Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18692 del 09/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/09/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 09/09/2020), n.18692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23556/2016 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO

19, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PAMPHILI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE GIURATRABOCCHETTA;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo

studio degli avvocati ROBERTO PESSI, e MARCO MARIA VALERIO RIGI

LUPERTI, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 199/2016 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 14/05/2016 R.G.N. 176/2015.

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Potenza, in accoglimento del ricorso incidentale di Telecom Italia s.p.a. ed in riforma della sentenza del giudice del lavoro di Matera, ha rigettato la domanda proposta da B.G. di inquadramento nel quinto livello del c.c.n.l. per il personale dipendente dalle aziende di telecomunicazioni ed ha ritenuto assorbito il ricorso del B. che, in via principale, aveva impugnato il capo della sentenza che aveva ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione proposta dalla società.

2. La Corte di merito – descritta la qualifica rivendicata e quella di appartenenza ed individuati i tratti distintivi delle due qualifiche – ha accertato che le mansioni svolte dal B. era ascrivibili al livello di inquadramento posseduto in quanto, nello svolgimento delle mansioni affidategli, il ricorrente era privo di autonomia decisionale ed i compiti svolti richiedevano la competenza tecnica di un solo operatore, in grado di eseguire procedure consolidate con gli strumenti necessari, senza alcun coordinamento di altri operatori e privo di competenze specialistiche.

3. Il giudice di secondo grado ha rilevato infatti che le operazioni svolte erano di tipo manuale e consistevano nel collegamento del router alla linea telefonica esterna ed interna: nell’installazione delle linee attraverso l’avvio di programmi predefiniti con verifica dell’esito dell’operazione. Nel caso di fallimento dell’operazione, poi, il lavoratore provvedeva a contattare il centro di supporto.

4. Ha osservato che, in sostanza, si trattava di operazioni finalizzate tutte all’unico risultato operativo dell’installazione della linea presso il cliente finale e non richiedevano compiti specialistici ad elevata tecnicità poichè comportavano la mera ripetizione di procedure predeterminate che, ove non andate a buon fine richiedevano l’intervento aziendale per la risoluzione dei problemi verificatisi.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso B.G. che ha articolato due motivi ai quali ha resistito la Telecom Italia s.p.a. con controricorso. Il procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

6. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nell’interpretazione dell’art. 23 del c.c.n.l. del personale delle imprese esercenti servizi di telecomunicazione.

6.1. Sostiene il ricorrente che erroneamente la Corte di merito avrebbe proceduto ad un raffronto tra le mansioni svolte e le declaratorie generali previste dalla contrattazione collettiva invece di verificare la corrispondenza tra le mansioni accertate e le declaratorie riportate nei profili specifici di riferimento.

6.2. In sostanza, ad avviso del ricorrente la Corte avrebbe potuto utilizzare le declaratorie generali solo se non avesse trovato negli specifici profili dei riferimenti utili.

6.3. In definitiva la sentenza non avrebbe compiuto un vero e proprio confronto tra i due profili professionali (specialista di attività tecniche e specialista di attività tecniche integrate) ed avrebbe raffrontato soltanto le astratte definizioni contenute nelle declaratorie di IV e di V livello.

6.4. Rileva ancora che la sentenza, anche laddove ha posto a raffronto i due profili, ha errato nell’individuare il discrimine esistente tra gli stessi che consisterebbe proprio nell’assistenza al cliente finale mediante installazione del prodotto che, in aggiunta alle prerogative proprie dello specialista di attività tecniche, caratterizza quello di attività tecniche integrate. Sostiene il ricorrente che è la conoscenza delle tecnologie necessarie ad attivare le linee internet dati e fonica ad integrare la differenza tra IV e V livello e non, come sostenuto dalla Corte di appello, l’idoneità a realizzare sistemi integrati che invece è propria del superiore sesto livello, cui appartiene lo specialista di pianificazione di rete/servizi di rete.

6.5. In definitiva ritiene il B. che se la Corte avesse correttamente interpretato le declaratorie non avrebbe potuto che accertare che l’espressione “competenze di ICT” prevista per il V livello si riferisce alla capacità di operare su sistemi integrati di fonia dati e internet e non anche sulla capacità di realizzare gli stessi, che è propria del profilo ancora superiore.

6.6. Ugualmente, poi, sarebbe errata la sentenza laddove non ritiene qualificante, ai fini dell’attribuzione del V livello rivendicato, la

configurazione e riconfigurazione software che invece assume essere attività svolta con procedure ripetitive e standard. Al contrario il maggiore o minore grado di complessità dell’attività è proprio ciò che distingue la quinta dalla sesta categoria.

6.6. Ne discende l’errore di sussunzione delle mansioni accertate (attivazione e riparazione di linee normali e ADSL e configurazione e riconfigurazione di software) nella qualifica di inquadramento spettante.

