Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18693 del 09/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/09/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 09/09/2020), n.18693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16722/2015 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DELL’OROLOGIO, 7, presso lo studio dell’avvocato PAOLA MORESCHINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati VITO CAMPISI, BRUNO BARBATO

MASTRANDREA;

– ricorrente principale –

contro

ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA’ BOLOGNA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1479/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 24/12/2014 R.G.N. 428/2011.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Bologna ha confermato, con motivazione differente da quella del giudice di primo grado, il rigetto della domanda di M.G. intesa al conseguimento dell’adeguata remunerazione in relazione al periodo decorrente dall’anno 1983/84 all’anno 1990/91 nel quale l’originario ricorrente aveva frequentato quale laureato in medicina e chirurgia la Scuola di specializzazione presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna;

1.1. il giudice di secondo grado, respinta la eccezione di difetto di legittimazione passiva avanzata dalla resistente Università, escluso il maturarsi del termine prescrizionale ritenuto, invece, dal primo giudice, ha osservato, in dichiarata adesione alla evocata giurisprudenza di legittimità (Cass. 10253/14, n. 21498/2011, n. 23558/2011), che in tema di remunerazione dei medici specializzandi per l’attività formativa svolta presso le strutture ospedaliere delle Università degli Studi, la mancata trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive CE n. 75/362 del 16 giugno 1975 e n. 82/76 del 26 gennaio 1982 non consentiva di riconoscere agli specializzandi, per il periodo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, un diritto soggettivo nei confronti delle medesime Università, tenute esclusivamente all’erogazione del servizio di formazione e degli assegni di studio previsti dal D.P.R. 10 febbraio 1982, n. 262, art. 10; in capo allo specializzando era configurabile soltanto un diritto al ristoro per equivalente del danno sofferto in conseguenza della tardiva attuazione della Direttiva 82/76/CEE da parte dello Stato italiano, diritto non oggetto della domanda proposta in giudizio;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M.G. sulla base di un unico motivo; la parte intimata ha resistito con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo;

3. M.G. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo di ricorso principale parte ricorrente deduce nullità della sentenza per omessa pronunzia sulla domanda di risarcimento del danno da mancato recepimento della Direttiva 82/76/CEE, domanda che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, assume proposta in primo grado e reiterata in seconde cure. In questa prospettiva si duole della errata interpretazione e qualificazione da parte del giudice del merito del contenuto dell’originario ricorso come non riferito anche alla pretesa risarcitoria per tardivo recepimento della direttiva comunitaria;

2. con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e degli artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 10 del Trattato istitutivo della Comunità Europea nella versione consolidata (GCUE n. Euro 325de1 24 dicembre 2002), dell’art. 117 Cost., comma 1, art. 16 della Direttiva CEE 82/76, nonchè degli artt. 5 e 7 della Direttiva “riconoscimento” 75/362/CEE del Consiglio del 16 giugno 1975. Premesso che il M. aveva conseguito, per come pacifico, un diploma di specializzazione medica in “medicina del lavoro”, deduce che tale diploma non rientrava tra quelli indicati nella Direttiva 93/16/CEE, riconosciuti da due o più paesi dell’Unione Europea, nè nelle direttive 75/362/CEE e n. 75/363/CEE; tanto determinava, in ogni caso, la inapplicabilità della disciplina comunitaria in tema di adeguata remunerazione;

3. preliminarmente deve rilevarsi la tardività del controricorso con ricorso incidentale in quanto notificato – a mezzo pec – in data 3 agosto 2015, e quindi in violazione del termine prescritto dall’art. 370 c.p.c., decorrente dalla notifica del ricorso per cassazione perfezionatasi, mediante consegna alle parte intimata, nei giorni 15/16 giugno 2015;

4. il primo motivo di ricorso principale è inammissibile;

4.1. si premette che secondo quanto evincibile dalla formale rubrica del motivo – che riconduce il vizio denunziato all’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nonchè dalla relativa illustrazione, con tale motivo l’odierno ricorrente principale ha inteso lamentare l’error in procedendo della Corte di merito concretatosi nella omessa pronunzia sulla domanda di risarcimento del danno scaturente dalla errata interpretazione e qualificazione del contenuto dell’atto introduttivo;

