Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18704 del 11/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 11/07/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 11/07/2019), n.18704

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29353-2014 proposto da:

Q.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

85, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TALLADIRA, rappresentato

e difeso dall’avvocato TIZIANA SODANI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DIFESA C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1611/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/06/2014 R.G.N. 1253/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– con sentenza in data 25 giugno 2014, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da Q.F. nei confronti del Ministero della Difesa, volto ad ottenere l’accertamento della nullità/illegittimità del provvedimento in data 8/2/1999 di cambio delle mansioni (da capotecnico presso l’Ufficio Autonomo Lavori della Direzione Generale Lavori e Demanio a ufficiale rogante dell’Ufficio Autonomo Lavori) e di quello di trasferimento del 25/03/2002 da tale ultimo incarico a quello di Addetto del Nucleo Tecnico della sezione tecnico addestrativi presso l’Ufficio Antinfortunistica Ambiente dello Stato Maggiore presso il Comando Logistico dell’Aeronautica Militare, sempre a Roma) nonchè la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno da dequalificazione professionale e dei danni morale ed assistenziale;

– in particolare, la Corte ha ritenuto di non discostarsi dal percorso logico – argomentativo del giudice di primo grado che aveva ritenuto legittimo il cambiamento di mansioni e l’assenza del lamentato svuotamento di esse;

– per la cassazione della sentenza propone ricorso per cassazione Q.F., affidandolo a tre motivi;

– resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del controricorso in quanto tardivo;

– invero, in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (sul punto, S.U. n. 14594 del 15/07/2016);

– nel caso di specie, fra il momento in cui è stato aggiornato l’Albo tenuto dall’Ordine degli Avvocati di Roma (27/01/2015) con il nuovo indirizzo dell’avv. Tallarida e quello della ripresa della notifica (13/03/2015) è trascorso un periodo di tempo di gran lunga superiore rispetto a quello di dieci giorni richiesto, talchè il controricorso deve ritenersi inammissibile;

– con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 2103,1175 e 1375 c.c. e, in via subordinata, del D.Lgs. 30 marzo 2001, art. 52 e art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla ritenuta legittimità del mutamento di mansioni in contrapposizione alla asserita non equivalenza delle mansioni di ufficiale rogante successivamente assegnategli;

– il motivo è inammissibile;

– va rilevato che, per costante giurisprudenza di legittimità, (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 20335 del 2017, con particolare riguardo alla duplice prospettazione del difetto di motivazione e della violazione di legge) il vizio relativo all’incongruità della motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante e sussiste solo quando il percorso argomentativo adottato nella sentenza di merito presenti lacune ed incoerenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione, o comunque, qualora si addebiti alla ricostruzione di essere stata effettuata in un sistema la cui incongruità emerge appunto dall’insufficiente, contraddittoria o omessa motivazione della sentenza;

– attiene, invece, alla violazione di legge la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente una attività interpretativa della stessa;

– nel caso di specie, pur avendo la parte ricorrente fatto valere una violazione di legge, in realtà mira ad ottenere una rivisitazione del fatto inammissibile in sede di legittimità chiedendo una diversa valutazione delle risultanze istruttorie che, invece, è di esclusiva spettanza del giudice di merito il quale ha escluso lo svuotamento di mansioni con valutazione insindacabile mentre, d’altra parte, non risulta trascritto il Regolamento;

– con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione al mancato riconoscimento del danno fisico e da mobbing subito dal lavoratore, deducendosi il riconoscimento di rilievo soltanto parziale alla CTU;

– il motivo è infondato;

– la Corte d’appello, infatti, ha preso in esame la consulenza ed ha evidenziato come la stessa si fosse espressa in termini del tutto possibilistici sulla relazione causale fra il disturbo di adattamento con ansia ed umore depresso riscontrati e le “eventuali vicissitudini vessatorie di tipo lavorativo di cui il Q. sarebbe stato vittima”, talchè deve escludersi la violazione lamentata;

– il terzo motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte omesso ogni esame circa il mancato riconoscimento di un comportamento inadempiente della P.A. nella gestione del rapporto di lavoro ed il carattere ritorsivo e punitivo dei cambi di gestione denunziati è infondato;

– deduce, in particolare, parte ricorrente l’assenza di qualsivoglia valutazione e/o argomentazione sulla denuncia di vessazioni e ritorsioni poste in essere dalla amministrazione nei confronti del Q. ma nulla aggiunge circa gli elementi addotti in primo e secondo grado a sostegno di tale asserzione ma, soprattutto circa il punto degli atti introduttivi in cui la denunzia delle vessazioni e ritorsioni sarebbe stata effettuata, in violazione dei requisiti di specificità del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6;

– va rilevato, al riguardo, che requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso (cfr., sul punto, fra le più recenti, Cass. n. 29093 del 13/11/2018);

– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere, quindi, respinto;

– nulla per le spese, attesa l’inammissibilità del controricorso e l’assenza di attività difensiva successiva;

– sussistono i presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

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