Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18681 del 23/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 23/09/2016, (ud. 18/07/2016, dep. 23/09/2016), n.18681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8847-2011 proposto da:

S. TRADING DI M.S. & C. SAS, elettivamente

domiciliato in ROMA VIALE G. MAZZINI 6, presso lo studio

dell’avvocato STEFANO LUPIS, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIOVANNI DE RISO giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO LOCALE DI MILANO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 137/2010 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 23/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/07/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE RISO che ha chiesto

l’accoglimento, l’Avv. DE RISO deposita in udienza nota spese;

udito per il controricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si riporta al

controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. E’ impugnata per cassazione dalla S. Trading s.a.s. di S. Michele la sentenza in atti con la quale la CTR Lombardia, respingendone il gravame, ha confermato la decisione che in primo grado aveva rigettato l’istanza di sgravio proposta dalla società a tutela di un pregresso credito IVA nei confronti di una cartella di pagamento divenuta definitiva.

La CTR, rilevato che la cartella non era stata impugnata nei termini, ha ritenuto che la ricorrente avesse tentato per mezzo dell’istanza rigettata “di riaprire una lite su un atto ormai definitivo”, in contrasto con il “principio di stabilità e certezza dei rapporti giuridici”, fermo peraltro che non è consentito in ogni caso al giudice tributario “sostituirsi all’amministrazione in valutazioni discrezionali” procedendo all’accoglimento dell’istanza disattesa dalla stessa.

Il mezzo azionato dalla parte si vale di un unico motivo di doglianza articolato su tre censure. Replica ad esse l’Agenzia delle Entrate. La parte ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con l’unico motivo di ricorso, articolato su tre censure, la società ricorrente fa valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’erronea o falsa applicazione di norme di diritto, deducendo, nell’ordine, che la CTR, nel determinarsi nei riferiti termini, non si sarebbe attenuta ai “principi di collaborazione e di affidamento” che la L. n. 212 del 2002, art. 10 detta ai fini della disciplina dei rapporti tra fisco e contribuente secondo “criteri di correttezza ed imparzialità” (prima censura); che “non si verifica la perdita del credito di imposta” nel caso in cui il contribuente abbia regolarmente annotato tutte le fatture da cui esso scaturisce (seconda censura); che non essendo il ruolo un atto costitutivo del debito, ma un mero strumento di riscossione, “la mancata impugnazione della cartella esattoriale non consolida altro che gli effetti del ruolo (azione esecutiva) e non impedisce il rimborso delle somme indebitamente riscosse.

2.2.1. Le prime due censure sono inammissibili per difetto di specificità.

Come questa Corte ha più volte affermato nel ricorso per cassazione il requisito della esposizione dei motivi di impugnazione – nella quale la specificazione dei motivi e l’indicazione espressa delle norme di diritto non costituiscono requisiti autonomi, avendo la seconda la funzione di chiarire il contenuto dei motivi – mira ad assicurare che il ricorso consenta, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere, cosicchè devono ritenersi inammissibili quei motivi che non precisino in alcuna maniera in che cosa consista la violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che si sostiene errata, o che si limitino ad una affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione” (4054/16; 1971/16; 15263/07). Più esattamente, si è ancora precisato, “il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità’, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione” (13878/16; 12865/16; 3010/12).

2.2.2. Nella specie con le censure in disamina la parte si duole di quanto deciso dalla CTR in modo del tutto generico, appellandosi a pretese violazioni di legge che non trovano alcun riscontro nella sentenza impugnata, tanto invero da non essere accompagnate, al di là della loro deduzione in linea di principio, da alcuna indicazione dei passaggi argomentativi che ne dovrebbero costituire presupposto, in tal modo risultando precluso alla Corte ogni vaglio, prima che della loro fondatezza in diritto, della loro conferenza con il decisum.

2.3. Il difetto, appunto, di conferenza con quanto statuito dal giudice territoriale inficia, e rende perciò inammissibile, la terza censura di cui al motivo.

Invero, osservato previamente che il carattere vincolato che assume nel nostro ordinamento il giudizio di legittimità impone che nell’esposizione del motivo di ricorso trovino espressione le ragioni del dissenso, formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità alla decisione impugnata proprie del mezzo azionato e, insieme, da costituire una critica precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle ragioni che ne hanno indotto l’adozione, nella specie la sollevata censura è del tutto estranea al perimetro della sentenza gravata, dal momento che la CTR, rigettando l’appello della parte, non ha inteso minimamente interloquire sulla questione oggetto qui di doglianza, astenendosi, non già per incuria, ma per i limiti intrinseci della res dedotta avanti a sè, dal prendere qualsiasi determinazione in ordine alla persistente rimborsabilità del credito in presenza di una cartella divenuta definitiva. La CTR, al contrario di quanto lamenta la ricorrente ha nell’occasione semplicemente ribadito il noto asserto secondo cui sul diniego di autotutela può esercitarsi un sindacato da parte del giudice tributario, nelle forme ammesse sugli atti discrezionali, in ordine alla legittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria, regolando conseguentemente sulla base di esso la propria decisione, di modo che la sollevata censura è priva del necessario nesso relazionale con quanto deciso dal giudice d’appello e va dunque ritenuta inammissibile.

3. L’inammissibilità del ricorso importa la regolazione delle spese di giudizio secondo il criterio della soccombenza.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

dichiara inammissibile il motivo di ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 6500,00=, oltre eventuali spese prenotate a debito e ad eventuali accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 18 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2016

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