Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18682 del 13/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 18682 Anno 2018
Presidente: GRECO ANTONIO
Relatore: FEDERICI FRANCESCO

ORDINANZA

sul ricorso 28266-2012 proposto da:
SCHNEIDER INDUSTRIE SPA, elettivamente domiciliato in
ROMA VIA DELLA SCROFA 64, presso lo studio
dell’avvocato VINCENZO CELLAMARE, rappresentato e
difeso dagli avvocati STEFANO ZUNARELLI, LORENZO DEL
FEDERICO;
– ricorrente contro
2018
1059

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente nonchè contro

Data pubblicazione: 13/07/2018

AGENZIA DELLE ENTRATE CENTRO OPERATIVO DI PESCARA;
– intimata –

323/2012
della
la
sentenza
n.
AtSka i
COMM.TRIB.REG SEZ.DIST.
di PESCARA,
depositata il
avverso

20/04/2012;

consiglio del 27/03/2018 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO FEDERICI.

udita la relazione della causa svolta nella camera di

1
Premesso che:
La Schneider Industrie s.p.a. proponeva ricorso avverso la sentenza n.
323/09/12 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, Sez. staccata
di Pescara, e depositata il 20.04.2012.
Riferiva che il contenzioso traeva origine dal provvedimento di diniego del nulla
osta alla fruizione del credito di ricerca e sviluppo previsto e disciplinato dalla I. n. 296
del 2006, a seguito di domanda introdotta secondo le procedure di cui al d.l. n. 185

In particolare la società, facendo affidamento sulla disciplina agevolativa
introdotta dall’art. 1, co. 281-284 della citata I. n. 296 -che originariamente
riconosceva un credito d’imposta per il sostenimento di spese per attività di ricerca e
sviluppo “precompetitivo” finalizzate alla cd. innovazione del prodotto, consentendone
l’accesso a qualunque il-ripresa, senza distinzioni e prerequisiti condizionanti la
fruizione-, modificata dall’art. 29 del d.l. n. 185 del 2008 -che fissava invece dei limiti
alla sua fruizione, con predeterminazione degli stanziamenti nel bilancio degli anni
2008/2011, nonché due differenti regimi applicativi a seconda che le attività di ricerca
fossero state avviate prima o dopo il 29 novembre 2008, prevedendo solo nel primo
caso il contributo nella sua interezza-, aveva posto in essere investimenti per un
credito di C 12.000,00 per il 2009, dichiarando nel prescritto formulario che le attività
avevano avuto inizio entro il 28 novembre 2008. Secondo la procedura fissata dall’art.
29 del d.l. 185 cit. in data 6 maggio 2009 aveva poi provveduto ad inviare in via
telematica il suddetto formulario al Centro Operativo di Pescara, che però il 15 giugno
2009 comunicava il diniego del nulla osta alla fruizione del credito di ricerca e sviluppo.
Il provvedimento di diniego era impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria di
Pescara, che accoglieva il ricorso. L’Amministrazione appellava la sentenza dinanzi alla
Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, che accoglieva le doglianze con la
sentenza oggetto del presente ricorso.
La società censurava la sentenza con sei motivi:
con il primo per violazione degli artt. 3, 41, 97, 117 della Costituzione, in
relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., sollevando questione di legittimità
costituzionale dell’art. 29, co. 1, 2 e 3 del d.l. n. 185 del 2008, convertito in I. n. 2 del
2009, per avere erroneamente ritenuto il giudice regionale che la disciplina si sottrae
al sospetto di incostituzionalità;

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Co

est. Jederici
t ‘,

del 2008.

