Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18684 del 11/07/2019

Cassazione civile sez. II, 11/07/2019, (ud. 07/02/2019, dep. 11/07/2019), n.18684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 27019 – 2015 R.G. proposto da:

P.J.P., – c.f. (OMISSIS) – P.M. c.f.

(OMISSIS) – M.G. – c.f. (OMISSIS) – G.C. –

c.f. (OMISSIS) – GIO.MAR. s.a.s. di G.C. e

M.G. e C. – c.f. (OMISSIS) – rappresentati e difesi in virtù di

procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato Giancarlo

Salomone ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via Romeo Romei,

n. 15, presso lo studio dell’avvocato Attilio Pesaturo;

– ricorrenti –

contro

MO.RO., – c.f. (OMISSIS) – MO.CE. – c.f. (OMISSIS) –

MO.OT. – c.f. (OMISSIS) – D.F. (quale mandataria di

D.I.) – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliati in Roma,

alla via Giovanni Pierluigi da Palestrina, n. 63, presso lo studio

dell’avvocato Mario Contaldi che disgiuntamente e congiuntamente

all’avvocato Stefano Daga li rappresenta e difende in virtù di

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e

MO.AN., R.S. (quale erede di R.A.),

R.M. (quale erede di R.A.), R.G.,

R.L.;

– intimati –

e

MO.MA., MO.LU. (quale erede di M.A.),

M.F. (quale erede di M.A.), R.A. (quale erede di

R.T.), C.R.M.G. (quale erede di

R.T.)

– intimati –

e

BANCA REGIONALE EUROPEA – BRE s.p.a. (già “Banco di San Giorgio”

s.p.a.);

– intimata –

avverso la sentenza n. 981 del 12.5/28.7.2015 della corte d’appello

di Genova;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 7

febbraio 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. Sgroi Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’avvocato Ludovica Pesaturo, per delega dell’avvocato

Giancarlo Salomone, per i ricorrenti;

udito l’avvocato Stefania Contaldi, per delega dell’avvocato Mario

Contaldi, per i controricorrenti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto in data 16.9.2004 M.A., + ALTRI OMESSI, citavano a comparire dinanzi al tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga, P.J.P., P.M., la “Gio.Mar. s.a.s. di G.C. e M.G. e C.”, M.G., G.C. ed il “Banco di San Giorgio” s.p.a..

Esponevano che in data 5.5.1987 era deceduta ab intestato D.M.A., proprietaria di taluni immobili nel Comune di (OMISSIS); che in qualità di parenti in sesto grado della de cuius avevano provveduto ad accettare l’eredità.

Esponevano che con scrittura autenticata il 15.4.2004, trascritta il 26.4.2004, P.J.P. e P.M., figli ed eredi di P.P.A., a sua volta asserito erede, quale parente in quarto grado, della de cuius, avevano venduto gli immobili costituenti l’eredità relitta da D.M.A. alla “Gio.Mar.” s.a.s..

Chiedevano accertarsi e dichiararsi che essi attori erano eredi legittimi di D.M.A. e che P.P.A., dante causa di J.P. e P.M., non aveva titolo per vantare diritto successorio alcuno ovvero, in subordine, che i diritti successori pretesi da P.P.A. si erano estinti per prescrizione in difetto di accettazione dell’eredità nel termine di legge; che la scrittura autenticata il 15.4.2004 era nulla ed inefficace nei loro confronti e parimenti era ad essi inopponibile l’ipoteca iscritta in favore del “Banco di San Giorgio” sui cespiti oggetto della scrittura; che la “Gio.Mar.” fosse condannata alla restituzione degli immobili ed al risarcimento dei danni.

Si costituivano, con distinte comparse, P.J.P., P.M., la “Gio.Mar. s.a.s. di G.C. e M.G. e C.”, M.G., G.C. ed il “Banco di San Giorgio” s.p.a..

Instavano per il rigetto delle avverse domande; esperivano – P.J.P. e P.M. – domande riconvenzionali.

Assunta la prova testimoniale, con sentenza n. 212/2011 l’adito tribunale rigettava le domande tutte degli attori.

Proponevano appello Mo.An., + ALTRI OMESSI.

Resistevano P.J.P., la “Gio.Mar. s.a.s. di G.C. e M.G. e C.”, M.G. e G.C..

Non si costituivano e venivano dichiarati contumaci P.M., M.A., Mo.Ma., R.T. ed il “Banco di San Giorgio” s.p.a..

