione della natura privatistica del rapporto e la conseguente maturazione del diritto a percepire il trattamento retributivo spettante ai professori associati, una volta decorsi tre mesi dall’assegnazione;

2. con la seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è dedotta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., della L. 18 aprile 1962, n. 230 nonchè del D.L. 14 gennaio 2004, n. 2 convertito nella L. n. 63 del 2004 e violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro per i collaboratori ed esperti linguistici”;

2.1. la ricorrente sostiene che il diritto alle differenze retributive doveva essere riconosciuto, sia perchè affermato definitivamente dal precedente giudicato, sia in applicazione della normativa speciale dettata per i collaboratori esperti linguistici in ottemperanza alle pronunce della Corte di Giustizia che avevano ritenuto discriminatorio il trattamento riservato dallo Stato Italiano ai lettori di lingua straniera, ai quali non era stata assicurata la conservazione dei diritti quesiti;

2.2. evidenzia che con il D.L. n. 2 del 2004 il legislatore, nel dettare i criteri ai quali le Università dovevano attenersi ai fini della ricostruzione della carriera degli ex lettori, ha fatto salvi i trattamenti più favorevoli e pertanto, sulla base di detta disposizione, nel caso di specie non poteva essere negata la definitiva acquisizione del diritto a percepire le competenze stipendiali proprie del professore associato;

3. considerazioni analoghe vengono svolte nel terzo motivo con il quale è dedotta la violazione, oltre che del D.L. n. 2 del 2004, anche della sentenza della Corte di giustizia del 26 giugno 2001 in causa C – 212/1999;

3.1. la B. sostiene che la pronuncia qui impugnata opera una discriminazione rispetto ai lavoratori nazionali fondata sulla cittadinanza, in quanto priva la lettrice di un diritto riconosciuto con sentenza passata in giudicato;

4. preliminarmente rileva il Collegio che non si ravvisano ragioni idonee a giustificare il rinvio a nuovo ruolo della causa per la successiva trattazione in udienza pubblica, sollecitata dalla ricorrente nella memoria del 21 maggio 2019;

4.1. il procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice, disciplinato (all’esito delle modifiche apportate al codice di rito dal D.L. n. 168 del 2016, convertito nella L. n. 197 del 2016) dagli artt. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c., non va confuso con quello previsto dall’art. 376, art. 375, comma 1 e art. 380 bis, per i casi di inammissibilità o di manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso, perchè il legislatore ha affiancato alla procedura camerale, finalizzata ad accertare la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 375, comma 1, nn. 1 e 5, la pronuncia con ordinanza in camera di consiglio, alla quale la sezione semplice può fare ricorso “in ogni altro caso, salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare, ovvero che il ricorso sia stato rimesso dall’apposita sezione di cui all’art. 376 in esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio” (art. 375 c.p.c., u.c.);

4.2. nessuna delle condizioni ostative ricorre nella fattispecie, giacchè il ricorso, oltre a presentare profili di inammissibilità, prospetta questioni prive di particolare rilevanza nomofilattica, in quanto la controversia si presta ad essere decisa sulla base dei principi già affermati da questa Corte che, con le recenti sentenze pronunciate a Sezioni Unite nn. 19174, 21972 e 24963 del 2017, ha esaminato, tra l’altro, in relazione ai rapporti di lavoro degli ex lettori e dei lettori cosiddetti di scambio divenuti collaboratori linguistici, anche le problematiche relative all’interferenza fra precedente giudicato e disciplina, legale e contrattuale, sopravvenuta;

5. il primo motivo, con il quale si addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente interpretato la sentenza del Tribunale di Milano n. 34/2001, è inammissibile perchè formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4;

5.1. la denuncia di violazione del giudicato esterno se, da un lato, attribuisce a questa Corte il potere di “accertare direttamente l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito” (Cass. S.U. n. 24664/2007), dall’altro richiede pur sempre che vengano assolti gli oneri richiamati nel punto che precede, per cui il ricorrente è tenuto a trascrivere nel ricorso, quantomeno nelle parti essenziali, il testo della sentenza che si assume passata in giudicato e ad indicare tempi, modo e luogo della produzione del documento nel giudizio di merito (Cass. n. 15737/2017e Cass. S.U. n. 1416/2004);

5.2. è stato precisato al riguardo che “poichè la sentenza prodotta in un giudizio per dimostrare l’esistenza di un giudicato esterno rilevante ai fini della decisione assume rispetto ad esso – in ragione della sua oggettiva intrinseca natura di documento – la natura di una produzione documentale, il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione indicato dall’art. 366 c.p.c., n. 6 concerne, in tutte le sue implicazioni, anche una sentenza prodotta nel giudizio di merito, riguardo alla quale il motivo di ricorso per cassazione argomenti la censura della sentenza di merito quanto all’esistenza, alla negazione o all’interpretazione del suo valore di giudicato esterno” (Cass. n. 21560/2011 e negli stessi termini Cass. n. 12658/2014);