2
con il secondo motivo per contraddittorietà e illogicità della motivazione circa un
fatto controverso e risolutivo per la definizione del giudizio, in relazione all’art. 360, co.
1, n. 5, c.p.c., per avere i giudici regionali prima riconosciuto il diritto soggettivo alla
fruizione del credito d’imposta e poi però confermato la legittimità del diniego del
nulla-osta;
con il terzo motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della I. n. 212 del
2000, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., per aver sostenuto in sentenza

con il quarto motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 10, co. 2, della I.
n. 212 del 2000 e dei principi eurocomunitari in tema di legittimo affidamento, in
relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p..;
con il quinto motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 7, co. 1, della I. n.
212 del 2000, nonché dell’art. 3, della I. n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360, co.
1, n. 3, c.p.c., per avere errato la decisione del giudice regionale ritenendo
sufficientemente motivato il provvedimento di diniego di nulla osta;
con il sesto motivo per violazione e falsa applicazione dell’art. 7, co. 2, della I. n.
212 del 2000, nonché dell’art. 21 octies della I. n. 241 del 1990, in relazione all’art.
360, co. 1, n. 3, c.p.c., per avere erroneamente ritenuto che l’atto di diniego,
trasmesso in via telematica, non necessitasse della indicazione del responsabile del
procedimento.
Chiedeva in conclusione la cassazione della sentenza impugnata con decisione
nel merito.
Si costituiva l’Agenzia delle Entrate, che contestava nel controricorso le avverse
argomentazioni, chiedendo il rigetto del ricorso.
L’importante controversia giuridica, comune ad altri procedimenti pervenuti
dinanzi a questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 3576 del 2015, che dichiarava
non manifestamente infondata, e rilevante, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 29 co. 1, 2, lett. a), 3 del d.l. n. 185 del 2008, conv. in I. n. 2 del 2009 cit. nella parte in cui non fa salvi i diritti di terzi per le spese sostenute, ai sensi della I. n.
296 del 2006, prima della entrata in vigore del suddetto d.l. n. 185- era portata
all’attenzione della Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale si pronunciava sulla questione con sentenza n. 149 del
2017, con cui la dichiarava in parte inammissibile ed in parte infondata.

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est. Federici
C

l’inesistenza di un divieto costituzionale di efficacia retroattiva della norma tributaria;

3
All’udienza camerale del 27 marzo 2018 la causa è stata decisa. Risultano
tempestivamente depositate memorie ex art. 380 bis 1 c.p.c.

Considerato che:
E’ opportuno preliminarmente ripercorrere le vicende normative relative al
suddetto credito di imposta.
La legge 296 del 2006 attribuiva un credito di imposta del 10% (poi innalzato al

in relazione al sostenimento di costi di ricerca e sviluppo (la norma è stata poi
abrogata nel 2012). I costi non potevano superare per ciascuna impresa e ciascun
periodo di imposta 15 milioni di euro (poi 50 milioni ex legge 244 del 2007)
Intervenne successivamente il d.l. n. 185 del 2008, conv. in I. n. 2 del 2009. L’art.
29, co. 1, del suddetto decreto legislativo affermava che:
<<1. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, dell'articolo 5, del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, sul monitoraggio dei crediti di imposta si applicano anche con riferimento a tutti i crediti di imposta vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto tenendo conto degli oneri finanziari previsti in relazione alle disposizioni medesime. In applicazione del principio di cui al presente comma, al credito di imposta per spese per attività di ricerca di cui all'articolo 1, commi da 280 a 283, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si applicano le disposizioni di cui ai commi seguenti.>>.

Si stabiliva pertanto che tutti i crediti di imposta vigenti (inclusi quelli della legge
296 del 2006) fossero soggetti ad un tetto massimo fruibile dalle imprese (C 375
milioni per 2008, C 533 milioni per 2009) ai sensi della normativa generale già in
vigore per i crediti di imposta, rappresentata dal menzionato d.l. 138 del 2002.
Per fruire dei crediti di imposta riconosciuti dalla legge n. 296 cit. occorreva
quindi una selezione dei contribuenti da ammettere al beneficio, e ciò anche per quelli
maturati prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 185 del 2008, relativi a costi sostenuti
prima di tale data (salva l’ipotesi in cui il contribuente non ne avesse già usufruito).
Al fine della selezione l’art 29, commi 2, 3 e 5 del d.l. 185 cit. previde quindi
l’invio da parte dei contribuenti di un formulario telematico, con una finestra
temporale entro la quale introdurre le domande, poi stabilita con successivo atto
amministrativo nel periodo decorrente dalle ore 10.00 del 6.05.2009 (giorno
denominato poi informalmente “click day”) alle ore 24.00 del 5.06.2009.
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Co…est. 7ederici

