Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18699 del 13/09/2011

Cassazione civile sez. un., 13/09/2011, (ud. 19/04/2011, dep. 13/09/2011), n.18699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo presidente f.f. –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

O.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE

104, presso la sig.ra ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e difeso

dall’avvocato CARIOLA AGATINO, per procura speciale del notaio Luisa

Calogero di Messina, rep. 15828 del 07/04/2011, in atti;

– resistente con procura –

e contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 178/2010 del CONSIGLIO SUP. MAGISTRATURA di

ROMA, depositata il 03/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2011 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato Agatino CARIOLA;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il dott. O.A., magistrato in servizio presso il tribunale di (OMISSIS) con funzioni di giudice civile, venne sottoposto a giudizio disciplinare perchè incolpato della violazione di cui al R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 ed al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. q).

Vennero addebitati al dott. O., all’esito della verifica ispettiva eseguita tra il 15 gennaio e l’8 marzo 2008 presso gli uffici giudiziari (OMISSIS), gravi ed ingiustificati ritardi nel deposito di 33 sentenze monocratiche e di 9 sentenze collegiali, nonchè di 129 ordinanze riservate.

Nel capo di incolpazione vennero specificamente contestati, fra gli altri, ritardi superiori all’anno nel deposito di 7 sentenze monocratiche (per due delle quali si era addirittura oltrepassato il millesimo giorno) e di due sentenze collegiali; mentre per 4 delle ordinanze riservate oggetto di contestazione sarebbero risultati ritardi pari, rispettivamente, a 389, 450, 570 e 684 giorni, tra i ritardi nel deposito delle sentenze superiori all’anno, quelli delle pronunce rese in sede monocratica vennero quantificati rispettivamente in 453, 489, 573, 660, 814 e 1039 giorni, quelli delle pronunce collegiali, a loro volta, in 406, 457, 1049 e 1373 giorni.

2. La Sezione disciplinare del CSM, all’esito della compiuta istruttoria, pronunciò sentenza di assoluzione dell’incolpato “per essere risultati esclusi gli addebiti”.

La Sezione premise di ritenere i ritardi contestati “gravi e reiterati”.

Specificò che il concorrente requisito dell’assenza di giustificazioni integrava un’ipotesi di illiceità speciale interna alla fattispecie tipica (analogamente a quanto previsto in tema di illecito penale, quando la stessa norma incriminatrice esige che il fatto venga commesso “abusivamente”, “arbitrariamente”, “illegittimamente”).

Ritenne che, vertendosi in tema di componenti della condotta (e, quindi, di un elemento interno alla fattispecie, costitutivo dell’illecito tipizzato dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2 lett. q), la non giustificabilità del ritardo andava provata dall’accusa, incombendo sull’incolpato il solo onere di allegazione degli elementi a sè favorevoli, onde “la mancanza o l’insufficienza di siffatta prova non poteva produrre conseguenze negative per l’incolpato”.

La Sezione pervenne perciò ad escludere l’addebito disciplinare sul presupposto che nella specie i ritardi risultavano giustificati poichè, nell’arco temporale esaminato, il magistrato era stato assegnato contemporaneamente al contenzioso civile ordinario e alla trattazione della materia societaria e fallimentare, con impegni in udienza (protrattisi a volta anche nelle ore pomeridiane per consentire tutte le incombenze che gravano sui giudici delegati ai fallimenti) per una media di 4 giorni alla settimana, impegni tali, pertanto, da non poter non spiegare un’incidenza causale specifica sulla violazione dei termini di deposito dei provvedimenti oggetto di contestazione.

3. Avverso tale pronunzia il Ministero della giustizia ha proposto ricorso affidato a quattro motivi.

Il dott. O. ha conferito mandato all’avv. Cariola per l’assistenza all’udienza ed il difensore ha depositato una memoria.

Il P.M. ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso contiene quattro motivi.

Il loro esame congiunto, per le ragioni e nei limiti degli argomenti di seguito esposti, lo dimostra fondato.

2. Con i primi tre motivi si denuncia il vizio di violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza o erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q) e art. 12 in relazione:

– alla qualificazione giuridica del difetto di giustificazione del ritardo, come ipotesi di antigiuridicità speciale ed alle relative conseguenze in tema di riparto dell’onere probatorio.

– al fatto che la Sezione disciplinare avesse ritenuto necessaria, in presenza di ritardi reiterati e gravi, la prova della violazione del dovere di diligenza.

– al fatto che la stessa Sezione avesse ritenuto giustificati i ritardi senza valutare se era sta stata superata la soglia della ragionevolezza.

Con il quarto motivo, infine ed ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1 lett. e) si denuncia un vizio di omessa, contraddittoria e illogica motivazione in relazione alla ritenuta efficacia giustificante di generici fattori di difficoltà, a loro volta individuati senza indagare sul rapporto di causalità specifica tra le cause di difficoltà e i ritardi e senza comparare la situazione del dott. O. con quella di altri magistrati che, nello stesso periodo, hanno lavorato nella sezione.

3. La disposizione dettata al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q, ha costituito in più occasioni oggetto di interpretazione da parte di queste sezioni unite (ciò nelle successive sentenze 16 luglio 2009 n. 16557, 18 giugno 2010 n. 14697, 30 marzo 2011 n. 7193 e 14 aprile 2011 n. 8488).