Con sentenza n. 981 dei 12.5/28.7.2015 la corte d’appello di Genova, in accoglimento dell’esperito gravame ed in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava estinto per prescrizione il diritto di P.P.A. di accettare l’eredità di D.M.A., rigettava le domande riconvenzionali proposte da P.J.P. e P.M., dichiarava inefficaci nei confronti degli appellanti, in quanto eredi legittimi di D.M.A., la compravendita di cui alla scrittura autenticata il 15.4.2004 e l’ipoteca iscritta in favore del “Banco di San Giorgio”, condannava la “Gio.Mar.” s.a.s. alla restituzione agli appellanti degli immobili oggetto della scrittura del 15.4.2004, dichiarava che gli appellanti avevano diritto alla restituzione dei frutti percepiti e percipiendi, regolava le spese del doppio grado.

Premetteva la corte che la sentenza n. 98/2005, passata in giudicato, pronunciata dal tribunale di Savona nella causa promossa da M.A., + ALTRI OMESSI nei confronti di M.G. non esplicava alcun effetto, siccome coinvolgente anche altre parti.

Premetteva altresì che, per un verso, non era oggetto di impugnazione che P.P.A. fosse parente in grado più prossimo della de cuius; per altro verso, che rilievo essenziale rivestiva il riscontro dell’accettazione dell’eredità di D.M.A. da parte di P.P.A. entro il termine decennale di prescrizione a far data dall’apertura della successione.

Indi evidenziava che, contrariamente all’assunto del primo giudice, dalle circostanze riferite da Mi.Pa., unico teste ad aver assistito all’incontro tra P.P.A. e M.G., si desumeva unicamente l’intenzione del P. di “verificare la consistenza dei beni ereditari e quindi la convenienza di un’eventuale accettazione” (così sentenza d’appello, pag. 8); al contempo che P.P.A. si era limitato a chiedere a M.G., che già si occupava dei beni ereditari, “di continuare a prendersi cura dei beni (…), il tutto a fini meramente conservativi” (così sentenza d’appello, pag. 8).

Evidenziava inoltre che, seppure P.P.A., immessosi nel possesso dei beni ereditari, avesse verbalmente affidato a M.G. l’incarico di prendersi cura dei cespiti ereditari, nondimeno un’iniziativa siffatta non avrebbe avuto valenza di accettazione dell’eredità; che invero una iniziativa simile, in considerazione della finalità esclusivamente conservativa, ben avrebbe potuto esser assunta in veste di mero chiamato all’eredità; che in pari tempo l’immissione nel possesso dei beni ereditari non valeva ad integrare gli estremi dell’accettazione tacita.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso P.J.P., P.M., la “Gio.Mar. s.a.s. di G.C. e M.G. e C.”, M.G. e G.C.; ne hanno chiesto sulla scorta di sei motivi la cassazione con ogni susseguente pronuncia anche in ordine alle spese.

Mo.Ro., Mo.Ce., Mo.Ot. e D.F. hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Mo.An., + ALTRI OMESSI e la “Banca Regionale Europea – Bre” s.p.a. (già “Banco di San Giorgio” s.p.a.) non hanno svolto difese.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa e comunque la contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto ed un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 2697 c.c..

Deducono che alla stregua della documentazione hic et inde prodotta gli iniziali attori, poi appellanti, non sono parenti in sesto grado di D.M.A., siccome parenti in sesto grado della de cuius erano D.C.E., D.M.C.S. e D.M.A..

Deducono quindi che gli iniziali attori, poi appellanti, non hanno dato prova della loro legittimazione.

Deducono in particolare che la circostanza per cui gli iniziali attori non sono parenti in sesto grado di D.M.A. emerge inconfutabilmente dalla sentenza di primo grado, che in parte qua non è stata oggetto di appello.

Deducono ulteriormente che a fronte delle summenzionate risultanze documentali la corte di merito nulla ha motivato ed in ogni caso ha statuito in evidente contrasto con gli esiti probatori.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa e comunque la contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine alla valutazione delle prove circa l’intervenuta efficace accettazione delle eredità da parte di D.C.E., D.M.C.S. e D.M.A..

Deducono che gli attori, poi appellanti, non hanno in alcun modo dimostrato che le loro danti causa, D.C.E., D.M.C.S. e D.M.A., allorchè erano ancora in vita, avevano provveduto ad accettare l’eredità di D.M.A., loro cugina in sesto grado.

Deducono che non possono costituire prova al riguardo le generiche dichiarazioni testimoniali rese da alcuni parenti degli attori.

Deducono che la corte distrettuale in proposito non ha congruamente motivato ed in ogni caso ha statuito in evidente contrasto con gli esiti probatori.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 467 e 468 c.c.

Deducono che D.M.A. non aveva figli ed aveva un unico fratello, senza eredi, ad ella premorto.