40% ex lege n. 244 del 2007 per i contratti con università) per il periodo 2007-2009

4
I suddetti commi 2), 3) e 5) prevedevano che:
«2. Per il credito di imposta di cui all’articolo 1, commi da 280 a 283, della
legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, gli stanziamenti nel
bilancio dello Stato sono pari a 375,2 milioni di euro per l’anno 2008, a 533,6 milioni
di euro per l’anno 2009, a 654 milioni di euro per l’anno 2010 e a 65,4 milioni di euro
per l’anno 2011. A decorrere dall’anno 2009, al fine di garantire congiuntamente la
certezza delle strategie di ‘investimento, i diritti quesiti, nonché l’effettiva copertura

a)

per le attività di ricerca che, sulla base di atti o documenti aventi data certa,

risultano già avviate prima della data di entrata in vigore del presente decreto, i
soggetti interessati inoltrano per via telematica alla Agenzia delle entrate, entro
trenta giorni dalla data di attivazione della procedura di cui al comma 4, a pena di
decadenza dal contributo, un apposito formulario approvato dal Direttore della
predetta Agenzia; l’inoltro del formulario vale come prenotazione dell’accesso alla
fruizione del credito d’imposta;
b) per le attività di ricerca avviate a partire dalla data di entrata in vigore del
presente decreto, la compilazione del formulario da parte dei soggetti interessati ed il
suo inoltro per via telematica alla Agenzia delle entrate vale come prenotazione
dell’accesso alla fruizione del credito di imposta successiva a quello di cui alla lettera
a).
3. L’Agenzia delle entrate, sulla base dei dati rilevati dai formulari pervenuti,
esaminati rispettandone rigorosamente l’ordine cronologico di arrivo, comunica
telematicamente e con procedura automatizzata ai soggetti interessati: a)
relativamente alle prenotazioni di cui al comma 2, lettera a), esclusivamente un
nulla-osta ai soli fini della copertura finanziaria; la fruizione del credito di imposta è
possibile nell’esercizio in corso ovvero, in caso di esaurimento delle risorse
disponibili in funzione delle disponibilità finanziarie, negli esercizi successivi;
b) relativamente alle prenotazioni di cui al comma 2, lettera b), la certificazione
dell’avvenuta presentazione del formulario, l’accoglimento della relativa prenotazione,
nonché’ nei successivi novanta giorni l’eventuale diniego, in ragione della capienza.
In mancanza del diniego, l’assenso si intende fornito decorsi novanta giorni dalla data
di comunicazione della certificazione dell’avvenuta prenotazione.
5. Il formulario per la trasmissione dei dati di cui ai commi da 2 a 4 del presente
articolo e’ approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate,

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Cs.. est. Federici
01′

finanziaria, la fruizione del credito di imposta suddetto è regolata come segue:

5
adottato entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto. Entro 30 giorni dalla data di adozione del provvedimento è attivata
la procedura per la trasmissione del formulario.».

Seguendo la disciplina riportata, la società ricorrente introdusse la domanda,
ricevendo però il 15.6.2009, in via telematica, comunicazione di diniego alla fruibilità
del credito di imposta per “esaurimento risorse”.
Va anche detto che, successivamente a tali fatti, al fine di sopperire