Nell’ultima delle decisioni appena richiamate, in particolare, hanno trovato risposta le questioni prospettate con i primi due motivi, in un senso in parte difforme da quanto sostenuto nel primo motivo, ma conforme a quanto invece sostenuto nel secondo.

La Corte non ritiene che vi siano argomenti per distaccarsi dalla posizione lì raggiunta e che si presta ad essere sintetizzata nei termini che seguono.

Dal punto di vista della struttura dell’illecito disciplinare delineata dall’art. 2, comma 1, lett. q), la non giustificabilità del ritardo – che per sè si presenti come reiterato e grave – non si presta ad essere riguardata come un ulteriore elemento della fattispecie.

Ne rappresenta piuttosto un elemento esterno, che gravità nell’area delle situazioni riconducibili alla categoria della “condizione di inesigibilità”.

Figura, questa, di creazione dottrinale, fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 13 gennaio 2004 n. 5; 20 giugno 2008 n. 225), che è indicativa di una particolare condizione o situazione fattuale per cui il soggetto, per cause indipendenti dalla sua volontà e quindi non superabili con la sua sola volontà, si venga a trovare nell’impossibilità, soggettiva od oggettiva, di ottemperare al precetto normativo.

Situazione, quella della giustificabilità dei ritardi, che è dunque funzionale alla delimitazione degli obblighi giuridicamente determinati sul piano normativo, per temperarne il rigore applicativo che, in presenza di date circostanze specifiche, farebbe apparire ingiusta l’applicazione della sanzione.

E però, come è stato adeguatamente messo in luce nella citata sentenza 8488 del 2011 di queste sezioni unite, sulla scorta delle pure richiamate sentenze 5 del 2004 e 225 del 2008 della Corte costituzionale, ciò non significa che il magistrato raggiunto dall’incolpazione abbia onere di provare l’esistenza di tali circostanze, ma che abbia solo onere di allegarle, nella misura in cui siano correlate a scelte effettuate nell’organizzazione dell’ufficio o, se personali, se ed in quanto siano state a suo tempo rappresentate.

4. Passando ora a considerare specificamente i due successivi motivi di ricorso, è dato osservare che in numerosi precedenti di queste sezioni unite già è stato indagato il tema del rapporto tra misura dei ritardi e giustificabilità di tale esito (tra le decisioni più recenti si possono richiamare, oltre alla già citata 7193 de 2011, le sentenze 26285 e 5283 del 2009).

Ritiene la Corte di dovere tornare a soffermarsi su uno specifico aspetto di questa problematica: in particolare sul se, in presenza di ritardi reiterati e gravi, la possibilità che siano scriminati non debba necessariamente restringersi, sino a trovare un pressochè insormontabile ostacolo, quante volte essi siano occasione per le parti del giudizio d’una violazione manifesta ed intollerabile del principio di ragionevole durata del processo.

Questo esito, invero, viene ad urtare contro il dettato costituzionale per cui la funzione giurisdizionale si attua mediante il giusto processo (art. 111 Cost., comma 1).

E si deve ritenere che appunto questo accade quando i ritardi superano la soglia di ciò che può essere ritenuto plausibile da parte di chi attende di conoscere le ragioni di una decisione già presa: sicchè, solo in casi straordinari, la condotta del magistrato può essere tuttavia giustificata.

Ora, già nelle decisioni prima richiamate, la Corte ha avuto modo di mettere l’accento sul fatto che ritardi reiterati e gravi non possono trovare giustificazione, se non in casi affatto eccezionali, quando si traducono in violazione manifesta ed intollerabile del principio di ragionevole durata ed ha posto l’accento sul fatto che i ritardi avevano superato anche l’anno.

Pare allora alla Corte che a questo punto di evoluzione della propria giurisprudenza – anche a garanzia di un trattamento uniforme di situazioni analoghe e di prevedibilità della sanzione – debba essere affermato il principio di diritto per cui tale durata del ritardo – per vero di entità quadrupla rispetto al termine indicato nel D.Lgs. n. 109 del 2006 – qualifichi lo stesso come ingiustificabile, se non vengano allegate e risultino comprovabili circostanze assolutamente eccezionali.

La durata dell’anno appare adeguato parametro appena si consideri che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, nella materia civile, l’intera durata del giudizio di legittimità non dovrebbe di norma oltrepassare l’anno, sì che la stesura della motivazione di una pur complessa decisione già presa non dovrebbe richiedere un tempo superiore a quello che comprende, oltre agli adempimenti procedurali ed allo studio del caso, l’ascolto della difesa.

5. Orbene, le non circostanziate giustificazioni individuate dal giudice disciplinare con riferimento ai ritardi contestati al dott. O. non si conformano al principio di diritto appena enunciato.

6. La sentenza va perciò cassata e la posizione del dott. O. dovrà costituire oggetto di riesame da parte della competente sezione del CSM, in altra composizione, alla luce del principio di diritto suesposto.

7. Le spese del giudizio si possono compensare.

Lo giustificano le difficoltà che si sono sin qui incontrate nell’attingere un’appagante applicazione della norma.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia il procedimento alla sezione disciplinare del CSM in altra composizione.

Spese del giudizio di cassazione compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle sezioni unite civili, il 19 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2011

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