Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 187 del 09/01/2020

Cassazione civile sez. II, 09/01/2020, (ud. 08/04/2019, dep. 09/01/2020), n.187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19523/2015 R.G. proposto da:

B.O., e A.B., rappresentati e difesi

dall’avvocato Antonino Fava del Foro di Torino;

– ricorrenti –

contro

EDIL V. di V.F. & figli s.n.c., in persona

del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 2304

depositata il 29 dicembre 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 aprile

2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– B.O. e A.B. convenivano in giudizio la EDIL V. di V.F. & figli s.n.c. e premesso di avere acquistato ciascuno un immobile, ubicai al piano terra dello stabile sito in (OMISSIS), realizzati dalla stessa convenuta, che con il passare del tempo si era verificata la formazione di muffe e di condensa sulle pareti di ognuna delle unità immobiliari e sui muri dei rispettivi locali box auto e cantina, che presentavano, altresì, “uno scarso isolamento acustico”, chiedevano accertarsi la responsabilità della società venditrice ai sensi dell’art. 1669 c.c., con condanna della stessa, previa riduzione del prezzo di acquisto, al risarcimento dei danni subiti;

– instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, la quale eccepiva la decadenza e la prescrizione dall’azione ai sensi dell’art. 1667 c.c., il Tribunale di Saluzzo adito, respinte le preliminari eccezioni, rigettava nel merito le domande attoree accertando che i vizi lamentati non integravano i presupposti previsti dall’art. 1669 c.c.;

– sul gravame interposto dagli originari attori, la Corte di appello di Torino, nella resistenza della società appellata, rigettava l’impugnazione e per l’effetto confermava la pronuncia di primo grado, ritenendo che dovesse escludersi che i vizi evidenziati, anche ove riconducibili all’attività di costruzione dell’appellata, potessero essere considerati strutturali ed idonei a compromettere l’usuale godimento delle due unità immobiliari;

– per la cassazione della sentenza di appello ricorrono la B. e l’ A. sulla base di due motivi;

– è rimasta intimata la EDIL V. di V.F. & figli s.n.c..

Atteso che:

– con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1669 c.c., in relazione all’art. 32, comma 1 e all’art. 2 Cost., comma 2, art. 832 c.c. e al D.P.C.M. 5 dicembre 1997, per avere la Corte di appello non già statuito sulla fondatezza delle loro pretese, ma sul fatto che fosse errato il titolo di responsabilità richiamato.

La censura è manifestamente infondata per avere la Corte rilevato che la domanda proposta atteneva, “expressis verbis”, al paradigma tipizzato dall’art. 1669 c.c. e la doglianza non chiarisce i diversi termini della pretesa fatta valere con l’atto introduttivo del primo e del secondo grado. Va, altresì, puntualizzato come il vigente art. 1669 c.c., al pari del corrispondente art. 1639 dell’abrogato codice civile del 1865, configuri una responsabilità extracontrattuale sancita dalla legge al fine di promuovere la stabilità e solidità degli edifici, nonchè delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, e al fine di tutelare in tal modo l’incolumità personale. Peraltro, l’art. 1669 c.c., ha ampliato la portata del suo predecessore art. 1639, avendo incluso tra i difetti, di cui il costruttore è tenuto a rispondere, nel termine in esso indicato, anche quelli che, pur non compromettendo la stabilità, totale o parziale, dell’edificio, possano essere, comunque, qualificati “gravi”.

La gravità di un difetto, agli effetti dell’art. 1669 c.c., è correlata alle conseguenze che da esso siano derivate o possano derivare, e non dipende, pertanto, dalla sua isolata consistenza obiettiva, nè è perciò esclusa ex se dalla modesta entità, in rapporto all’intera costruzione, del singolo elemento che ne sia affetto.