2009 (come modificato dall’articolo 4, co. 1, del d.l. n. 40 del 2010, convertito, con
modificazioni, in I. n. 73 del 2010) dispose -per gli anni 2010 e 2011- uno
stanziamento di ulteriori risorse destinate al finanziamento del credito d’imposta in
argomento (complessivamente pari a 350 milioni di euro). Con decreto del Ministro
dello sviluppo economico emanato il 4 marzo 2011 di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, sono state individuate le modalità di utilizzo
dell’ulteriore stanziamento disposto dal co. 236 dell’articolo 2 della citata I. n. 191.
Con le nuove risorse, il credito di imposta è divenuto utilizzabile nella misura massima
del 47,53%.
Come già accennato, questa Corte aveva sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art 29 co. 1 del d.l. 185 del 2008 per violazione dell’art 3 Cost., in
relazione al trattamento normativo dei crediti già maturati nel 2007 e 2008,
anteriormente all’entrata in vigore del suddetto d.l. 185, per violazione del principio
dell’affidamento dei privati nei confronti della Pubblica Amministrazione.
In via subordinata, aveva anche sollevato questione di legittimità costituzionale
dei commi 2, lett. a) e 3 del medesimo art. 29 per violazione dell’art 3 Cost., per
avere fondato la procedura di selezione su mero criterio cronologico.
La Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 149 cit.;

Ritenuto che:
Il primo motivo è infondato.
Occorre osservare che in relazione all’asserito contrasto della suddetta normativa
con gli art. 41, 97 e 117 Cost. si è già espressa questa Corte, dichiarando la questione
infondata, con motivazioni’ che questo collegio condivide ed alle quali si richiama
espressamente (Cass., Sez. 6-5, ord. 3576 del 2015).

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C

est. ederici

all’esaurimento delle disponibilità finanziarie, l’articolo 2, co. 236, della I. n. 191 del

6
In relazione al contrasto con l’art. 3 Cost. invece è stata la Corte Costituzionale,
con la citata sentenza n. 149 del 2017, a dichiarare la questione infondata in merito
all’art. 29 co. 1 e inammissibile in merito all’art. 29 co. 2, del d.l. 185 del 2008.
In riferimento alla prima questione, relativa al contrasto dell’art. 29 co. 1, con
l’art. 3 Cost. -che in sintesi si traduce nella asserita violazione del principio
dell’affidamento perchè lo Stato italiano dapprima (nel 2006) ha riconosciuto un
credito di imposta per la spese per ricerca, senza prevedere un tetto massimo per

operante anche per i crediti relativi alle spese sostenute prima che la nuova normativa
entrasse in vigore (e quindi le spese sostenute tra il 2006 ed il 2008)-, la Corte
Costituzionale ha escluso il contrasto della norma con i parametri costituzionali
invocati, affermando che un intervento retroattivo del legislatore che incida su diritti
soggettivi perfetti non è di per sé in contrasto con la Costituzione se non è irrazionale,
se è giustificato a salvaguardia di altri valori costituzionali e se è proporzionato; nel
caso di specie la Corte ha ritenuto che la mancanza di tetto massimo per la fruibilità
dei crediti di imposta giustificasse un intervento anche retroattivo per salvaguardare le
finanze statali (art 2, 3 e 81 Cost.); ha inoltre evidenziato che gli ulteriori interventi
normativi, di cui alla legge n. 191 del 2009 per tutelare le posizioni dei titolari di
crediti “perdenti”, hanno salvaguardato il rispetto dei principi di ragionevolezza e
proporzionalità dell’intera disciplina.
In merito alla seconda questione, relativa al contrasto dell’art. 29, co. 2, lett. a),
e 3, del d.l. n. 185 cit., con l’art. 3 Cost. -che in sintesi si traduce nel dubbio sulla
legittimità di un sistema di fruibilità dei crediti basato su un meccanismo, quale quello
della priorità temporale della domanda telematica fino ad esaurimento risorse, che
conduce a risultati del tutto scollegati non solo dal merito delle ragioni di credito ma
anche dalla solerzia nel loro esercizio, perchè fondato su elementi in fin dei conti
casuali, quale la velocità dei meccanismo di trasmissione informatica all’interno di una
marea vastissima di concorrenti-, occorre sempre riferirsi a quanto affermato dalla
Consulta, che ha dichiarato inammissibile la questione perchè un eventuale
accoglimento della stessa determinerebbe un nuovo assetto normativo “caratterizzato
da iniquità e irragionevolezza”, in quanto nel frattempo il legislatore è intervenuto con
la legge n. 191 del 2009 per salvaguardare, almeno in parte, la posizione dei
“perdenti”, cosicchè la dichiarazione di illegittimità della normativa del 2008 farebbe
perdere ai “vincitori” il beneficio ottenuto, senza che gli stessi possano essere
RGR n. 28266/12

