Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18691 del 11/07/2019

Cassazione civile sez. II, 11/07/2019, (ud. 22/03/2019, dep. 11/07/2019), n.18691

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8233-2015 proposto da:

COMUNE CIVITAQUANA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, CORSO D’ITALIA 19, presso lo studio

dell’avvocato SERGIO DELLA ROCCA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE

G.MAZZINI N. 120, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO DE LUCA,

rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO ILARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 865/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 10/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO.

Fatto

RILEVATO

che:

è stata impugnata dal Comune di Civatacquana la sentenza n. 865/2014 della Corte di Appello dell’Aquila con ricorso fondato su tre ordini di motivi e resistito con controricorso della parte intimata.

Giova, anche al fine di una migliore comprensione della fattispecie in giudizio, riepilogare, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue.

Il Tribunale di Pescara con sentenza n. 4/2006 revocava, in accoglimento dell’opposizione proposta dall’odierno Comune ricorrente, il D.I. con cui – su ricorso dell’odierno controricorrente C.V. – era stato intimato al succitato Comune il pagamento della somma di Euro 24.469,70 a titolo di compenso professionale dovuto per la redazione di progetto di ristrutturazione di un edificio comunale da destinare a nuova sede della locale Stazione dei Carabinieri, nonchè a sede municipale.

Il Tribunale riteneva, in particolare, la validità della clausola contrattuale che, nella fattispecie, subordinava il sorgere del diritto al compenso del professionista all’intervenuto finanziamento dell’opera (nell’ipotesi non concretizzatosi), provvedendo – quindi- alla revoca del citato provvedimento monitorio.

A seguito di appello interposto dal C. e resistito dalla P.A., l’adita Corte di Appello dell’Aquila – con una prima sentenza non definitiva in data 18 settembre 2013-dichiarava -viceversa- il diritto dell’appellante ad ottenere il compenso per l’espletata progettazione.

Nell’occasione la Corte distrettuale, ritenuta – in base ai noti principi enunciati da Cass. n. ri 19000/2004 e 30590/2011 – la liceità e la non vessatorietà della clausola che subordinava il diritto al compenso del progettista di opera pubblica alla concessione del finanziamento per la realizzazione dell’opera, affermava comunque l’applicabilità dell’art. 1358 c.c. ed il mancato comportamento secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione da parte del Comune committente;

affermava, quindi, “sulla base della fictio di cui all’art. 1359 c.c. il diritto dell’appellante di chiedere l’adempimento del contratto e, quindi, il pagamento del compenso pattuito”.

Di poi la stessa Corte territoriale, con la sentenza definitiva impugnata col ricorso oggi in esame, provvedeva a determinare – previa revoca del medesimo D.I. – nella somma di Euro 23.810,13 le competenze professionali dovute all’odierno controricorrente a mente dell’art. 6 della convenzione di incarico.

Il ricorso viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. con ordinanza in camera di consiglio non essendo stata rilevata la particolare rilevanza delle questioni di diritto in ordine alle quali la Corte deve pronunciare.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.- Con il primo motivo del ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Parte ricorrente sostiene che la decisione gravata sarebbe viziata da difetto assoluto di motivazione.

Il motivo è del tutto infondato.

La sentenza oggi gravata, intervenuta dopo quella non definitiva emessa il 18 settembre 2013, non impugnata nè oggetto di riserva di impugnazione, doveva limitarsi – così come è stata- alla sola determinazione del compenso al tecnico incaricato della progettazione dell’edifico. Nell’adempimento di tale compito la decisione oggi gravata col ricorso ha dato puntualmente e compiutamente atto degli estremi in base ai quali si è proceduto.

La decisione risulta, in punto, fondata su congrua ed idonea motivazione sorretta da logiche argomentazioni tutte improntate al rispetto delle norme e dei canoni ermeneutici applicabili nella fattispecie.

Il motivo va, pertanto, respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Parte ricorrente sostiene la pretesa mancata individuazione delle attività svolte dall’arch. C. in favore di esso Comune.

Senonchè dalla sentenza impugnata non risulta affatto che sia stata posta tale questione, che deve, pertanto, ritenersi del tutto nuova stante anche la mancanza di ogni altra opportuna allegazione di parte ricorrente.

Al riguardo non può che ribadirsi il condiviso principio per cui “i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio.” (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 30 marzo 2007, n. 7981 ed, ancora e più di recente, Sez. 6 – 1, Ordinanza, 9 luglio 2013, n. 17041). Peraltro il mero riferimento, di cui al ricorso, circa l'”espressa contestazione della onerosità della parcella”, oltre che generico atterrebbe ad altro aspetto differente da quello di cui si pretende di discutere (l’effettuazione o meno delle attività in origine, invero, non contestate).

Il motivo è, quindi, inammissibile.

3.- Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Le norme pretesamente violate o mal applicate sarebbero secondo parte ricorrente quelle contenute nella L. n. 143 del 1949, tabelle A) e B).

La questione (comunque involgente aspetto meritale quale la rivalutazione delle risultanze della svolta CTU) è, così come posta, del tutto nuova.

Tanto in virtù del medesimo principio giurisprudenziale innanzi già richiamato.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

4.- Il ricorso va, pertanto, rigettato.

5.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.

6.- Si dà atto ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 2.900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

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