Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18700 del 13/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 13/08/2010, (ud. 08/06/2010, dep. 13/08/2010), n.18700

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

PAVIA E ANSALDO – STUDIO LEGALE, associazione professionale, in

persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato VASCIMINNI

MAURIZIO, rappresentata e difesa dall’avvocato VANZ GIUSEPPE, giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 96/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di MILANO del 9/11/07, depositata il 25/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/06/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

udito l’Avvocato Piras Maria Anna, (delega avvocato Giuseppe Vanz),

difensore della controricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che

aderisce alla relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione nei confronti dello studio Pavia e Ansaldo e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento Iva per il 1999, la C.T.R. Lombardia confermava la sentenza di primo grado (che aveva accolto il ricorso del contribuente) rilevando che la tesi dell’Agenzia (secondo la quale le fatture emesse dallo Studio Pavia e Ansaldo a carico della BBPL Pavia e Ansaldo di New York ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7 dovevano essere emesse direttamente a carico del cliente italiano Hit Immobiliare s.p.a.) non era risultata provata.

I quattro motivi di ricorso (coi quali si censura la sentenza impugnata per omessa motivazione in ordine ad alcune circostanze – asseritamente decisive- dedotte a pagina 4 dell’atto d’appello) presentano diversi motivi di inammissibilità.

Deve in proposito innanzitutto evidenziarsi il difetto di autosufficienza delle suddette censure, non essendo sufficiente richiamare la pagina dell’atto d’appello in cui le circostanze asseritamente decisive sono state dedotte ed essendo invece necessario riportare il testo di atti e documenti – acquisiti nel corso del giudizio – dai quali in ipotesi le suddette circostanze risultino, per consentire a questo giudice di valutare le censure proposte senza necessità di ricorrere ad atti esterni al ricorso.

E’ peraltro da aggiungere che i suddetti atti e documenti (sui quali il ricorso è fondato) non risultano neppure espressamente e specificamente indicati con riferimento anche alla relativa collocazione (secondo quanto previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6 come interpretato dalla giurisprudenza di questo giudice di legittimità) nè tali atti e documenti risultano depositati unitamente al ricorso come previsto a pena di inammissibilità dall’art. 369 c.p.c., n. 4, senza che tale onere possa ritenersi adempiuto con la mera richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito, nè, eventualmente, col deposito di tale fascicolo e/o del fascicolo di parte (che in ipotesi tali atti contenga), se esso non interviene nei tempi e nei modi di cui al citato art. 369 c.p.c. e se nel ricorso non si specifichi che il fascicolo è stato prodotto, indicando la sede in cui il documento è rinvenibile (v. S.U. n.. 28547 del 2008 e, tra le altre, Cass. n. 24940 del 2009 nonchè n. 303 del 2010 nonchè, da ultimo, SU n. 7161 del 2010), essendo peraltro appena il caso di aggiungere che il suddetto onere di deposito si applica anche nel processo tributario, non ostandovi il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 25, comma 2, per il quale “i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo”, in quanto la stessa norma prevede, di seguito, che “le parti possono ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio”, con la conseguenza che non è ravvisabile alcun impedimento all’assolvimento dell’onere predetto, potendo la parte provvedere al loro deposito anche mediante la produzione in copia, alla quale l’art. 2712 cod. civ. attribuisce lo stesso valore ed efficacia probatoria dell’originale, salvo che la sua conformità non sia contestata dalla parte contro cui è prodotta (v. tra le altre Cass. n. 24940 del 2009).

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 2.100,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2010

 

 

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