Co s. est. Federici

l’utilizzo di tale credito, e successivamente (nel 2008) ha introdotto tale tetto,

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recuperati ai sensi della legge n. 191 cit., dato che i finanziamenti da essa previsti
sono riservati ai soli “perdenti” della prima procedura.
Il secondo motivo è infondato.
La denunciata contraddizione della motivazione consisterebbe nel fatto che da un
lato il giudice regionale ha riconosciuto il diritto soggettivo a fruire del credito, ma
dall’altro ha affermato che il d.l. n. 185 ha inciso solo sulle modalità di fruizione,
affermazione inesatta laddove con il diniego il diritto è stato in realtà soppresso e non

Va rilevato che, essendo stata depositata la sentenza in data 29.04.2011, al
motivo di gravame si applica l’art. 360 n. 5) c.p.c. nella versione ante 2012, sebbene
successiva al 2006.
Il motivo è al limite della inammissibilità perché

«per “fatto decisivo e

controverso” deve intendersi un vero e proprio fatto, non una “questione” o un
“punto”; non a caso, infatti, il citato art. 360 c.p.c. (nella parte in cui prevedeva
l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia) è stato modificato dal d.lgs. 40/2006 nel senso che l’omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione deve riguardare un fatto controverso e
decisivo, e la modifica non può essere ritenuta puramente formale e priva di effetti: il
“fatto” di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è perciò un vero e proprio “fatto”, in senso
storico e normativo, ossia un “fatto principale”, ex art. 2697 c.c. (cioè un “fatto”
costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina
e giurisprudenza, un “fatto secondario” (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di
un fatto principale), purchè controverso e decisivo.» (Cass., Sez. 5, sent. n. 2805

del 2011).
Il “fatto” della cui omissione o errata considerazione si duole il ricorrente nel caso
di specie è però una valutazione giuridica, non un fatto storico.
L’avere la Commissione regionale riconosciuto un diritto soggettivo all’impresa
ricorrente, salvo poi affermare che la nuova normativa non lo ha soppresso ma ha solo
inciso sulle modalità di fruizione, non è infatti un dato “storico” e “fattuale”, quanto
una valutazione giuridica.
In ogni caso, il motivo è infondato.
E’ vero che su tale aspetto sia questa Corte nell’ordinanza di rimessione alla
Corte Costituzionale, sia quest’ultima, hanno ritenuto che la normativa del 2008 non
ha semplicemente inciso sulle modalità di fruizione del diritto, ma sul diritto stesso.

1

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. est. Federici
Co i

semplicemente disciplinato nelle modalità di fruizione.

8
Tuttavia, questo non significa che il percorso argomentativo del giudice d’appello sia
stato “contraddittorio” o “illogico” ai sensi del n. 5) dell’art. 360 c.p.c.
La Commissione ha infatti seguito un proprio percorso argomentativo che,
intrinsecamente, non è né illogico, né contraddittorio, non ravvisandosi tale vizio
nell’affermare che la prima normativa ha riconosciuto un diritto soggettivo e quella
successiva ha inciso sulle modalità di fruizione dello stesso, valorizzando tra gli altri
dati la circostanza che il diritto di credito non sia stato soppresso, ma, ai fini della sua