7. La censura è infondata.

7.1. Va rammentato che il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini. Ai fini dell’osservanza di tale procedimento, è necessario che, pur senza rigide formalizzazioni, ciascuno dei suddetti momenti di ricognizione e valutazione trovi ingresso nel ragionamento decisorio, configurandosi, in caso contrario, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per l’errata applicazione dell’art. 2103 c.c. (cfr., tra le tante, recentemente Cass. 22/11/2019 n. 30580) 7.2. Nell’interpretare le clausole del contratto collettivo relative alla classificazione del personale in livelli o categorie, inoltre, va considerata la capacità connotativa e discriminatoria in concreto dei profili professionali contenuti nell’accordo. Ove gli stessi siano generici e suscettibili di assumere svariate concretizzazioni, allora è necessario integrare le indicazioni con le declaratorie di carattere generale della categoria, che assumono valore determinante circa l’effettiva portata degli specifici profili (Cass. 17/01/2011 n. 919).

7.3. Tanto premesso va rilevato che la Corte territoriale ha esaminato la declaratoria della qualifica rivendicata e quella di appartenenza individuandone i tratti distintivi con riguardo alle competenze richieste ed alle attività in concreto svolte. In particolare ha verificato che la distinzione tra la qualifica rivendicata (quinto livello) e quella di appartenenza (quarto livello) risiede nell’attribuzione al dipendente inquadrato nel quinto livello anche degli “interventi di attivazione e assistenza tecnica di servizi/prodotti presso il cliente finale assicurandone con le proprie competenze di ICT la piena funzionalità (configurazione e riconfigurazione dei software)”. In sostanza sono richieste elevate conoscenze specialistiche e capacità di operare in autonomia e decisionalità per realizzare un’attività seguendo le norme e le procedure sul campo. Coerentemente la Corte ha ritenuto che l’installazione di una linea, anche integrata, non può essere ritenuta un’ attività decisionale autonoma poichè richiede la competenza tecnica di un solo operatore che agisce secondo una procedura consolidata utilizzando gli strumenti di cui è munito senza il coordinamento di altri operatori e senza che sia richiesta un’elevata competenza specialistica.

7.4. Tanto premesso nella sua ricostruzione la Corte ha correttamente

individuato prima in astratto il contenuto delle mansioni proprie dell’inquadramento rivendicato e di quello posseduto, ha tratteggiato le caratteristiche distintive delle due qualifiche verificando poi in concreto la rispondenza dei compiti svolti alle fattispecie astratte così delineate.

7.5. Così facendo il giudice di appello ha rispettato il procedimento c.d. trifasico di individuazione delle mansioni e di sussunzione di quelle in concreto accertate in quelle astrattamente descritte senza incorrere, nell’interpretazione delle disposizioni collettive, in nessuna delle violazioni denunciate. Correttamente ha verificato i tratti caratteristici delle mansioni per poi verificare nel dettaglio l’esistenza degli elementi distintivi dei singoli profili. Secondo un procedimento che non è caratterizzato da rigidità è andato dal generale al particolare di dettaglio del profilo ricostruendo secondo una logica che non si espone alle critiche mosse i tratti distintivi propri di ciascuna qualifica.

7.6. Peraltro la censura pur denunciando una violazione delle regole dell’interpretazione non specifica esattamente in cosa tale violazione si sarebbe concretizzata ma pretende piuttosto di imporre come corretta una ricostruzione alternativa a quella operata dal giudice di appello che resta tuttavia una ricostruzione plausibile e rispettosa delle regole di interpretazione.

7.7. Va qui ribadito che la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 28/11/2017 n. 28319 27/06/2018n. 16987).

8. Il secondo motivo di ricorso, con il quale è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – per avere la Corte territoriale fondato il suo giudizio sulle dichiarazioni rese da alcuni testi che solo in parte sono state però tenute in considerazione – è inammissibile.

8.1. La nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass. sez. u. 07/04/2014 n. 8053).

8.2. Nella censura il ricorrente più che denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo, deduce che non si sarebbero correttamente apprezzate le dichiarazioni rese dai testi pur poste a fondamento della decisione. Si tratta all’evidenza di una diverso apprezzamento del materiale probatorio la cui valutazione è preclusa a questa Corte perchè demandata, in via esclusiva, al giudice del merito.

9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato, restando assorbito l’esame della richiesta di nuova valutazione delle censure formulate nell’appello (quanto alla misura delle differenze spettanti in ragione del superiore inquadramento rivendicato ed all’intervenuta prescrizione di una parte di esse), già ritenute assorbite dalla Corte di merito per effetto dell’integrale rigetto della domanda proposta.

10. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 3000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2020

 

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