Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18688 del 11/07/2019

Cassazione civile sez. II, 11/07/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 11/07/2019), n.18688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Advice s.a.s. di A.C. e C. in liquidazione, in

persona del liquidatore avv. C.A., rappresentata e

difesa per procura alle liti a margine del ricorso dall’Avvocato

Raffaele Cappiello, elettivamente domiciliato presso il suo studio

in Roma, via Sebastianello n. 6;

– ricorrente –

contro

Iko2 s.r.l., in persona del suo amministratore Dott.

G.M., rappresentata e difesa per procura alle liti a margine del

controricorso dagli Avvocati Giorgio De Nova e Sara De Nova,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato prof.

Enrico Gabrielli in Roma, piazza Mazzini n. 15;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3024 della Corte di appello di Milano,

depositata il 1 agosto 2014.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Advice s.a.s. di A.C. e C. convenne dinanzi al Tribunale di Monza la s.r.l. Iko2 chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 1.000.000,00 in adempimento della lettera del 28.2.2005 con cui la convenuta l’aveva incaricata di svolgere una serie di servizi ed assistenze necessari al buon fine dell’operazione di acquisto da parte della società Iko, cui poi era subentrata la società Iko 2, di un’area e della costruzione in essa di un immobile destinato a complesso commerciale da cedere alla società Ikea, lettera che, oltre a prevedere a titolo di compenso la somma di Euro 500.000,00, altresì contemplava in favore della società Advice “come riconoscimento di premio per la promozione al buon fine dell’operazione, una somma pari a Euro 1.000.000,00 oltre iva che verrà corrisposta alla firma del contratto definitivo da parte di Ikea”.

Accolta la domanda dal Tribunale e proposto gravame dalla società Iko2, con sentenza n. 3024 dell’1.8.2016 la Corte di appello di Milano riformò la decisione impugnata e rigettò la domanda della società attrice, rilevando che il pagamento della somma richiesta era condizionato dal contratto al buon esito dell’operazione, da identificare non solo nell’acquisto del terreno ma soprattutto nella realizzazione delle strutture del complesso commerciale da consegnare alla Ikea, risultato che invece non era stato conseguito essendo tra la Iko 2 e la Ikea sorto un contenzioso con addebiti reciproci di inadempimento che si era poi concluso con una transazione in cui la Iko 2 aveva rinunciato all’esecuzione delle opere.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato l’8.10.2015, ricorre la s.a.s. Advice di A.C. e C. in liquidazione, deducendo quattro motivi.

Resiste con controricorso la s.r.l. Iko 2.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata.

Il primo motivo di ricorso, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e dell’art. 1176 cit. codice, censura la sentenza impugnata per avere interpretato in modo erroneo la clausola contrattuale con cui la Iko si impegnava “come riconoscimento di premio per la promozione al buon fine dell’operazione” di corrispondere alla Advice la somma richiesta. La sentenza è censurata in primo luogo per avere qualificato tale obbligazione come obbligazione di risultato, individuato nella realizzazione del centro commerciale da cedere alla Ikea, laddove il ricorso a tale figura non è corretto, atteso che il risultato, per come inteso, non rientrava nella specie nell’attività della debitrice, ma dipendeva da fattori ad essa estranei. Ne discende, ad avviso della ricorrente, l’erroneità della conclusione accolta dalla Corte territoriale, laddove ha respinto la domanda dell’attrice sul presupposto che essa non avrebbe adempiuto all’obbligazione di risultato a suo carico. Sotto altro profilo si deduce che il giudice a quo ha male interpretato il testo contrattuale, contravvenendo al canone fondato sull’interpretazione letterale, atteso che la clausola contrattuale in discorso, rettamente intesa, non condizionava il pagamento alla realizzazione del risultato avuto di mira dalla Iko2, ma lo collegava alla ” promozione al buon fine dell’operazione “, cioè all’attività di assistenza che la Advice si era impegnata a svolgere, e che si concretava in una serie di risultati, meglio descritti in contratto, che avrebbero consentito alla Iko di realizzare il suo programma negoziale.

