Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18693 del 11/07/2019

Cassazione civile sez. II, 11/07/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 11/07/2019), n.18693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7876-2015 proposto da:

V.G., V.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE DEI SANTI PIETRO E PAOLO 25, presso lo studio dell’avvocato

LUIGI VALENSISE, che li rappresenta e difende unitamente agli

avvocati LEANDRO DE MAIO, ROBERTO DE MAIO;

– ricorrenti –

contro

F.E.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO STORACE,

rappresentata e difesa dall’avvocato FABRIZIO BIAGI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/03/2019 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

V.G. ed A. propongono ricorso per cassazione contro F.E.M., che resiste con controricorso, illustrato da memoria eccependo l’inammissibilità del ricorso, avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 5.1.2015 che ha dichiarato inammissibile l’appello di AV Immobiliare srl in liquidazione ed, in parziale riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Como, sezione di Cantù, ha revocato il d.i. 535/2005, condannando in solido i V. a pagare Euro 14.244,65, oltre interessi e spese, confermando nel resto la decisione.

Ih primo grado l’opposizione a d.i. proposta da AV Immobiliare era stata rigettata mentre, per quanto ancora interessa, la Corte di appello, rispetto ad una impugnazione proposta da AV Immobiliare nel frattempo cancellata dal registro delle imprese siccome sciolta e dai V. quali soci ed intervenienti volontari in appello, ha statuito come sopra indicato, ritenendo decisivo ed assorbente il giuramento decisorio reso dalla F. circa la non conoscenza di un patto verbale relativo alla fatturazione di un compenso inferiore ai minimi asseritamente stipulato con la defunta Rag. Z., contitolare dello studio F.- Z..

I ricorrenti denunziano, con unico motivo, violazione dell’art. 2495 c.c. ed omesso esame di fatto decisivo cioè la responsabilità a titolo successorio legata alla sussistenza di un riparto utile tra i soci.

La memoria riferisce della assoluzione nel procedimento penale per falso giuramento.

La censura, pur ammissibile, è infondata e non decisiva proponendo una questione nuova che implica un accertamento in fatto non consentito in questa sede.

Risulta invero a pagina 3 della sentenza che i V. hanno deferito giuramento decisorio a controparte che lo ha reso, con effetto preclusivo di ogni ulteriore contestazione, trattandosi di questione per la quale è esaurita ogni ulteriore indagine (Cass. 29.10.2018 n. 27410).

Il motivo è in contrasto con la necessaria specificità della impugnazione ed è sufficiente osservare che, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54,L. 7 agosto 2012, n. 134, è denunciabile in cassazione solo l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257, Rv. 632914).

Il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, pertanto, presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico.

Sotto altro profilo, come precisato dalle Sezioni Unite, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione (S.U. n. 8053/2014).

Può essere pertanto denunciata in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Nel caso di specie non si ravvisano nè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nè un’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti in solido alle spese, liquidate in Euro 3200 di cui 200 per esborsi oltre accessori e spese forfettarie nel 15%, dando atto dell’esistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento dell’ulteriore contributo unificato a carico di entrambe le parti.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

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