5.3. il ricorso non soddisfa i requisiti richiesti a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., perchè, oltre a non fornire indicazioni in merito alle modalità della produzione documentale, si limita a trascrivere il dispositivo ed un minimo stralcio della motivazione, non sufficienti per valutare la fondatezza della critica mossa alla Corte territoriale, la quale, come evidenziato nello storico di lite, è pervenuta ad escludere l’efficacia del giudicato in relazione al periodo successivo alla sua formazione, sulla base di una lettura complessiva della decisione, effettuata anche alla luce dell’interpretazione posta dalla stessa Corte d’Appello a fondamento della dichiarata inammissibilità dell’impugnazione proposta dall’Università di Milano avverso la sentenza sulla cui valenza qui si discute;

5.4. la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che la portata del giudicato, sia esso esterno che interno, deve essere accertata con riferimento non soltanto al dispositivo della sentenza, ma anche alla motivazione di quest’ultima ed inoltre, ove persistano incertezze sul contenuto della pronuncia, l’esegesi può tenere conto, sia pure in via residuale, della domanda della parte (Cass. n. 160/2006; Cass. 24749/2014; Cass. 24162/2017; Cass. n. 12752/2018);

5.5. l’orientamento richiamato nel punto che precede, riguardante anche controversie soggette al rito del lavoro, condiziona la valutazione sulla completezza del ricorso, che deve contenere tutti gli elementi necessari a consentire alla Corte di legittimità di procedere all’interpretazione diretta del giudicato e, quindi, non può fare leva solo sul dispositivo della decisione della quale invoca l’efficacia;

6. le ulteriori censure, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico giuridica, sono infondate;

6.1. l’evoluzione del quadro normativo, giurisprudenziale e contrattuale riguardante il rapporto di lavoro instaurato dalle Università italiane con i lettori di madrelingua straniera e, successivamente, con i collaboratori esperti linguistici è stata ricostruita nella motivazione delle ordinanze nn. 26935/2016 e 79/2017, qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., con le quali è stato denunciato il contrasto, sorto nella giurisprudenza di questa Corte, in merito all’interpretazione della L. n. 240 del 2010, art. 26 ed all’applicabilità della normativa dettata per i CEL ai lettori che avevano ottenuto la conversione in sede giudiziale del rapporto instaurato D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28;

6.2. le Sezioni Unite, con più pronunce contestualmente rese (Cass. S.U. n. 19164/2017, Cass. S.U. n. 24963/2017 nonchè Cass. S.U. n. 21972/2017 riguardante il contratto di lettorato L. n. 62 del 1967, ex art. 24 al quale è stata ritenuta applicabile, quanto agli aspetti economici, la disciplina dettata dal D.L. n. 120 del 1995) hanno affermato che:

a) l’esegesi della L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, nella parte in cui prevede l’estinzione dei giudizi pendenti, deve essere orientata alla salvaguardia del diritto di azione, sicchè l’estinzione può operare solo qualora rilevi il nuovo assetto dato dal legislatore alla materia, senza che ne derivi una vanificazione dei diritti azionati (Cass. S.U. n. 19164/2017);

b) la continuità normativa e l’analogia tra la posizione soppressa degli ex lettori e quella di nuova istituzione dei collaboratori esperti linguistici comporta che, se l’ex lettore abbia ottenuto l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato per la nullità della clausola di durata con sentenza passata in giudicato, va comunque applicata la disciplina di fonte legale dettata dal D.L. n. 2 del 2004, come interpretato autenticamente dalla L. n. 240 del 2010, art. 26 da valere anche per le Università non espressamente menzionate dal legislatore (Cass. S.U. nn. 19164 e 24963 del 2017);

c) la trasformazione ope legis (e quindi anche per sentenza definitiva) del rapporto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato deve essere equiparata, ai fini dell’applicazione del D.L. n. 2 del 2004, alla conclusione del contratto ex D.L. n. 120 del 1995, in quanto in entrambi i casi l’interesse perseguito è comunque quello di realizzare, dal punto di vista contenutistico e non formale la medesima finalità di stabilizzazione del rapporto (Cass. S.U. n. 24963/2017);

d) la pronuncia di conversione del rapporto di lettorato non rende nullo per assenza di causa il contratto individuale stipulato ai sensi della nuova normativa perchè, pur a fronte di un rapporto unitario ed ininterrotto, le parti possono modificare il regolamento pattizio in quanto nel rapporto di lavoro, che è un rapporto di durata, si può parlare di diritti quesiti solo in relazione a prestazioni già rese o ad una fase già esaurita (Cass. S.U. n. 19164/2017);

