Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 187 del 11/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 11/01/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 11/01/2021), n.187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23206/2017 proposto da:

V.M., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso

dall’avvocato CARLO CANIGLIA;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI BRINDISI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

EMANUELE FILIBERTO 191, presso lo studio dell’avvocato PAOLA ERSILIA

CURSARO, rappresentata e difesa dall’avvocato VALERIA GALASSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 992/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 06/04/2017 R.G.N. 30/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. la Corte d’Appello di Lecce, riformando la sentenza del Tribunale di Brindisi, ha rigettato la domanda con cui V.M. aveva chiesto il riconoscimento del diritto a percepire dal 20 febbraio 2008 l’indennità di coordinamento di cui all’art. 10 CCNL 20.9.2001;

la Corte di merito riteneva che non ricorressero nè i presupposti per il riconoscimento dell’indennità per effetto delle regole di prima applicazione di cui all’art. 10 del CCNL Comparto Sanità II biennio economico 2000-2001 del 20.9.2001, nè quelli richiesti dal successivo art. 4 del CCNL 10 aprile 2008 per il riconoscimento successivo, precisando che eventuali diverse modalità operative da parte di coloro cui era demandata la correttezza organizzativa dei servizi, rispetto alla disciplina collettiva mano a mano applicabile, erano da considerare inidonee a condurre ad una pronuncia favorevole nei confronti del lavoratore;

2. il V. ricorre per cassazione con due motivi, poi illustrati da memoria, cui la ASL ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 10 del CCNL 20.9.2001;

egli richiama le norme collettive da cui, pur dopo il 31.8.2001, emergeva la possibilità di riconoscere le funzioni di coordinamento, sottolineando come la Asl non fosse mai riuscita a concertare in sede sindacale le modalità di applicazione dell’art. 10, ma avesse proceduto comunque al conferimento degli incarichi di coordinamento, per supplire alle proprie necessità organizzative; pertanto, l’autorizzazione, conferita nel 2008 ai responsabili dei servizi dal Direttore Generale per la nomina dei soggetti più idonei, cui era seguita l’indicazione, in data 20.2.2008, a tal fine, del V., con disposizioni confermate implicitamente dalla nota 15.5.2008 del successivo Direttore Generale, dovevano ritenersi idonee al riconoscimento della posizione rivendicata;

con il secondo motivo il V. sostiene che, qualora gli atti assunti non fossero stati ritenuti idonei a conferimento in suo favore delle funzioni di coordinamento, ciò avrebbe dovuto comportare il riconoscimento, da parte della Corte territoriale, delle corrispondenti differenze retributive, per lo svolgimento di mansioni superiori, in applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, o in ultima analisi dell’art. 36 Cost.;

2. i motivi, stante la loro connessione logica, possono essere esaminati congiuntamente;

la Corte territoriale non ha disconosciuto la possibilità di attribuzione delle posizioni di coordinamento dopo il 31 agosto 2001, ma ha precisato che ciò sarebbe potuto avvenire, ai sensi dell’art. 5, comma 2, CCNI 20.9.2001, solo sulla base di apposite procedure selettive, previa concertazione sindacale al fine di determinare i corrispondenti criteri di determinazione e scelta;

successivamente, afferma la Corte, i requisiti di affidamento dell’incarico erano stati fissati dal c.c.n.l. 10.4.2008 (master di I livello ed esperienza professionale in categoria D o DS di almeno 3 anni), ma di essi non vi era stata allegazione da parte del ricorrente;

eventuali procedure atipiche di nomina di coordinatori, effettuate al di fuori di tali regole, erano quindi, afferma in sostanza la Corte d’Appello, inidonee al conferimento della posizione rivendicata;

3.1 d’altra parte, l’argomentare della sentenza impugnata è coerente con l’assetto delle situazioni sostanziali coinvolte quali intese dalla giurisprudenza di questa Corte;

l’insieme della complessa disciplina riguardante le categorie C, D e DS e i compiti di coordinamento ha portato ad individuare una prima fase in cui la contrattazione collettiva è dovuta intervenire a mettere ordine rispetto al fatto che le attività della categoria C rientrassero anche nell’ambito della categoria D ed a regolare la posizione del personale di categoria D cui erano stati formalmente dati o riconosciuti compiti di coordinamento;

a tale fine, nella fase di prima applicazione, come è noto:

l’art. 10, comma 3, c.c.n.l. 20.9.2001 ha riconosciuto l’indennità di coordinamento al personale di categoria D (o, in casi eccezionali che qui non interessano, anche al personale di categoria C: art. 10, comma 7 c.c.n.l. cit.) che avesse previamente avuto il conferimento formale dello specifico incarico di coordinamento o che ne ricevesse la verifica con atto formale, sulla base di assegnazione proveniente da coloro che avevano il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente e che abbia ad oggetto le attività dei servizi di assegnazione nonchè del personale (Cass. 27 aprile 2010, n. 10009 e poi le successive Cass. 22 settembre 2015, n. 18679 e Cass. 28 maggio 2019, n. 14507);

