Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18689 del 27/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/07/2017, (ud. 20/06/2017, dep.27/07/2017),  n. 18689

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21965/2015 R.G. proposto da:

H.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Vittorio Bassino, con

Domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI TORINO;

– intimata –

avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Torino depositata il 30

giugno 2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno

2017 dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

RILEVATO

che H.S. ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso l’ordinanza del 30 giugno 2015, con cui il Giudice di pace di Torino ha rigettato l’opposizione da lui proposta avverso il decreto di espulsione emesso il 15 maggio 2015 dal Prefetto di Torino;

che la Prefettura non ha svolto attività difensiva;

che il Collegio ha deliberato, ai sensi del decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016, che la motivazione dell’ordinanza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., osservando che il Giudice di pace ha escluso l’applicabilità del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 2, lett. c), senza valutare la documentazione prodotta e senza ammettere le prove testimoniali dedotte a sostegno dell’affermata convivenza con i suoi familiari;

che la censura non merita accoglimento, trattandosi di elementi di prova ritenuti implicitamente ininfluenti ai fini della decisione, in quanto, come si evince dalla trascrizione dei passi salienti del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, riportati a corredo del motivo, gli stessi avevano ad oggetto esclusivamente la convivenza del ricorrente con il padre nel periodo in cui l’ H. era stato assoggettato agli arresti domiciliari, la cui avvenuta espiazione nel luogo indicato non è stata in alcun modo negata dall’ordinanza impugnata;

che quest’ultima, infatti, pur avendo dato atto dell’indicazione del domicilio del padre dell’ H. quale luogo di espiazione della detenzione domiciliare nel provvedimento a tal fine adottato dal Tribunale di sorveglianza di Torino, nonchè quale luogo di notificazione del provvedimento di liberazione anticipata adottato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Mondovì, ha ritenuto indimostrato che si trattasse di “un domicilio dotato di stabilità e durevolezza temporale e non invece necessitato dalle circostanze concrete determinatesi a causa della detenzione domiciliare concessa”, rilevando inoltre che non era stata dimostrata l’avvenuta presentazione di una richiesta di permesso di soggiorno per coesione familiare, ai sensi del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, art. 28, comma 1, lett. b), ed escludendo l’applicabilità del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30;

che l’inapplicabilità di quest’ultima disposizione trova giustificazione nella circostanza accertata dall’ordinanza impugnata, rimasta incensurata sul punto, che, nonostante l’intervenuto acquisto della cittadinanza italiana da parte del padre, il ricorrente non è compreso tra i familiari indicati dal D.Lgs. n. 30 cit., art. 2 avendo compiuto ventuno anni di età e non risultando a carico del genitore, con il conseguente assoggettamento alla disciplina dettata dalla legislazione nazionale, e segnatamente dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c), e daL D.P.R. n. 394 del 1999, ART. 28 in virtù della quale, ai fini della concessione del permesso di soggiorno per coesione familiare, è prescritto il requisito della convivenza effettiva (cfr. Cass., Sez. 1, 23/07/2010, n. 17346);

che sono invece fondati il secondo ed il terzo motivo d’impugnazione, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b) (recte: art. 13, comma 2-bis), nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, rilevando che il Giudice di pace non ha tenuto conto del lungo periodo di tempo trascorso dal suo ingresso nel territorio nazionale, avvenuto nell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, e del conseguente venir meno di ogni legame con il Paese di origine;

che infatti, in tema d’immigrazione, questa Corte ha affermato che l’art. 13, comma 2-bis, cit., nel disporre che, qualora debba adottarsi un provvedimento di espulsione, ai sensi del comma 2, lett. a) e lett. b), della medesima disposizione, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, si deve tenere anche conto della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonchè dell’esistenza dei legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine, tende a salvaguardare il diritto alla vita familiare dello straniero in ogni caso in cui esso non contrasti con gli interessi pubblici (cfr. Cass., Sez. 6, 3/09/2014, n. 18608);

che nella specie, pur avendo dato atto che il ricorrente ha fatto ingresso nel territorio nazionale a seguito di ricongiungimento familiare e ne è stato espulso per effetto della revoca della carta di soggiorno per lavoro subordinato, il Giudice di pace ha omesso di procedere alla predetta valutazione, essendosi limitato a richiamare l’apprezzamento compiuto dal Prefetto in ordine all’insussistenza delle condizioni per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari o ad altro titolo, nonchè di gravi motivi di carattere personale di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c), ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19;

che l’ordinanza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dai motivi accolti, con il conseguente rinvio della causa al Giudice di pace, che provvederà, in persona di altro magistrato, anche alla liquidazione delle spese processuali.

PQM

 

rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo ed il terzo motivo; cassa l’ordinanza impugnata, in relazione ai motivi accolti; rinvia al Giudice di pace di Torino, in persona di altro magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2017

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