Deducono che D.C.E., D.M.C.S. e D.M.A. erano cugine in sesto grado di D.M.A., sono decedute antecedentemente a P.P.A. e non vi è prova alcuna che abbiano accettato, espressamente ovvero tacitamente, l’eredità della cugina.

Deducono quindi che gli iniziali attori, eredi di D.C.E., D.M.C.S. e D.M.A., non potevano, atteso il disposto dell’art. 468 c.c., accettare per rappresentazione l’eredità di D.M.A. devoluta alle loro danti causa.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa, l’insufficiente e la contraddittoria motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero in ordine alla mancata riproposizione in appello delle contestazioni di merito e dell’eccezione di prescrizione del diritto delle controparti; l’erronea applicazione dell’art. 346 c.p.c..

Deducono che, contrariamente agli assunti della corte territoriale, in grado d’appello hanno contestato in maniera chiara ed univoca e lo status di eredi degli iniziali attori, poi appellanti, e la circostanza che costoro avessero accettato tempestivamente l’eredità di D.M.A..

Deducono segnatamente che il testuale tenore della comparsa di costituzione in appello ha comportato integrale richiamo ed integrale reiterazione e delle contestazioni di merito e dell’eccezione di prescrizione del diritto delle parti avverse di accettare l’eredità.

Deducono quindi che ha errato la corte di seconde cure ad opinare per l’inottemperanza da parte loro al disposto dell’art. 346 c.p.c..

Deducono al contempo che l’originaria contestazione circa lo status di eredi degli attori costituisce mera difesa e non eccezione in senso stretto.

Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’erronea, l’omessa e la contraddittoria motivazione in ordine alla validità ed efficacia del contratto di compravendita di cui alla scrittura autenticata il 15.4.2004, in relazione agli artt. 2697 e 468 c.c..

Deducono che dalla documentazione acquisita al giudizio risulta che gli attori, poi appellanti, non sono eredi di D.M.A..

Deducono pertanto che ha errato la corte di Genova a dichiarare inefficace nei confronti degli iniziali attori la scrittura autenticata il 15.4.2004 e a pronunciare condanna alla restituzione degli immobili che ne sono oggetto.

Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’insufficiente e la contraddittoria motivazione in ordine alla valutazione delle prove circa l’intervenuta accettazione dell’eredità da parte di Paul Antoine P.; la violazione degli artt. 476 – 477 c.c..

Deducono che ha errato la corte genovese a reputare, allorchè ha opinato per la prescrizione del diritto di P.P.A. di accettare l’eredità di D.M.A., inattendibili le dichiarazioni rese dai testimoni addotti dai convenuti; che in pari tempo l’attendibilità di tali testi in alcun modo poteva essere scalfita dalla valutazione di atti provenienti dai M..

Il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono strettamente connessi; se ne impone perciò la disamina contestuale; i medesimi motivi sono fondati e meritevoli di accoglimento nei limiti di cui in seguito.

Vanno premessi i rilievi che seguono.

E’ indubitabile che P.P.A. fosse il parente in grado più prossimo, propriamente in quarto grado, della de cuius, D.M.A., deceduta ab intestato in data 5.5.1987. Del resto la corte d’appello ha puntualizzato che non era “oggetto di impugnazione la correttezza della ricostruzione che assegna a P.L.P.A. il grado più prossimo di parentela con la de cuius” (così sentenza d’appello, pag. 7). Più esattamente è fuor di contestazione che P.P.A. fosse figlio di P.L., fratello di P.T., a sua volta madre di D.M.A. (cfr. ricorso, pag. 22).

E’ da ritenere, in dipendenza del grado – quarto – di parentela che competeva a P.P.A., ovvero al parente in grado più prossimo della de cuius, che D.C.E., D.M.A. e D.M.C.S. fossero parenti di D.M.A. o in quinto grado o in sesto grado.

E’ fuor di contestazione che gli attori Mo. siano aventi causa di D.C.E., che gli attori R. siano aventi causa di D.M.C.S., che D.I., mandante di D.F., sia avente causa di D.M.A..

E’ da ritenere, conseguentemente, che gli iniziali attori siano parenti di D.M.A. o in sesto grado o in settimo grado.

Evidentemente, qualora siano parenti di settimo grado della de cuius, gli iniziali attori non potrebbero vantar diritto successorio alcuno.

Propriamente nè in quanto direttamente vocati (art. 572 c.c., comma 2: “la successione non ha luogo tra i parenti oltre il sesto grado”).