per il medesimo personale di cui sopra, per effetto dell’art. 19, lett. b) del c.c.n.l. 19 aprile 2004, era stato poi previsto il transito alla posizione DS; viceversa, nella fase successiva alla “prima applicazione”, per il restante personale, sia che esso fosse transitato in categoria D dalla categoria C per effetto dell’art. 8 del c.c.n.l. 20.9.2001, sia che esso già fosse in categoria D e che, non avendo ottenuto l’indennità di coordinamento, non fosse transitato in categoria DS, valgono le regole desumibili dall’art. 5, comma 2, CCNL del 20.9.2001 e dall’art. 19 lett. c) del c.c.n.l. 19 aprile 2004, secondo le quali la progressione si basa su determinati requisiti di anzianità, nonchè su criteri stabiliti dalle Aziende con propri specifici atti ed avviene in forza di procedure selettive (v. Cass. 18 maggio 2018, n. 12339);

ancora successivamente l’art. 4 del c.c.n.l. 10.4.2008 ha fissato gli ulteriori criteri per il conferimento delle funzioni di coordinamento, di cui si è detto, conformandosi all’articolata disciplina delle “funzioni di coordinamento” introdotta dall’art. 6 L. 43/2006 ed al successivo Accordo Stato-Regioni;

3.2 è chiaro dunque che la disciplina sulla “prima applicazione” ebbe necessariamente riguardo a mere situazioni di fatto, di cui perseguiva la sanatoria ed il riordino, come chiaramente evidenziato da Cass. 10009/2010 cit.;

la successiva giurisprudenza di questa Corte ha avuto tuttavia cura di precisare come l’attività di coordinamento sia funzione autonoma e distinta dalle altre che connotano la categoria di appartenenza (Cass. 28 agosto 2018, n. 21258; Cass. 4 luglio 2012, n. 11162);

ciò, nella logica del periodo successivo a quello in cui si dovettero governare con gli artt. 8 e 10 del c.c.n.l. 21.9.2001 – situazioni di disordine organizzativo pregresse, sta a significare che la corrispondente attribuzione non può derivare se non da specifici provvedimenti istitutivi e determinativi dei criteri di assegnazione (art. 5 CCNI 20.9.2001; art. 19, lett. c CCNL) e, poi, con l’osservanza dei requisiti formalizzati dalla L. n. 43 del 2006, art. 6 e richiamati dall’art. 4 del CCNL 10.4.2008, cui ha fatto riferimento la Corte di merito;

3.3 ciò posto, si rileva che il primo motivo non si misura rispetto agli argomenti spesi dalla Corte di merito, cui non si cura di muovere una concreta critica, insistendo sul fatto che la nomina a coordinatore comunque avvenuta desse diritto al riconoscimento della pretesa indennità;

anzi, esso stesso conferma la mancanza di procedure di concertazione utile per i fini di cui all’art. 5, comma 2, del CCNI cit. e assolutamente nulla dice rispetto al c.c.n.l. del 2008, su cui pure la Corte territoriale si è soffermata; così come neppure vi è una qualche replica in diritto rispetto all’argomento della Corte d’Appello secondo cui le posizioni di coordinamento avrebbero potuto essere istituite solo con le procedure previste dalla contrattazione collettiva;

3.4 d’altra parte, venendo alla pretesa del riconoscimento di differenze retributive per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, di cui al secondo motivo, è in ogni caso fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla A.S.L.; tale pretesa postula la prova di fatto dello svolgimento di attività da riportare a determinate qualifiche superiori o comunque a posizioni esistenti che prevedano emolumenti aggiuntivi o migliori;

essa non può quindi ritenersi fondata sulla sola circostanza della sussistenza di una certa nomina, in sè come detto non idonea al conferimento formale, dovendosi viceversa semmai basare sulla ricostruzione in dettaglio di attività eventualmente svolte e che in ipotesi consentano la pretesa qualificazione, ammesso e non concesso che, in mancanza dell’istituzione formale di quelle posizioni che era richiesta dalla contrattazione ed anche poi dalla successiva e citata normativa, si possa effettivamente ragionare in termini di mansioni superiori;

non essendovi stata trascrizione del ricorso di primo grado, non è dato verificare se lo svolgimento di quelle attività fosse stato dedotto con idonee modalità, anche sotto il profilo della sufficiente specificità delle corrispondenti allegazioni;

4. i motivi sono dunque entrambi inammissibili e le spese del grado restano regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021

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