Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18688 del 23/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 23/09/2016, (ud. 18/07/2016, dep. 23/09/2016), n.18688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11999-2010 proposto da:

VVBM SRL, in persona del Presidente del C.d.A. e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato SEBASTIANO RIBAUDO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DOMENICO

DENTAMARO giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 181/2009 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

BRESCIA, depositata il 09/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/07/2016 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per il controricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si riporta al

controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, con sentenza n. 181/67/09, depositata il 09.11.2009 e non notificata, confermava la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto dalla società V.V.B.M. SRL, avverso gli avvisi di accertamento nn. (OMISSIS) per IVA, IRPEF ed IRAP emessi per gli anni di imposta (OMISSIS), con i quali erano stati recuperati a tassazione costi indeducibili in relazione alle operazioni concluse con società riconducibili a Villani Roberto, ritenute inesistenti sulla scorta delle indagini svolte dalla G. di F. di Parma.

2. Il giudice di appello riteneva provata l’inesistenza delle operazioni sulla scorta di una serie di elementi forniti dall’Amministrazione circa la inconsistenza assoluta dei soggetti emittenti le fatture, inseriti in una costellazione di “cartiere”, e svolgenti attività (studi di mercato e sondaggi di opinioni, da un lato, e lavori edili di completamento di edifici, dall’altro) che non avevano nulla a vedere con le semilavorazioni metalliche che la società contribuente aveva dichiarato di aver loro affidato. Riteneva altresì inconsistente la prova contraria fornita dalla società costituita dalla produzione di fatture, dai documenti di trasporto e da bonifici di pagamento, ritenendo che il possesso degli stessi non implicasse che la contribuente non fosse tenuta a verificare la attendibilità commerciale ed industriale dell’emittente delle fatture.

3. La contribuente ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi. Replica la Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Con il primo motivo si lamenta la omessa motivazione circa il fatto controverso e decisivo relativo alla carenza di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Secondo la ricorrente, nonostante ciò avesse costituito motivo di appello, la CTR non aveva motivato circa la lamentata stringatezza della motivazione e l’inadeguatezza del rinvio “per relationem” al processo verbale di constatazione della G. di F.

1.2. Il primo motivo è inammissibile perchè la censura riguarda, in sostanza, una omessa pronuncia su specifico motivo di appello, e doveva essere proposta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

2.1. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa interpretazione dell’art. 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e si sostiene che la Commissione avrebbe violato i principi in ordine all’onere della prova, in ragione dei quali la prova della inesistenza delle operazioni incombeva sull’Amministrazione finanziaria e che, nel caso di specie, l’Agenzia aveva fondato la propria tesi su elementi indiziari che contrastavano con le prove documentali fornite dalla società.

Si denuncia inoltre l’applicazione da parte della Commissione del meccanismo vietato della “cd. doppia presunzione” e si sostiene la sufficienza probatoria della documentazione prodotta, consistente nelle fatture regolarmente registrate, nei documenti di trasporto regolari, nei pagamenti a mezzo bonifico bancario corrispondente alle fatture, nell’assenza di pagamenti sospetti a rimborso dei bonifici, nelle fatture documentati la cessione a terzi dei prodotti acquistati con le operazioni oggetto di contestazione.

2.2. Il secondo motivo è inammissibile e va respinto.

2.3.1. Osserva la Corte che, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture ai fini IVA ed IRPEG, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, ovvero non è stata posta in essere tra i soggetti indicati nella fattura, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione anche in merito alla conoscenza ovvero alla conoscibilità della fittizietà delle operazioni da parte del cessionario/committente che richiede la detrazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (cfr. Cass. sent. n. 428/2015, n. 28683/2015, n.12802/2011).

2.3.2. Sul punto la Corte europea ha più volte ribadito che se – tenuto conto di evasioni o irregolarità commesse dall’emittente della fattura, o comunque a monte dell’operazione dedotta a fondamento del diritto alla detrazione – tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare, alla luce di elementi oggettivi ed alla stregua dei principi sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, senza, peraltro, esigere dal destinatario della fattura verifiche (circa la qualità di soggetto passivo IVA in capo al fatturante, o la disponibilità dei beni di cui trattasi) alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; circostanza, questa, che – secondo la Corte di Lussemburgo – spetta al giudice del rinvio verificare (C. Giust. 6.12.12, cit.; 31.1.13, cit.).