Propriamente – e con precipuo riferimento alle ragioni di censura veicolate dal terzo motivo – nè in quanto, alla stregua della rappresentazione ex artt. 467 – 469 c.c., indirettamente vocati. Invero a tal ultimo riguardo questa Corte spiega che l’ambito di applicazione dell’istituto della rappresentazione, sia nella successione legittima che in quella testamentaria, è circoscritto dall’art. 468 c.c., nel senso che essa ha luogo a favore dei discendenti del chiamato che, nella linea retta, sia figlio e, in quella collaterale, fratello o sorella del defunto (cfr. Cass. 28.10.2009, n. 22840; Cass. 11.4.1975, n. 1366).

E nella fattispecie – lo si è anticipato – D.C.E., D.M.A. e D.M.C.S. non erano sorelle di D.M.A..

Ebbene, in relazione all’accertamento invocato nell’iniziale citazione (“con tale citazione (…) gli attori esponevano che: 1) nella qualità di eredi in sesto grado della defunta D.M.A. (…). (…) pertanto concludevano per l’accoglimento delle conclusioni (…), con previo riconoscimento del loro diritto successorio, quali eredi della defunta D.M.A.”: così ricorso, pagg. 5 – 6) e reiterato dagli (attori) appellanti in seconde cure (“(…) accertata, in via incidentale, la qualità dei conchiudenti di eredi legittimi della signora D.M.A. (…): così sentenza d’appello, pag. 2, conclusioni per l’appellante Mo.), accertamento correlantesi al fatto “costitutivo” dei diritti successori pretesi dagli attori – appellanti, la statuizione della corte di merito risulta, alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, inficiata da un’anomalia che emerge nitida dal testo del passaggio motivazionale rilevante in parte qua agitur, a prescindere ben vero – siccome insegnano le sezioni unite – dal confronto con le risultanze processuali.

Invero la corte distrettuale ha testualmente affermato, con riferimento agli “attori e odierni appellanti”, che “non è infatti contestato in causa che questi ultimi siano parenti entro il sesto grado della de cuius ovvero discendenti dei medesimi (…) dal momento che veniva contestata soltanto la loro chiamata all’eredità” (così sentenza d’appello, pag. 10).

In questi termini è patente l’anomalia, sub specie di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, che in parte qua, alla stregua della alternativa posta mediante la congiunzione “ovvero” ed al di là del denunciato erroneo esame dei certificati anagrafici (da cui “risulta che eredi in sesto grado della D.M.A., quali cugine in sesto grado, erano le signore D.M.A., D.M.C.S., D.C.E. e non gli attuali attori”: così ricorso, pagg. 17 – 18), inficia l’impugnato dictum, sì da accreditare la censura di contraddizione della motivazione specificamente veicolata dal primo motivo di ricorso.

Più esattamente, se gli iniziali attori sono – in alternativa – da ritenere discendenti di parenti “di” sesto grado della de cuius, sono, al più, parenti entro il settimo grado della medesima D.M.A., sicchè, in quanto tali, non possono vantare diritto successorio alcuno, nè per diretta vocazione (art. 572 c.c., comma 2) nè per indiretta – per rappresentazione – vocazione (cfr. Cass. 28.10.2009, n. 22840; Cass. 11.4.1975, n. 1366).

Si soggiunge, per un verso, che non riveste precipua valenza il riscontro – prefigurato specificamente con il secondo motivo – “dell’accettazione tacita od espressa dell’eredità della de cuius D.M.A. da parte delle cugine” (così ricorso, pag. 23). Tanto, ben vero, a prescindere dal rilievo per cui l’eventuale accettazione dell’eredità di D.M.A. da parte di M.A., M.C.S. e D.C.E. avrebbe avuto efficacia subordinatamente alla mancata accettazione dell’eredità da parte di P.P.A., chiamato ex lege di grado poziore, entro il termine decennale di prescrizione, ossia entro il 5.5.1997.

Difatti, qualora M.A., M.C.S. e D.C.E. avessero accettato l’eredità della de cuius (con effetti utili a decorrere dal dì del compimento della prescrizione ex art. 480 c.p.c., comma 1, del diritto di accettare l’eredità da parte di P.P.A.), di certo gli originari attori, poi appellanti (esclusa qualsivoglia possibile interferenza dell’istituto della rappresentazione: “(…) in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l’eredità o il legato” (art. 467 c.c., comma 1, u.p.), non avrebbero avuto nè motivo nè ragione per sollecitare l’accertamento della loro qualità di eredi di D.M.A., invocato con l’iniziale citazione (“(…), con previo riconoscimento del loro diritto successorio, quali eredi della defunta D.M.A.”: così ricorso, pag. 6) e reiterato in grado d’appello (“(…) accertata, in via incidentale, la qualità dei conchiudenti di eredi legittimi della signora D.M.A. (…): così sentenza d’appello, pag. 2, conclusioni per l’appellante Mo.), giacchè avrebbero acquistato (mortis causa) i beni già costituenti l’eredità di D.M.A. propriamente a seguito ed in virtù della delazione ex lege in loro favore dell’eredità delle rispettive danti causa, M.A., M.C.S. e D.C.E..