6.3. sviluppando i principi sintetizzati nel punto che precede questa Corte, pronunciando in fattispecie nelle quali venivano in rilievo precedenti giudicati, ha statuito che:

a) nei rapporti giuridici di durata l’autorità del giudicato esplica efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione a condizione che non si verifichino sopravvenienze, di fatto o di diritto, che mutino il contenuto materiale del rapporto o ne modifichino il regolamento, sicchè, quanto agli ex lettori divenuti collaboratori linguistici, l’ultrattività del giudicato relativo alla “giusta retribuzione” è impedita qualora la statuizione si fondi su obblighi accessori imposti al lettore diversamente disciplinati dalla normativa sopravvenuta (Cass. n. 20765/2018);

b) nell’ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva, solo con riferimento a situazioni che siano già entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, per cui il D.L. n. 120 del 1995, art. 4 convertito dalla L. n. 236 del 1995, si interpreta nel senso che al momento della sottoscrizione del contratto di collaborazione linguistica doveva essere riconosciuta all’ex lettore l’anzianità di servizio maturata in forza dei contratti stipulati ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 ai fini dell’applicazione degli istituti contrattuali che valorizzano l’anzianità medesima ed ai connessi profili previdenziali (Cass. S.U. n. 21972/2017 e Cass. n. 20765/2018);

c) il D.L. n. 2 del 2004, convertito dalla L. n. 63 del 2004, per ottemperare alla sentenza della Corte di Giustizia del 26.6.2001 in causa C – 212/99, ha previsto un criterio di ricostruzione a fini economici della carriera degli ex lettori da valere a far tempo dalla data di prima assunzione, ma ha fatto salvo il trattamento di miglior favore e tale deve ritenersi il riconoscimento, anche se ottenuto in sede giudiziale, di una retribuzione oraria, per il lavoro svolto come lettore, superiore a quella risultante dall’applicazione del criterio indicato dal richiamato D.L. n. 2 del 2004 (Cass. n. 20765/2018);

d) la conservazione del trattamento di miglior favore previsto dal D.L. n. 2 del 2004 opera nei limiti precisati dalla L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, sicchè dalla data di sottoscrizione del contratto in qualità di collaboratore esperto linguistico all’ex lettore va attribuita la differenza, a titolo di assegno personale, fra la retribuzione determinata ai sensi del D.L. n. 2 del 2004, eventualmente maggiorata per effetto della clausola di salvaguardia, ed il trattamento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva di comparto e decentrata, restando escluso che la retribuzione stessa possa rimanere agganciata, anche per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione, alle dinamiche contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito (Cass. n. 20765/2018);

6.4. i richiamati principi, ai quali il Collegio intende dare continuità, orientano anche nella soluzione della questione qui controversa e, innanzitutto, portano ad escludere che la ricorrente possa invocare l’ultrattività del giudicato a fronte di un accertamento, compiutamente effettuato dalla Corte territoriale, sulla diversità delle mansioni espletate dalla B. nei due periodi che vengono in rilievo;

6.5. va ribadito, infatti, che la portata precettiva della decisione, intangibile quanto ai diritti già maturati, esplica i suoi effetti per il futuro rebus sic stantibus, ossia a situazione normativa e fattuale immutata, sicchè a fronte di sopravvenienze che riguardino le premesse della precedente statuizione “il giudice del merito che ritenga preclusa l’indagine in virtù del giudicato applica erroneamente la regula iuris sottesa all’art. 2909 c.c.” (Cass. n. 10156/2017 che richiama Cass. n. 13921/2013, Cass. n. 7981/2016 e Cass. n. 26922/2016);

6.6. la sentenza impugnata, pertanto, non merita alcuna censura, nella parte in cui ha ritenuto che la ricorrente non potesse più rivendicare il trattamento economico previsto per i professori associati una volta “venuta meno l’autonomia accertata nei pregressi giudizi in ragione dell’assenza o del disinteresse dei docenti titolari” e ricondotte le mansioni nell’ambito di quelle proprie dei CEL, secondo il CCNL per il personale del comparto Università e del CCNL di Ateneo;

7. è, poi, da escludere che il trattamento economico previsto in favore del professore associato, riconosciuto in ragione delle mansioni di fatto espletate, diverse da quelle proprie del profilo di lettore e, successivamente, di collaboratore esperto linguistico, possa rientrare nella garanzia di conservazione dei “diritti quesiti”, di cui al D.L. n. 120 del 1995 o possa costituire “trattamento più favorevole” ai sensi del D.L. n. 2 del 2004;