Il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1367 c.c., censura la ratio della decisione impugnata già investita dal primo motivo, assumendo che la clausola contrattale in discorso non poteva essere interpretata con riferimento al fine dell’operazione avuto di mira dalla Iko2, cioè la realizzazione del centro commerciale, ma andava riferita all’attività specifica della Advice, con l’effetto che, riguardo ad essa, il risultato in essa contemplato doveva ritenersi raggiunto. Si deduce inoltre che la conclusione accolta dal giudice di secondo grado, che ha condizionato l’obbligo di pagamento della somma richiesta al buon fine dell’operazione commerciale, non appare corretta anche alla luce di un’interpretazione logico-sistematica della lettera di incarico, facendo dipendere il suo sorgere da fatti e situazioni estranei alla Advice e finendo con l’interpretare la clausola come una condizione meramente potestativa, rimessa alla discrezionalità della parte obbligata, come tale nulla, in violazione del criterio ermeneutico del conservazione del contratto posto dall’art. 1367 c.c..

Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1355 c.c., assumendo che con l’interpretazione adottata la Corte territoriale, facendo discendere l’obbligo della Iko2 al raggiungimento del risultato rappresentato dalla realizzazione del centro commerciale, ha finito per ritenere tale obbligo sottoposto ad una condizione meramente potestativa, che come tale avrebbe dovuto dichiarare nulla, con l’effetto di riconoscere in capo all’attrice il diritto di credito dalla stessa vantato.

Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1358 e 1359 c.c., assumendo che, anche a riconoscere che in base all’interpretazione accolta il fatto sottoposto a condizione avesse natura di condizione mista, la Corte di appello avrebbe dovuto riconoscere il credito azionato dalla Advice in ragione del rilievo, del tutto omesso, che essa non si era verificata per fatto della stessa Iko2, avendo essa rifiutato di dare esecuzione al contratto stipulato con Ikea, sicchè la condizione avrebbe dovuto ritenersi come avverata, a mente del disposto dell’art. 1359 c.c.

I motivi di ricorso appaiono in parte infondati, in parte inammissibili.

Va premesso che come emerge dalla lettura della sentenza impugnata la Corte di appello ha rigettato la domanda della odierna ricorrente sulla base dell’affermazione che la clausola contrattuale invocata in giudizio condizionava l’obbligo di pagamento della somma di Euro 1.000.000,00 (ulteriore rispetto a quella di Euro 500.000,00 prevista dal contratto a titolo di corrispettivo per l’incarico di assistenza conferito alla società Advice) al risultato dell’operazione negoziale intrapresa dalla cliente, individuata non solo nell’acquisto dell’area ma, soprattutto, nella realizzazione delle strutture e servizi del complesso commerciale che avrebbe dovuto cedere all’Ikea. Sulla base di tale interpretazione il giudice di secondo grado è quindi giunto alla conclusione di rigettare la domanda per non essersi tale risultato verificato, avendo la società Iko 2, a seguito di contrasti insorti con la Ikea, stipulato con quest’ultima una transazione con cui “rinunciava al contratto di appalto” cioè alla realizzazione delle strutture del centro commerciale.

Ciò posto, si osserva che il richiamo operato dalla sentenza impugnata alla figura delle obbligazioni di risultato, con riferimento alla obbligazione dedotta in giudizio, in contrapposizione a quella di obbligazione di mezzi, riferita invece all’attività di assistenza della Advice per la quale era stato previsto il corrispettivo, non sembra assumere nel percorso motivazionale della decisione un connotato tecnico preciso, ma svolge solo un intento descrittivo, al fine di evidenziare la differenza dei presupposti delle due obbligazioni, quella relativa al corrispettivo e quella attinente al “premio per la promozione”, avendo la Corte ritenuto quest’ultimo, a differenza del primo, condizionato al raggiungimento del risultato dell’operazione imprenditoriale che la Iko2 si era prefissa con Ikea. Il primo motivo di ricorso, laddove censura la qualificazione come obbligazione di risultato data dalla sentenza impugnata all’obbligazione dedotta in giudizio, non coglie pertanto nel segno, attaccando un aspetto solo formale della motivazione, cui non sembra potersi riconoscere un autonomo ruolo, nè sotto il profilo logico nè sotto quello giuridico, nella motivazione della decisione impugnata, che invero appare fondare le sue conclusioni, in misura del tutto autosufficiente, sulla interpretazione della clausola contrattuale dedotta in giudizio nel senso che essa condizionava l’obbligo di pagamento della somma richiesta all’effettiva realizzazione del programma imprenditoriale della società Iko 2.