Si soggiunge, per altro verso, che il riscontro della vocazione diretta degli originari attori – appellanti, in quanto parenti entro il sesto grado della de cuius, attiene al fatto “costitutivo” dei diritti successori pretesi dagli stessi attori – appellanti.

Cosicchè tale fatto non poteva che costituire oggetto di esame, valutazione ed accertamento da parte del giudice di appello, in quanto questi, a causa della impugnazione, torna a doversi pronunciare sulla domanda e quindi a dover esaminare fatti, allegazioni probatorie e ragioni giuridiche già dedotte in primo grado e rilevanti ai fini del giudizio sulla domanda stessa (cfr. Cass. 19.6.1993, n. 6843).

Si soggiunge, per altro verso ancora, che, nella comparsa con cui hanno provveduto a costituirsi in seconde cure, gli appellati si sono limitati a prospettare l’infondatezza, in fatto ed in diritto, dell’avverso gravame e dei diritti successori ex adverso invocati, adducendo, inoltre, testualmente – ed evidentemente in ottemperanza all’onere dell'”autosufficienza” – “quali prove gli appellanti hanno portato in causa circa una loro presa di possesso tempestiva?” (così ricorso, pag. 29).

Ebbene è vero che, onde evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., le domande e le eccezioni possono essere riproposte in seconde cure in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse (cfr. Cass. 11.5.2009, n. 10796).

E tuttavia è da escludere che il surriferito inciso, siccome di per sè non sufficientemente univoco, possa considerarsi idoneo ai fini della riproposizione in grado di appello dell’eccezione di prescrizione del diritto degli attori – appellanti di accettare l’eredità di D.M.A..

Cosicchè ineccepibile è l’affermazione della corte territoriale secondo cui, “ai sensi dell’art. 346 c.p.c., non risulta essere stata riproposta in secondo grado l’eccezione di prescrizione che fu sollevata dai convenuti in primo grado” (così sentenza d’appello, pag. 10).

Il complesso di premessi rilievi assorbe e preclude qualsivoglia valutazione in ordine alle ragioni di censura veicolate dal quinto motivo di ricorso.

D’altronde il quinto mezzo di impugnazione è ancorato esplicitamente all’assunto per cui “gli appellanti non sono eredi della signora D.M.A.” (così ricorso, pag. 32, ove si aggiunge che “da quanto sopra consegue la nullità della dichiarazione resa dalla Corte in punto validità ed efficacia della scrittura (…) del 15/4/2004”: così ricorso, pag. 32).

Il complesso dei rilievi dapprima premessi assorbe e preclude in pari tempo qualsivoglia valutazione in ordine alle ragioni di censura veicolate dal sesto motivo di ricorso.

Difatti, qualora si riscontri che “gli appellanti non sono eredi della signora D.M.A.” (così ricorso, pag. 32), ne discende inevitabilmente che i medesimi attori – appellanti non erano legittimati ad invocare l’accertamento dell’intervenuta prescrizione del diritto di P.P.A. di accettare l’eredità di D.M.A..

Propriamente più non si giustificherebbe il postulato cui la corte territoriale è pervenuta, secondo cui, “non essendo stata raggiunta la prova della accettazione dell’eredità da parte di P. Laurent Paul Antoine nel termine di dieci anni dal momento dell’apertura della successione, il relativo diritto è estinto per prescrizione e (…) conseguentemente l’eredità si è devoluta agli altri eredi legittimi, vale a dire gli attori e odierni appellanti” (così sentenza d’appello, pag. 10).

In accoglimento, nei termini dapprima enunciati, del primo, del secondo, del terzo e del quarto motivo di ricorso la sentenza n. 981 dei 12.5/28.7.2015 della corte d’appello di Genova va cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte d’appello.

In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

In dipendenza dell’accoglimento del ricorso non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i ricorrenti siano tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

PQM

La Corte accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, in tal guisa assorbita la disamina del quinto e del sesto motivo; cassa – nei termini di cui in motivazione – la sentenza n. 981 dei 12.5/28.7.2015 della corte d’appello di Genova; rinvia ad altra sezione della stessa corte d’appello anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità; non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i ricorrenti siano tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

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