Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18697 del 01/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 01/07/2021), n.18697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19045/2019 R.G. proposto da:

I.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Donato Cocco, con

domicilio eletto in Roma, via degli Scipioni, n. 256/B, presso lo

studio dell’Avv. Alessandro Orsini;

– ricorrente –

contro

C.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Elena Vita,

con domicilio eletto in Roma, via Sesto Rufo, n. 23, presso lo

studio dell’Avv. Giovanni Moscarini;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della Corte Suprema di Cassazione, n. 2308/2019,

pubblicata il 28 gennaio 2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 aprile

2021 dal Consigliere Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

I.M. impugna con ricorso per revocazione, ex art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, l’ordinanza in epigrafe con la quale la Corte di cassazione, all’esito di adunanza camerale ex art. 380-bis c.p.c., rigettandone ricorso per cassazione proposto nei confronti di C.A., l’ha condannata al pagamento, in favore dello stesso, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;

deduce che tale ultima statuizione è frutto di errore di fatto percettivo, avendo omesso la Suprema Corte di rilevare la tardività della notifica del controricorso e, dunque, l’inammissibilità dello stesso, con la conseguenza che nessuna attività difensiva poteva considerarsi svolta dall’intimato tale da giustificare detta condanna;

C.A. resiste con controricorso;

entrambe le parti hanno depositato memorie, ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

che:

la censura è inammissibile;

quello dedotto non integra errore revocatorio ma, in ipotesi, errore di giudizio, derivante da omesso o erroneo apprezzamento di fatto processuale;

com’è noto, secondo pacifica acquisizione, basata sul chiaro disposto dell’art. 395 c.p.c., n. 4, l’errore revocatorio deve cadere – per regola generale, valevole anche nel caso di revocazione di sentenze di legittimità ex artt. 391-bis e 391-ter c.p.c., recettivi di quanto stabilito dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 17 del 1986 e 36 del 1991 – su un “fatto”; esso si concreta in una falsa percezione della realtà, a sua volta indotta da una “svista” di natura percettiva e sensoriale;

proprio per tale sua natura, questa falsa percezione della realtà che nel procedimento di cassazione concerne necessariamente i soli atti interni al giudizio di legittimità, ossia quelli che la corte esamina direttamente nell’ambito del motivo di ricorso o delle questioni rilevabili d’ufficio: Cass. n. 4456 del 2015 – deve emergere in maniera oggettiva ed immediata dal solo raffronto tra la realtà fattuale e la realtà rappresentata in sentenza; con la conseguenza che non può dirsi revocatorio quell’errore la cui verificazione richieda indagini, procedimenti ermeneutici, svolgimento di argomentazioni giuridico-induttive (tra le molte: Cass. nn. 3317 del 1998; 14841 del 2001; 2713 del 2007; 10637de1 2007; 23856 del 2008; 8472 del 2016);

non varrebbe obiettare che l’errore revocatorio non riguarda soltanto i fatti materiali (o storici, o empirici) di natura sostanziale, ma anche gli eventi del processo;

anche questa tipologia di errore, infatti, concernente le intrinseche modalità di svolgimento del giudizio, deve pur sempre incidere su un “fatto”, ancorchè di natura processuale, con esclusione anche in tal caso, pertanto, di qualsivoglia rilevanza dell’errore di “valutazione” nel quale sia in ipotesi incorso il giudice nella ricostruzione fattuale della vicenda, ovvero nell’applicazione della legge e nella sussunzione della fattispecie;

mette conto precisare che l’esclusione di rilevanza revocatoria per tutto ciò che sia errore, non “di fatto” (sostanziale o processuale), ma di “valutazione” e di “giudizio”, non implica lesione del diritto di difesa ex art. 24 Cost.;

sul punto si è osservato (fin da Cass. n. 3137 del 1994, cit.) che tale diritto va contemperato con l’esigenza, anch’essa di natura costituzionale, di assicurare la definizione della lite mediante la formazione del giudicato; con la conseguenza che l’opzione di accordare l’eccezionale strumento della revocazione soltanto in presenza di errori di fatto, lasciando quindi fuori ogni possibilità di sindacato sulla correttezza dei principi giuridici, infine, applicati (quand’anche astrattamente suscettibili di essere confutati dal vaglio delle controdeduzioni della parte soccombente) esprime una valutazione discrezionale del legislatore ordinario coerente con detta esigenza;

affermazione, questa, già ritenuta compatibile anche con il diritto dell’Unione Europea, soccorrendo in proposito quanto stabilito da Cass. Sez. U. n. 13181 del 28/05/2013, secondo cui: “la disciplina risultante dal combinato disposto dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4), – nella parte in cui non prevede come causa di revocazione l’errore di giudizio o di valutazione – non viola il diritto dell’Unione Europea, non recando alcun vulnus al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti; atteso che la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea riconosce, da un lato, l’importanza del principio della cosa giudicata, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, e rimettendo, dall’altro, le modalità di formazione della cosa giudicata, e quelle di attuazione del relativo principio, agli ordinamenti giuridici degli stati membri” (v. in termini anche Cass. n. 21816 del 2016;

orbene, nel caso di specie, la S.C. ha condannato la ricorrente alla rifusione delle spese in favore del controricorrente sul presupposto (implicito) che ne sussistessero i presupposti (quelli cioè dell’esistenza, nel processo, di una rituale attività difensiva da parte del controricorrente e della soccombenza della controparte);

è questo l’esito di una complessiva attività valutativa che, come tale e proprio perchè tale, si sottrae ad impugnazione per errore revocatorio;

la ricorrente, in questa sede, assume che tale valutazione sarebbe stata diversa se si fosse considerato che il controricorso era stato notificato tardivamente;

in tal modo però censura non la (erronea) percezione di un fatto ma, appunto, un giudizio (implicito, circa l’ammissibilità nella specie del controricorso) che rappresenta semmai l’esito della valutazione dei fatti processuali;

potrebbe, in ipotesi, quella valutazione risultare viziata proprio dall’omessa considerazione della tardività del controricorso, ma si tratterebbe, per l’appunto, di errore di giudizio, non di errore percettivo;

diverso sarebbe se l’ordinanza avesse esplicitamente affermato che il controricorso è stato proposto, con la notifica, in una certa data (e dagli atti invece emergesse, con obiettiva univoca evidenza, che la data di notifica era diversa) e l’affermazione avesse avuto, nello sviluppo argomentativo, rilievo decisivo ai fini del favore delle spese;

in tal caso proprio quell’affermazione avrebbe evidenziato un errore di fatto percettivo che, come tale, in presenza degli altri presupposti (decisività dell’errore, estraneità di quel fatto al dibattito processuale), avrebbe potuto essere fatto valere quale vizio revocatorio;

tanto però non accade nella specie, non essendo nell’ordinanza esplicitato alcunchè circa i presupposti fattuali della statuizione sulle spese;

questa Corte ha, in tal senso, più volte chiarito che perfino la tardiva proposizione del ricorso per cassazione, chiaramente desumibile dagli atti ma non rilevata in sentenza, non integra un errore di fatto idoneo a giustificare la revocazione della pronuncia di legittimità ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in quanto non si tratta della errata percezione dell’esistenza o inesistenza di un fatto che emerge espressamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice concreta rilevabilità, ma dell’omessa valutazione di fatti rilevanti ai fini del giudizio, non proponibile nel giudizio di revocazione (v. Cass. n. 17110 del 21/07/2010; n. 25653 del 15/11/2013; n. 7194 del 13/04/2016);

il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali liquidate come da dispositivo;

va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.100 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2021

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