proprio in questo contesto la sentenza ha menzionato, a conferma della sua
ricostruzione, la legge finanziaria del 2010 (I. n. 191 cit.), che ha stanziato altre
risorse per soddisfare i crediti d’imposta non soddisfatti. Non vi è pertanto alcuna
contraddizione e se invece si voleva censurare la ricostruzione giuridica dell’assetto
normativo, la ricorrente avrebbe dovuto eventualmente denunciare la violazione di
legge, ex art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c.
È altrettanto infondato il terzo motivo.
Lamenta la ricorrente che la CTR non abbia censurato l’applicazione retroattiva
del d.l. 185 del 2008 che ha introdotto un tetto massimo per la fruibilità del credito di
imposta, con effetto anche per i crediti maturati anteriormente.
Sul punto, è sufficiente riportarsi a quanto affermato dalla Consulta nella
sentenza n. 149 cit., laddove il giudice delle leggi considera che (paragrafi 9 – 12) un
intervento normativo anche retroattivo, incidente su diritti perfetti, non è
necessariamente incostituzionale, purché risponda a criteri di razionalità, di
salvaguardia di altri valori ‘costituzionali, di proporzionalità; e nella specie rileva che
l’intervento normativo del 2008 era necessario per tutelare altri sopravvenuti interessi
pubblici di rango costituzionale, quale la tutela dell’equilibrio del bilancio dello Stato.
È poi infondato il quarto motivo.
La Corte Costituzionale, nel paragrafo 9 del “considerato” della sentenza 149 del
2017, ha affermato che «il valore del legittimo affidamento non esclude che il

legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli
interessati la disciplina di rapporti giuridici anche se l’oggetto di questi sia costituito da
diritti soggettivi perfetti, ma esige che ciò avvenga alla condizione che tali disposizioni
non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni
sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza
giuridica (sentenze n. 56 del 2015, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009). Solo
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fruizione, solo differito agli esercizi successivi al 2011. È a tal fine significativo che

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in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque, ovvero in
seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici che esigano interventi normativi
diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma sempre nei limiti della
proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti, è
consentito alla legge di intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori
precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2015)» (sentenza n. 216 del
2015; si vedano anche, tra le tante, le sentenze n. 160 e n. 103 del 2013, n. 416 del

L’intervento retroattivo del legislatore, dunque, può incidere sull’affidamento dei
cittadini a condizione che: 1) trovi giustificazione in «principi, diritti e beni di rilievo
costituzionale” (ex multis, sentenza n. 308 del 2013), e dunque abbia una “causa
normativa adeguata» (sentenze n. 203 del 2016, n. 34 del 2015 e n. 92 del 2013),
quale un interesse pubblico sopravvenuto (sentenze n. 16 del 2017, n. 216 e n. 56 del
2015) o una «inderogabile esigenza» (sentenza n. 349 del 1985); 2) sia comunque
rispettoso del principio di ragionevolezza (fra le tante, sentenza n. 16 del 2017) inteso,
anche, come proporzionalità (sentenze n. 203 e n. 108 del 2016; n. 216 e n. 56 del
2015)».

Ha quindi ritenuto che nella specie si siano verificati i requisiti che hanno
giustificato l’intervento normativo, per la salvaguardia di principi, diritti e beni di
rilievo costituzionale, e cioè la necessità di mantenere il bilancio dello Stato nel
rispetto dei parametri approvati anche in sede europea, con la possibilità al contempo
di creare disponibilità finanziarie per rilanciare l’economia e tutelare i lavoratori e le
famiglie, a fronte di una situazione di eccezionale crisi internazionale generalizzata
(infatti il d.l. 185 del 2008 era denominato nel linguaggio atecnico “decreto anticirisi”).
Per quanto la Commissione regionale abbia fornito una interpretazione del
principio di legittimo affidamento più restrittiva di quella ammessa dalla stessa Corte
Costituzionale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea -interpretazione secondo
la quale il principio non opera in relazione agli atti del legislatore, ma solo riguardo
all’amministrazione, mentre al contrario il giudice delle leggi nazionale e la Corte di
Giustizia ritengono che il principio coinvolga anche l’esercizio della funzione legislativatuttavia l’imprecisione diventa irrilevante nell’economia complessiva del giudizio, in
quanto non solo la Corte Costituzionale, ma anche la stessa Corte di Giustizia, in
qualche occasione, ha ammesso che l’applicazione del principio dell’affidamento possa

RGR n. 28266/12
C/. est4 Federici
eGA/s—`

1999).