4.2. le ulteriori deduzioni formulate in memoria dall’odierno ricorrente principale, nella sostanza intese ad ampliare l’ambito della censura articolata attraverso la denunzia di vizi ulteriori, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (v. in particolare, pagg. 4 e sgg.), rispetto a quello dedotto in ricorso, risultano inammissibili in quanto in contrasto con la finalità illustrativa e non integrativa del ricorso per cassazione riconosciuta alle memorie di cui all’art. 378 c.p.c. e a quelle omologhe di cui all’art. 380-bis.1 c.p.c. (v., tra le altre, Cass. n. 3471/2016, n. 3780/2015). Nell’articolazione delle censure formulate con il ricorso per cassazione non è, infatti, dato in alcun modo rinvenire, al contrario di quanto sostiene in memoria il ricorrente principale, la denunzia di violazione dei canoni ermeneutici che presiedono alla qualificazione della domanda attorea, canoni neppure specificamente indicati in relazione alle singole norme oggetto di violazione; analogamente, non è possibile individuare nella illustrazione del motivo di ricorso per cassazione (anche) la denunzia di vizio di motivazione – privo di formale riferimento in rubrica – stante l’assenza di qualsiasi prospettazione che l’omesso esame di un fatto storico di rilevanza decisiva, neppure identificato, aveva comportato l’errata ricostruzione fattuale alla base del decisum, come, invece, prescritto (Cass. Sez. Un. 8053/2014);

4.3. in merito alla censura, per come concretamente articolata con il motivo in esame, è da premettere che la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio ritiene di dare continuità, ha affermato che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume – come avvenuto nel caso di specie – che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) od a quello del “tantum devolutum quantum appellatum” (art. 345 c.p.c.), trattandosi in tal caso della denuncia di un “error in procedendo” che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. n. 21421/2014, n. 254/2006, n. 11755/2004);

4.4. l’esercizio di tale potere – dovere presuppone, tuttavia, l’ammissibilità del motivo, sicchè, laddove sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del “tantum devolutum quantum appelatum”, è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate (Cass. n. 23834/2019, n. 11738/2016, n. 19410/2015, n. 15367/2014);

4.5. parte ricorrente principale non ha osservato gli oneri di specificità prescritti al fine della valida censura della decisione. La tecnica di redazione del ricorso per cassazione, per il profilo di interesse, si connota, infatti, per la trascrizione solo di alcune parti del ricorso di primo e secondo grado e per un oltremodo generico riassunto delle altre; in particolare risultano trascritte le conclusioni del ricorso introduttivo e del ricorso di appello mentre la ricostruzione della parte espositiva del ricorso di primo grado (e dello stesso ricorso in appello), necessaria alla compiuta identificazione della causa petendi e quindi dello specifico titolo (o degli specifici titoli) alla base della richiesta di condanna della convenuta alle somme oggetto del petitum, si rivela del tutto carente in quanto affidata essenzialmente alla trascrizione di frasi estrapolate dal relativo contesto argomentativo dell’atto difensivo, le quali risultano alternate a deduzioni del ricorrente in ordine alla relativa interpretazione quale desumibile anche dai riferimenti alla giurisprudenza comunitaria e di legittimità; l’assenza di una compiuta trascrizione o riassunto della parte espositiva del ricorso di primo grado – indispensabile a ritenere tempestivamente e ritualmente introdotta la pretesa risarcitoria per tardivo recepimento della Direttiva comunitaria, e la sua reiterazione nel giudizio di appello – preclude, quindi, al Collegio la verifica demandata da effettuarsi sulla base del solo esame del ricorso per cassazione, senza l’utilizzo di fonti integrative (Cass. n. 13056/2006, n. 4840/2006, n. 16360/2004, Sez. Un. 2602/2003, n. 4743/2001);

5. in base alle considerazioni che precedono il ricorso principale ed il ricorso incidentale (tardivo) sono inammissibili;

6. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite in quanto l’inammissibilità del controricorso, notificato oltre il termine fissato dall’art. 370 c.p.c., comporta che non può farsi carico al ricorrente principale – soccombente del compenso e delle spese connesse alla redazione del controricorso (Cass. n. 22269/2010, n. 11619/2010) di talchè, in assenza di discussione orale, non contemplata dal rito camerale previsto dall’art. 380 bis.1 c.p.c., nulla è dovuto a titolo di spese in favore della parte contro ricorrente;

7. sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019;

8. non si fa luogo alla condanna dell’Amministrazione controricorrente – ricorrente incidentale al versamento, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, non essendo tale previsione applicabile nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778/2016).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e il ricorso incidentale.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento a carico della parte ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2020

 

 

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