Questa Corte ha così costantemente spiegato che configurano gravi difetti dell’edificio, a norma dell’art. 1669 c.c., anche le carenze costruttive dell’opera che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come allorchè la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (nella specie, i difetti costruttivi lamentati avevano determinato l’insorgere di isolati fenomeni di muffe e di tracce di umidità, oltre a dedotta mancanza di adozione di accorgimenti particolari finalizzati all’isolamento acustico, peraltro non richiesti dall’ente comunale), purchè tali da incidere negativamente ed in modo considerevole sul suo godimento e da comprometterne la normale utilità in relazione alla sua destinazione economica e pratica, e per questo eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorchè ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici (Cass. Sez. Un. 27 marzo 2017, n. 7756; Cass. 9 settembre 2013 n. 20644; Cass. 3 gennaio 2013 n. 84; Cass. 4 ottobre 2011 n. 20307; Cass. 15 settembre 2009 n. 19868).

Peraltro, l’indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell’art. 1669 c.c., ovvero in quella posta dagli artt. 1667 e 1668 c.c., in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell’opera, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l’accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto. Al giudice di merito spetta, quindi, di stabilire se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli accertare anche se, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, essi siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell’immobile. Questo accertamento di merito è sottratto al sindacato di legittimità se, come nel caso in esame, adeguatamente motivato (Cass. 26 aprile 2005 n. 8577; Cass. 21 aprile 1994 n. 3794);

– con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1667 c.c., con riferimento alla statuizione della Corte territoriale secondo cui gli attori avevano agito esclusivamente ai sensi dell’art. 1669 c.c., non essendo invocabile nella specie la diversa fattispecie prevista solo in tema di appalto, mentre avrebbe dovuto provvedere autonomamente alla qualificazione della domanda per il principio iura novit curia.

Anche siffatta doglianza è priva di pregio.

E’ fuori discussione che i ricorrenti B. e A. acquistarono le loro unità immobiliari dall’impresa costruttrice Edil V..

E’ pertanto fuori discussione che i predetti stipularono con l’impresa dei contratti di compravendita e non un contratto di appalto.

Ciò posto, non ha consistenza la pretesa di garanzia per difetti dell’appartamento, a norma dell’art. 1667 c.c. – che prevede la prescrizione dell’azione contro l’appaltatore in due anni dal giorno della consegna dell’opera – in quanto alla Edil V. andrebbe – secondo i ricorrenti – attribuita la qualifica di “appaltatore-venditore”. Appaltatore è la parte che stipula il contratto previsto dall’art. 1655 c.c., ed il fatto che l’impresa sia stata anche costruttrice dell’immobile venduto non rende evidentemente l’impresa medesima “appaltatore”, nei confronti dei compratori, e “committenti” questi ultimi.

Orbene, l’azione per ottenere l’adempimento del contratto di appalto e l’eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spetta esclusivamente al committente (cfr. Cass. n. 11450 del 1992) e configura una responsabilità dell’appaltatore di natura contrattuale (cfr., tra le tante di recente, Cass. n. 26574 del 2017). E’ viceversa la responsabilità sancita dall’art. 1669 c.c. – responsabilità di natura extracontrattuale (per quanto sopra esposto, con riferimento al primo mezzo) – operante non solo a carico dell’appaltatore nei confronti del committente, ma anche a carico del costruttore nei confronti dell’acquirente (cfr. già Cass. 20 novembre 1975 n. 3899). Alle norme ed ai principi di diritto cennati ha puntualmente fatto riferimento la Corte di appello, rettamente ritenendo l’azione proposta nei confronti del venditore e di natura contrattuale (artt. 1490 c.c. e segg.). Non sussiste pertanto la denunciata violazione dell’art. 1667 c.c., avendo i ricorrenti proposto originariamente un’azione ex art. 1669 c.c., ed avendo la Corte di merito ritenuto nuovo, e pertanto inammissibile, il richiamo degli stessi operato nell’atto di appello all’art. 1667 c.c., che come chiarito, delinea l’azione accordata al committente in relazione al contratto di appalto.

Risultato infondato in ogni sua parte, il proposto ricorso deve rigettarsi. Non deve farsi luogo ad una pronuncia sulle spese processuali in difetto di difesa della controparte, rimasta intimata.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 8 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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