10
flettersi di fronte ad interventi legislativi in presenza situazioni particolari e a
determinate condizioni.
Quest’ultima in particolare -nella misura in cui norme euro-unitarie regolino la
materia- si è già occupata della definizione del concetto di legittimo affidamento,
affermando che, per quanto il principio sia fondamentale nell’ordinamento dell’Unione,
«non si traduce nella aspettativa di intangibilità di una normativa, in particolare in
settori in cui è necessario, e di conseguenza ragionevolmente prevedibile, che le

economica.» (Corte Giust., sent. del 23.11.1999 nella causa C-149/96). E ancora,
«Di conseguenza gli operatori economici non possono fare legittimamente
affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata
nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie (cfr. sent. 15 luglio
1982, causa 245/81, Edeka, Race. 1982, pag. 2745, punto 27 della motivazione; sent.
28 ottobre 1982, causa 52/81, Faust, Pace. 1987, 3745, punto 27 della motivazione;
sent. 17 giugno 1987, cause riunite 424 e 425/85, Frico, Ra ce. 1979, pag. 2755,
punto 33 della motivazione).» (Corte Giust., caso C-350/88).
Va sempre ricordato al riguardo che la normativa del d.l. 185 del 2008 (che, per
inciso, non ha creato un istituto “ex novo”, ma ha esteso una disciplina generale sui
crediti di imposta già in vigore in quel momento -cioè la previsione di un tetto
massimo allo specifico credito di imposta) è stata dettata, come emerge dallo stesso
preambolo del testo legislativo e come notorio, dalla eccezionale situazione di crisi
economica venutasi a creare a livello internazionale in quel momento e dalla necessità
per lo Stato italiano di rispettare gli impegni sui parametri economici connaturati alla
appartenenza alla Unione Europea. Inoltre lo Stato ha regolato, con il successivo
intervento di cui alla I. 191 del 2009, le situazioni che si erano venute a verificare a
detrimento dei c.d. “perdenti” nella procedura di cui al d.l. 185 del 2008.
Infondato è anche il quinto motivo, relativo alla mancanza di motivazione del
provvedimento di diniego.
Secondo l’art 7, co. 1, della I. 212 del 2000 «Gli atti dell’amministrazione
finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto
1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi,
indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la
decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto,
questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.».
• RGR n. 28266/12
est. Federici
C

norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura

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A sua volta, l’art 3 legge 241 del 1990 stabilisce che «1. Ogni provvedimento
amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo
svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che
nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto
e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in
relazione alle risultanze dell’istruttoria.
2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto

La Commissione regionale sul punto ha stabilito che il provvedimento ha
illustrato in maniera succinta ma evidente le ragioni per cui il credito di imposta non
veniva concesso, e cioè l'”esaurimento delle risorse”, così come era chiaro che il
diniego si riferiva a tutte le somme stanziate fino al 2011.
Il motivo è dedotto come violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c., ma l’interpretazione
che ha dato la CTR dell’onere di motivazione non appare errata.
In tema di motivazione di atti si è affermato che è sufficiente l’indicazione degli
elementi che permettano di controllare la legittimità della procedura cui esso si
riferisce (con riferimento al ruolo e alla cartella cfr. Cass., Sez. 5, sent. n. 1111 del
2018; n. 11466 del 2011).
L’interpretazione che il giudice regionale ha dato del concetto di “motivazione”
dell’atto è pertanto in linea con la giurisprudenza sul tema, avendo la stessa ritenuto
che l’atto permettesse di comprendere appieno le ragioni del diniego.
È infondato infine anche il sesto motivo.
La ricorrente ha lamentato che la Commissione abbia male interpretato la norma
sul responsabile del procedimento ritenendo sufficiente l’indicazione del direttore del
Centro di Pescara.
È innanzitutto utile rammentare che l’art. 7, co. 2, del cd. Statuto del
contribuente -secondo il quale gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei
concessionari della riscossione devono tassativamente indicare, tra l’altro, l’ufficio
presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o
comunicato e il responsabile del procedimento- non prevede sanzione. Per le cartelle
esattoriali poi la normativa specifica che prevede espressamente la nullità è stata
introdotta a partire dal 2008.
L’art. 36, co. 4-ter, del d.l. n. 248 del 2007 ha previsto tale sanzione solo con
riguardo alle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati a decorrere dalla data
RGR n. 28266/12

C

est.oFederici
e

generale.».

