Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18697 del 12/09/2011

Cassazione civile sez. I, 12/09/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 12/09/2011), n.18597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Banca della Campania s.p.a., elett.te dom.ta in Roma via Baiamonti

10, presso lo studio dell’avv.ta Calabrò Maria Francesca,

rappresentata e difesa dall’avv.to Russo Stefano Maria, giusta

procura speciale a margine della comparsa di costituzione di nuovo

difensore; P.I. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Fallimento SIRAUTO s.r.l., elettivamente domiciliato in Roma, via

Umberto Boccioni 4, presso l’avv.to Smiroldo Antonino, rappresentato

e difeso dall’avv.to Rascio Raffaele, per procura a margine del

controricorso rilasciata su autorizzazione del giudice delegato del

18 luglio 2006; P.I. (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 567/06 della Corte di Appello di Napoli,

emessa il 20 gennaio 2006, depositata il 23 febbraio 2006, R.G. n.

4340/03;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 2 febbraio 2011

dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato Stefano Maria Russo per la parte ricorrente;

udito l’Avvocato Sabino Rasoio per la parte controricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La curatela del Fallimento SIRAUTO s.r.l. conveniva davanti al Tribunale di Napoli la Banca Popolare dell’Irpinia deducendo che la convenuta aveva trattenuto e incamerato, sia prima che dopo la dichiarazione di fallimento, una serie di depositi bancari, vantando la costituzione di pegno per debiti della SIRAUTO precedenti e contestuali alla costituzione dei pegni. La curatela eccepiva la nullità, inefficacia e inopponibilità dei pegni e comunque la loro revocabilità. Chiedeva la dichiarazione di inefficacia e la restituzione delle somme incamerate pari a L. 1.126.500.000.

Il Tribunale di Napoli revocava la costituzione dei pegni, dichiarava inefficaci i prelievi eseguiti dalla Banca e la condannava alla restituzione di 581.788,70 Euro con interessi dalla domanda alla decisione.

La sentenza è stata confermata dalla Corte di appello di Napoli.

Ricorre per cassazione la Banca della Campania (succeduta alla Banca Popolare dell’Irpinia) affidandosi a due motivi di impugnazione.

Si difende con controricorso il Fallimento SIRAUTO s.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento agli artt. 81, 99 e 102 c.p.c., art. 2697, 2730 e 2735 c.c., L. Fall., art. 67 nonchè all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

La Banca ricorrente asserisce di aver contestato con il primo motivo di appello la decisione di primo grado rilevando che la costituzione dei pegni era stata effettuata da I.F. e C. A.. Contesta poi la decisione della Corte di appello che ha basato il rigetto di tale motivo di appello per tre motivi: a) la contestazione della titolarità del rapporto di pegno doveva essere contestata in primo grado; b) la questione era stata sollevata in appello senza fornire la prova dell’assunto; dalla documentazione acquisita agli atti risulta al contrario che il pegno fu costituito su richiesta della Banca alla Sirauto e con denaro di quest’ultima.

Secondo la ricorrente la mancata costituzione delle garanzie da parte della Sirauto, eccepita tempestivamente in primo grado, impediva alla curatela fallimentare di agire in revocatoria fallimentare e ciò doveva comunque essere rilevato d’ufficio. In ogni caso si trattava di una eccezione sollevabile in appello sulla base del vecchio testo dell’art. 345 c.p.c.. Infine a fronte della sottoscrizione degli atti costitutivi dei pegni da parte di I. e C. la curatela avrebbe dovuto agire con azione di accertamento della interposizione fittizia e citare in giudizio i predetti soggetti.

Il motivo è infondato. La Corte di appello, riportando i passaggi salienti della comparsa di costituzione in primo grado, ha messo correttamente in evidenza come nessuna eccezione sia stata sollevata tempestivamente dalla Banca sotto il profilo della titolarità del rapporto, tale non potendosi considerare la generica espressione usata nell’atto di costituzione in giudizio secondo cui la domanda della curatela era inammissibile per carenza dei presupposti di legge. Subordinatamente la Corte di appello ha motivato la sua decisione di rigetto del primo motivo di appello rilevando che, al contrario, “dalla documentazione ritualmente acquisita si evince che gli otto libretti di deposito bancario, di che trattasi, vennero costituiti a richiesta della stessa società Sirauto e con denaro della stessa”. Precisa la Corte che “al riguardo assume rilievo, fra gli altri, il sfoglio contabile – mandato reversale diretto dalla Banca Popolare dell’Irpinia alla Sirauto s.r.l.; tale atto attesta appunto l’addebito in data 7 novembre 1988 alla società stessa dell’importo di L. 1.126.500.000 con riferimento a pagamenti diversi apertura libretti R/0 come da vs, autorizzazione”. Rileva ancora la Corte che con nota del 20 giugno 1991 la Banca ribadisce che “i libretti al portatore sono stati emessi ad istanza della Sirauto s.r.l. e l’operazione non ha riguardato i sigg.ri I. e C. come tali ma nella loro qualità di amministratori della Sirauto s.r.l.; gli importi dei libretti sono riportati fra le attività della società in quanto di proprietà della stessa”.