Tanto precisato, i primi due motivi di ricorso, che investono l’interpretazione della suddetta clausola da parte della Corte territoriale appaiono inammissibili, in forza del rilievo che con essi la parte introduce un sindacato sull’interpretazione del contratto fondato esclusivamente su di una soluzione alternativa a quella accolta dalla sentenza impugnata, senza tuttavia dimostrarne l’erroneità per violazione dei criteri ermeneutici posti dalla legge in materia contrattuale.

Questa Corte ha più volte precisato che l’interpretazione dell’atto negoziale costituisce accertamento di,fatto, come tale demandato in via esclusiva al giudice di merito, che nel giudizio di cassazione la censura della violazione da parte della decisione impugnata delle regole in materia di ermeneutica contrattuale richiede la specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso cui si è realizzata la violazione, e che, per sottrarsi a censura, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni, in quanto contrapporre a quella fornita dal giudice di merito una diversa ed opposta interpretazione del contratto si risolve in una mera richiesta di un nuovo accertamento sul fatto, come tale non ammessa dinanzi a questa Corte, che è giudice del diritto e non del fatto (Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 27136 del 2017; Cass. n. 24536 del 2009; Cass. n. 10131 del 2006).

Nel caso concreto il ricorso deduce la violazione del criterio letterale, per non avere il giudice di appello dato adeguato rilievo al dato testuale della clausola di cui si discute laddove qualificava la somma da corrispondere “come riconoscimento di premio per la promozione al buon fine dell’operazione”, e non al raggiungimento del risultato del programma imprenditoriale della società obbligata, ma è evidente sul punto che si tratti di mera soluzione alternativa, atteso che il testo richiamato della clausola non orienta univocamente l’interprete nel senso della soluzione prospettata dalla ricorrente restando intatta la plausibilità della conclusione accolta dalla Corte di merito, che risulta ancorata comunque al dato testuale, secondo cui la somma in questione avrebbe dovuto essere corrisposta ” alla firma del contratto definitivo” tra la Iko2 e la Ikea, precisazione che non risulta oggetto di specifico esame da parte del motivo e che necessariamente rimanda alla realizzazione del programma imprenditoriale perseguito dalla obbligata.

Il terzo motivo di ricorso, che prospetta la qualificazione della clausola come condizione meramente potestativa e quindi la sua conseguente nullità, merita di essere respinto in quanto la condizione, come elemento accidentale del negozio, può qualificarsi come meramente potestativa solo nel caso in cui il vincolo obbligatorio risulti condizionato ad un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipenda da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza (Cass. n. 18239 del 2014; Cass. n. 11774 del 2007), situazione che non può certo configurarsi nel caso di specie, in cui il fatto dedotto consisteva nel raggiungimento del risultato economico del programma contrattuale della parte, cui era strumentalmente collegato l’incarico conferito alla società Advice, ed alla cui realizzazione la parte conferente aveva un evidente interesse. Merita osservare inoltre che la ritenuta nullità della condizione non potrebbe non estendersi alla clausola nel suo complesso, con la conseguenza del venir meno del titolo stesso della pretesa fatta valere dalla odierna ricorrente in giudizio.

Il quarto motivo del ricorso, che lamenta la mancata applicazione dell’art. 1359 c.c., che prevede la figura della c.d. fictio di avveramento della condizione, appare invece inammissibile, trattandosi di censura nuova, non avendo la parte dedotto di averla già avanzata nei giudizi di merito nè risultando la stessa esaminata dalla sentenza impugnata, che necessariamente richiede accertamenti di fatto non proponibili in sede di giudizio di legittimità.

Il ricorso va pertanto respinto, con condanna della società ricorrente, per il principio di soccombenza, al pagamento delle spese di lite.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

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