2.3.3. Di recente la Corte europea ha ulteriormente approfondito tali temi ed ha affermato che “Le disposizioni della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2002/38/CE del Consiglio, del 7 maggio 2002, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui al procedimento principale, che neghi a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’imposta del valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente e che è impossibile Identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.” (Corte Giust. 22.10.2015, C-277/14).

2.3.4. Ciò premesso, non può revocarsi in dubbio che l’Amministrazione possa fornire la prova anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39, comma 1, lett. d), e mediante elementi indiziari (cfr. Cass 21953/07; Cass. 9108/12; 15741/12, in motivazione; 23560/12; 27718/13; 20059/2014; nello stesso senso C. Giust. 6.7.06, C- 439/04, C. Giust., 21.2.06, C-255/02; C. Giust. 21.6.12, C -80/11; C. Giust. 6.12.12, C285/11; C. Giust. 31.1.13, C-642/11).

2.3.5. Sulla scorta della pronuncia C-277/14, questa Corte di recente ha considerato che in alcuni casi “l’onere probatorio dell’amministrazione finisce con l’appesantirsi, in quanto, di norma, non è possibile esigere che il cessionario/committente, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi ne disponesse e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o che disponga dei relativi documenti” (Cass. n. 24490/2015), rimarcando che tuttavia, continua a prospettarsi un obbligo di verifica in capo al cessionario/committente a fronte di indizi che gli consentano di sospettare l’esistenza appunto di irregolarità o di evasione; indizi, che devono essere allegati e provati dall’amministrazione in base ad elementi oggettivi, anche presuntivi (tra varie, Cass. n. 20059/2014, n. 15044/2014).

2.3.6. Sotto questo aspetto, in via esemplificativa, possono essere valorizzati nel quadro probatorio, anche indiziario, che deve essere fornito dall’Amministrazione anche in merito alla presumibile assenza di buona fede del cessionario o committente, la circostanza che la prestazione non sia stata effettivamente resa dal fatturante, perchè sfornito della, sia pur minima, dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione (cfr. Cass. n.5912/2010, Corte giust. 13 febbraio 2014, causa C-18/13), l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente) – a fronte di una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e ad una non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (cfr. Cass. n. 6229/2013, n. 24426/2013, n. 25778/2014); la instaurazione di rapporti diretti tra il cedente/prestatore effettivo interponente ed il cessionario/committente: si tratta infatti di utili elementi sintomatici potenzialmente capaci di consentire al cessionario o committente di rendersi conto o, almeno, di sospettare l’esistenza di irregolarità odi evasione.

In tal caso, sarà – di conseguenza – il contribuente a dover provare, In applicazione di principi ordinari sull’onere della prova vigenti nel nostro ordinamento (art. 2697 c.c.), di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata (Cass. nn. 6229/13, 967/2016).

2.4.1. In questo contesto, la censura si rivela inammissibile, sotto il primo profilo, perchè lo svolgimento della argomentazione logico-presuntiva da parte dei Giudici territoriali è stata conforme al criterio di ripartizione dell’onere della prova dettato dall’art. 2697 c.c. e il motivo di doglianza sostanzialmente appare volto a pervenire ad una valutazione dei fatti conforme alle aspettative del contribuente, previo riesame del merito, inammissibile in sede di legittimità, anche sulla scorta di circostanze (la dedotta cessione a terzi del materiale acquistato dalla società cartiera) che appaiono nuove (v. sub 3.1. e ss) e non rispondenti all’accertamento in fatto compiuto dalla Commissione.

2.4.2. Invero il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l’atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto censurabile in cassazione solo per vizi attinenti alla congruità ed alla coerenza logica della motivazione, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l’esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza e, quindi, valutare gli elementi difensivi forniti dalla controparte.

Ciò la CTR lombarda ha fatto, provvedendo prima alla disamina dei molteplici elementi indiziari offerti dall’Amministrazione, valorizzandone alcuni, segnatamente la “inesistenza” delle società emittenti, prive di personale, di struttura, di libri contabili e persino di sede – collocata presso un “inconsapevole villino in Parma -, inserite in una galassia di società cartiere facenti capo al V. ed aventi un oggetto sociale (una, studi sociali e sondaggi di mercato, l’altra, lavori edili di completamento di edifici) che nulla aveva a che fare con le semilavorazioni metalliche che la V.V.B.M aveva dichiarato di aver loro affidato, rispetto ad un altro – ritenuto non decisivo su speciica eccezione della contribuente – come la circostanza che la attività di semilavorazione si svolgesse a cento chilometri di distanza dalla sede della committente.