La ricorrente sostiene che tale dichiarazione proveniente dalla Direzione generale della Banca non ha valore confessorio e non dimostra che la garanzia sarebbe stata offerta direttamente dalla Banca ma da I.F. e C.A.. L’affermazione è del tutto inconferente perchè la documentazione citata dalla Corte di appello ha un inequivoco valore probatorio {e non confessorio come, del resto, la Corte di appello non ha mai affermato) tale da attestare incontrovertibilmente la provenienza del denaro dalla Sirauto e la sua destinazione ad esigenze della stessa società mediante la costituzione di un pegno sui libretti intestati agli amministratori della società. La ulteriore documentazione riprodotta nel ricorso per cassazione, a sostegno della tesi per cui vi sarebbe uno sdoppiamento fra le persone degli amministratori e la società, non smentisce la ricostruzione della realtà operata dalla Corte di appello secondo cui i due soggetti indicati da parte ricorrente hanno costituito il pegno nella loro qualità di amministratori della società Sirauto. Nessun documento attesta la volontà delle parti di considerare le stipulazioni dei pegni come effettuate in proprio dai signori I. e C. e non nella loro qualità di amministratori. L’interpretazione del materiale probatorio recepita da parte dei giudici di appello appare quindi congrua dal punto di vista logico e non adeguatamente confutata da parte della ricorrente per cassazione sotto il profilo della congruità e esaustività della motivazione.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento agli artt. 81, 99 e 102 c.p.c, artt. 2697, 2730 e 2735 c.c., L. Fall., art. 67 nonchè all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Secondo la ricorrente la Corte di appello ha errato laddove ha ritenuto che il pegno irregolare presuppone la contestuale ricorrenza delle due condizioni indicate dall’art. 1851 c.c. e cioè la mancata individuazione del denaro o dei titoli depositati e il conferimento alla banca della facoltà di disporne. Nella specie secondo la ricorrente la banca aveva la facoltà di disporne in base all’art. 7 degli atti costitutivi del pegno.

Il motivo è infondato.

Per quanto concerne la necessità della ricorrenza delle due condizioni citate (anche per la loro logica interconnessione) ci si riporta alla giurisprudenza di legittimità di seguito citata.

Nel caso in esame i giudici di merito hanno accertato che i libretti dati in deposito erano stati specificamente descritti ed analiticamente identificati dalle parti proprio negli atti costitutivi del pegno che sono stati prodotti in giudizio dalla Banca. Nelle condizioni generali riportate in calce a tale atto nessuna clausola conferiva alla banca il potere di disporre dei due libretti ma al contrario tale potere era espressamente escluso laddove si attribuiva alla banca il diritto di prelevare la somma depositata fino alla concorrenza di quanto dovutole ma esclusivamente in caso di inosservanza degli obblighi assunti e dopo il decorso di cinque giorni dalla richiesta di pagamento da comunicare al cliente con lettera raccomandata. Appare quindi corretta alla luce della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. civ. sezione 1^, n. 26154 del 6 dicembre 2006 e Cass. civ., sezione 1^, n. 9306 del 20 aprile 2006) la decisione del giudice di appello che ha escluso la ricorrenza nella specie di un pegno irregolare perchè qualora il cliente della banca vincoli, a garanzia del proprio adempimento, un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati, quale un libretto di deposito al risparmio, anche al portatore, e non conferisca alla banca il potere di disporre del relativo diritto, si esula dall’ipotesi del pegno regolare e si rientra invece nella disciplina del pegno regolare (artt. 1997 e 2784 e segg. c.c.) in base alla quale la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l’obbligo di riversare il relativo ammontare, ma è tenuta e a restituire il titolo o il documento. Nella ipotesi così descritta il creditore assistito da pegno regolare è tenuto a insinuarsi nel passivo fallimentare, ai sensi della L. Fall., art. 53, per il soddisfacimento del proprio credito, dovendosi escludere la compensazione che invece opera nel pegno irregolare come modalità tipica di esercizio della prelazione. Conseguentemente nell’ipotesi di soddisfacimento della banca mediante incameramento della somma portata dal libretto offerto in pegno regolare sussistono i presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare.

Per quanto concerne la interpretazione delle clausole contrattuali la censurabilità per cassazione è ammissibile solo sotto il profilo della violazione dei canoni ermeneutici previsti dal codice civile che la ricorrente ha invocato del tutto genericamente mentre è del tutto illogica la pretesa della ricorrente di desumere la disponibilità dei libretti dalla loro natura di titoli al portatore.

Il ricorso va pertanto respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 10.200 di cui 200 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2011

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