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menzionata (in tal senso cfr. Sez. U, sent. n. 11722 del 2010), né per le cartelle
anteriori prive di tale requisito ricorre l’annullabilità delle stesse. Si è infatti in
particolare affermato che «essendo la disposizione di cui all’art. 7 della legge n. 212
del 2000 priva di sanzione, e non incidendo direttamente la violazione in questione sui
diritti costituzionali del destinatario, trova applicazione l’art. 21 octies della legge 7
agosto 1990, n. 241, il quale, allo scopo di sanare con efficacia retroattiva tutti gli
eventuali vizi procedimen tali non influenti sul diritto di difesa, prevede la non

sulla forma degli atti, qualora, per la natura vincolata del provvedimento, come nel
caso di cartella esattoriale, il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato» (Cass., ord. n. 332 del 2016; sent. n. 25773
del 2014, n. 3754 del 2013 e n. 4516 del 2012).
Peraltro l’art 36, co. 4 ter, del d.l. n. 248 del 2007 si riferisce espressamente solo
alle cartelle esattoriali di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 600 del 1973, mentre nella specie,
sebbene si tratti di un atto del giugno 2009, ci si trova dinanzi ad un diniego di
agevolazione, atto di natura diversa.
L’art. 21 septies della cit. I. n. 241 commina la nullità al provvedimento che
manca degli elementi essenziali, ma tale legge non prevede il nome del responsabile
del procedimento come uno degli elementi essenziali dell’atto.
È vero che il successivo art. 21 opties, co. 1, prevede l’annullabilità del
provvedimento adottato in violazione di legge, ma nel caso di specie ci si trova in
presenza di un procedimento particolare, completamente telematico, consistente nella
introduzione in via elettronica di una domanda alla quale segue, a distanza di tempo,
un provvedimento emesso sulla base di una elaborazione -anche in questo casomeramente informatica della domanda. L’elaborazione consiste nella mera
assegnazione automatica di fondi in base ad un puro criterio cronologico, fino ad
esaurimento risorse, ed il provvedimento, che dà semplicemente atto
dell’assegnazione o meno del credito di imposta, è comunicato sempre in via
informatica.
In tale contesto il provvedimento telematico, generato automaticamente dal
sistema, ha un contenuto vincolato, nel senso che, nei casi di rigetto della domanda, è
predeterminato nella forma e nel contenuto. Può quindi fondatamente ritenersi uno di
quegli atti a contenuto vincolato per il quale l’art. 21-octies, co. 2, I. n 241 del 1990

RGR n. 28266/12
Conest. Federici

( /L-

annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o

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esclude non solo la nullità, ma anche l’annullabilità in caso di adozione in violazione
delle norme sul procedimento o sulla forma.
Va peraltro anche osservato che il giudice tributario regionale ha dato atto del
fatto che l’indicazione di un nominativo al quale riferire il provvedimento, e quindi il
procedimento, era presente sull’atto, nella persona del direttore del Centro operativo
di Pescara.
Va infine evidenziato che questa Corte ha avuto modo di affermare, sempre in

fine di non incorrere in nullità, è sufficiente l’indicazione sull’atto di una persona
responsabile del procedimento, a prescindere quindi dalla funzione (apicale o meno)
della stessa effettivamente,esercitata; siffatta indicazione appare infatti sufficiente ad
assicurare gli interessi sottostanti alla detta indicazione, che sono la trasparenza
dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di
eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa (Cass.,
Sez. 6-5, ord. n. 3533 del 2016).
Anche sul punto quindi la motivazione della Commissione tributaria non è errata.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Considerata la novità della questione, sussistono giusti motivi per la
compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 marzo 2018.

riferimento alle cartelle ma con un principio che appare applicabile in generale, che, al

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