La Commissione ha quindi esaminato gli elementi a discarico offerti dalla contribuente, segnatamente le fatture, i documenti di trasporto ed i bonifici, provvedendo a compararli con il complessivo materiale probatorio e ha concluso con un giudizio di fatto, che non risulta adeguatamente censurato, affermando che la formale regolarità della documentazione non era idonea a contrastare i molteplici, univoci e concordanti elementi indiziari offerti dall’Amministrazione in merito alla inesistenza delle operazioni, a fronte dei quali il possesso di una documentazione formalmente regolare non era sufficiente ad escludere che la committente avrebbe dovuto verificare la attendibilità commerciale ed industriale della emittente, così sostanzialmente escludendo la ricorrenza della buona fede della contribuente nel caso specifico.

2.4.3. Passando all’esame del secondo profilo, concernente la denuncia di violazione del divieto di doppia presunzione, va osservato che risulta confusa e generica e, quindi, inammissibile, poichè non ne viene chiarita la articolazione; invero gli elementi indiziari valutati dalla Commissione (mancanza personale, struttura, sede etc. delle società emittenti) sono fatti non presunti e non integrano presunzioni ulteriori e distinte, ma si inseriscono nell’unico procedimento presuntivo volto a valutare l’inesistenza delle operazioni. Va infine osservato che il motivo sarebbe comunque infondato, perchè si fonda sull’inesistente principio del cosiddetto “divieto di doppie presunzioni” o “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena”. Detto principio, infatti, non è riconducibile nè all’art. 2727 c.c. nè a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato piú volte sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più adeguate presunzioni può legittimamente costituire la premessa per una inferenza presuntiva idonea – in quanto, a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto (sul tema cfr. Cass. n. 983, n. 1289 e n. 18915 del 2015).

3.1. Con il terzo motivo si lamenta la omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo costituito dalla presunta inesistenza delle operazioni fatturate dalla Eurotrade SRL alla contribuente (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) sia per non aver valutato gli elementi probatori offerti dalla contribuente, sia per avere – contraddittoriamente – fatto riferimento a due società emittenti, laddove i rapporti erano intercorsi solo tra la contribuente e la Eurotrade e si erano consolidati negli anni.

3.2. Anche il terzo motivo risulta inammissibile.

3.3. Invero il ricorrente non articola alcuna critica agli elementi puntualmente esaminati dalla CTR limitandosi a sminuirne la valenza in modo del tutto sommario, e non fornisce alcuna prova contraria, ribadendo solo la avvenuta produzione documentale di fatture, documenti di trasporto e bonifici, senza tuttavia precisarne il contenuto, di cui denuncia il mancato esame da parte della Commissione, cosi dimostrando di non avere colto la ratio decidendi fondata proprio sull’esame di questa documentazione ritenuta tuttavia non sufficiente ad incrinare il quadro probatorio offerto dell’Amministrazione.

3.4. Va quindi osservato che la ricorrente denuncia anche il mancato esame da parte della Commissione di documentazione concernente la cessione delle merci a terzi da parte della stessa contribuente, la mancata considerazione dell’esistenza di un rapporto pluriennale con la Eurotrade SRL, connotato dal puntuale e corretto adempimento degli ordini che non le avrebbe fatto dubitare della sua affidabilità commerciale e la contraddittorietà della sentenza, laddove riferisce le operazioni inesistenti a due distinte società, mentre i rapporti erano intercorsi solo con la Eurotrade SRL.

Orbene in merito a tali circostanze di fatto, che sembrano palesarsi come nuove, il motivo non assolve all’onere di autosufficienza, in quanto non chiarisce in alcun modo quando le stesse siano state introdotte nel giudizio e non ne precisa nemmeno il contenuto, di guisa che non è possibile valutarne nè la tempestività, nè la decisività.

4.1. In conclusione il ricorso va rigettato, inammissibili tutti i motivi.

4.2. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso per inammissibilità dei motivi;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di Euro 11.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2016

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