7.1. si è già detto al punto 6.3. in quali termini ed entro quali limiti operano la tutela dei “diritti quesiti” ed il divieto di reformatio in peius che il legislatore ha previsto per i lettori, divenuti collaboratori esperti linguistici, al fine di ottemperare alle pronunce della Corte di Giustizia, con le quali è stata ritenuta contraria al principio di non discriminazione la disciplina dei rapporti instaurati dallo Stato italiano con lettori di madrelingua straniera;

7.2. la richiamata tutela riguarda unicamente la disciplina del rapporto nella sua “fisiologia” e non può essere estesa, come invece pretende la ricorrente, per “cristallizzare” uno svolgimento di fatto del rapporto stesso in contrasto con le previsioni di legge e di contratto;

7.3. il D.P.R. n. 282 del 1980, art. 28 prevedeva che l’Università potesse assumere lettori di madre lingua straniera “in relazione ad effettive esigenze di esercitazione degli studenti” e il D.L. n. 120 del 1995, art. 4 ha poi previsto, al pari della decretazione d’urgenza non convertita, che l’assunzione dei CEL dovesse essere finalizzata a soddisfare “esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche”;

7.4. entrambi i testi normativi citati evidenziano una sostanziale diversità dell’attività propria dei lettori e dei collaboratori rispetto a quella dei docenti, perchè la prima, pur rientrando nella didattica intesa in senso lato, è caratterizzata dall’essere funzione strumentale e di supporto, rispetto all’insegnamento universitario connotato da specifiche competenze didattiche e scientifiche;

7.5. muovendo da detta premessa questa Corte ha già affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che non si può prospettare un’acquisizione di mansioni superiori per effetto dell’assegnazione al lettore o al collaboratore di compiti di docenza “atteso che ove gli organi accademici avessero affidato ai lettori compiti diversi da quelli consentiti dalla legge… i relativi provvedimenti sarebbero nulli e privi di effetto ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 123″ (Cass. n. 2710/2012), secondo cui ” restano ferme le nullità di diritto e l’assoluta improduttività di qualunque effetto e conseguenza nei confronti dell’amministrazione dell’assunzione di personale e dell’affidamento di compiti istituzionali effettuati in violazione della già vigente legislazione universitaria ovvero di quanto previsto nel presente decreto, salve le responsabilità disciplinari, amministrative e penali dei docenti e degli altri funzionari responsabili delle violazioni”;

7.6. in ragione della nullità prevista dalla legge, si deve escludere che l’adeguamento della retribuzione fondato sullo svolgimento di attività di docenza possa essere incluso nell’ambito di operatività del meccanismo di acquisizione del trattamento più favorevole, potendo solo spiegare effetti ex art. 2126 c.c. per il periodo in cui di fatto le mansioni stesse sono state espletate;

7.7. dette conclusioni non contrastano con le statuizioni della Corte di Giustizia nè hanno carattere discriminatorio, perchè, al contrario, si fondano su principi ai quali si ispirano i rapporti di lavoro instaurati con le Università che, in quanto enti pubblici non economici, sono tenute al rispetto dell’art. 97 Cost., che non consente l’acquisizione stabile di una posizione propria dell’impiego pubblico non contrattualizzato (a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3, comma 2, “il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti…”) se non previo regolare espletamento delle procedure concorsuali previste dalla legge;

7.8. non vale obiettare al riguardo che il rapporto disciplinato dal D.L. n. 120 del 1995, art. 4 è stato espressamente qualificato dal legislatore di diritto privato, perchè, come questa Corte ha già evidenziato, occorre comunque tener conto dei vincoli dettati dalla disposizione speciale, vincoli che, in ragione della natura del datore di lavoro, “sono costituiti dalla “compatibilità con le risorse disponibili nei propri bilanci” e dalla previsione per l’assunzione di una “selezione pubblica” con “modalità disciplinate dalle università secondo i rispettivi ordinamenti”. Appare indubbio che essi configurino una disciplina peculiarmente propria delle istituzioni universitarie, che, se non perfettamente omologabile a quella del pubblico impiego, neppure può esserlo a quella del rapporto di lavoro subordinato, come declinato nel regime dell’autonomia privata” (Cass. nn. 21831/2014, 5220/2016, 14776/2016 che hanno escluso la conversione del rapporto di collaborazione linguistica da tempo determinato a tempo indeterminato proprio in ragione dei limiti sopra richiamati);

8. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

8.1. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

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